Giornalismo

Apocalittici e integrati e la Dea Eupalla

Quando Umberto Eco definì Gianni Brera un Gadda spiegato al popolo

19 Giugno 2025

Ho seguito la follia nazionale del calcio solo da bambino. E tifavo Fiorentina (quella di Albertosi, Chiarugi, De Sisti, Hamrin ecc) perché ero a Firenze in quegli anni  e non avevo altri riferimenti topografici affettivi avendo abbandonato la città natale a soli sei anni. Da Poggio Gherardo si dominava tutta Firenze e si era sovrastanti, oltre che sulla “Capponcina” di D’Annunzio (il Nido del Vate con la Duse) a un tiro di sasso da noi, anche sui campi di calcio di Coverciano (frazione comunale in cui era ambientato l’intenso “Sorelle Materassi” di Palazzeschi) dove si allenava la Nazionale, campi che vedevamo tutti i giorni, dall’alto, dalla balza  in cui eravamo, risplendere sotto la luce solare nei loro rettangoli verdissimi, ai nostri piedi.

Per alcune partite di allenamento fui chiamato, insieme ad altri bambini, a farvi da raccattapalle. Vidi perciò da vicinissimo giocare Riva, Mazzola, Rivera, Domenghini, Albertosi, De Sisti, Pietruzzo Anastasi e altri di cui conservai per qualche tempo gli autografi. Fu una bella emozione infantile.

Poi il gioco del pallone mi annoiò mortalmente e persi di vista il campionato. Fino a quando negli anni Settanta non uscì “La Repubblica” di cui fui lettore dal numero zero. Agli inizi il quotidiano snobbava il calcio — come “l’Unità” il listino di borsa —, e addirittura, se ricordo bene, non usciva neanche il lunedì proprio per evitare i ludi cartacei attorno al pallone della domenica, tenendosi discosto — da quotidiano d’élite liberale di sinistra — dagli spiriti animali del popolo e senza affettare consensi di maniera, anzi, foscolianamente e santamente ritenendo la populace di niente avere bisogno se non di “pane, preti e carnefici”. Poi l’algido quotidiano che leggevamo noi aspiranti snob, si scompose dalla sua postura di Mandarino del Celeste Impero, e cedette  alla mania nazionale. Ma lo fece in grande stile, scegliendo un pendaglio di seta a cui impiccarsi, assoldando cioè l’Aedo nazionale della Dea Eupalla — come egli stesso la chiamava — cioè Gianni Brera. E fu uno spasso. Perché Brera scriveva da dio in una prosa gonfia di figure retoriche, arricciata e barocca, alticcia e insieme sapida, preziosa e popolaresca. Era un saggio settimanale, il suo pezzo del lunedì — e in seguito quello “santuarizzato” del venerdì ne l’ “L’Accademia di Brera”— un brano di prosa spastica come quella di Gadda, che ancora non conoscevo. In seguito lessi in Apocalittici e integrati che Umberto Eco lo definì, proprio malevolmente, “il Gadda dei poveri” o “spiegato al popolo”, non ricordo bene. Ma ecco, proprio in questi giorni di giugno 2025 La Nave di Teseo ha ripubblicato Apocalittici e integrati che subito ho preso in ebook per affiancarlo alla mia copia cartacea che lessi in anni lontani, e ciò per sentirmi innanzitutto in continuità e in intimità con me stesso, perché solo i libri e le acquisizioni intellettuali (insieme agli affetti) ci impediscono lo spappolamento psichico. Forse. A farla breve eccolo il brano perfido di Umberto Eco che è molto facile rintracciare in un ebook  con le parole-chiave.

«Un esempio deteriore di impiego gratuito di stilemi ex-colti è dato dalla prosa del cronista sportivo Gianni Brera, che rappresenta un esempio di “gaddismo spiegato al popolo”, là dove il “popolo” avrebbe bisogno solo di un linguaggio appropriato alla materia trattata.»

In seguito i due si chiarirono. Brera spiegò che scriveva con l’Olivetti poggiata sulle ginocchia e non in un comodo studio, e aveva i tempi tamburellanti del cronista che deve poi riversare il pezzo al telefono, anzi al dittafono. Ma quel giro di frase rimase: gaddismo spiegato al popolo. Ed è tuttora lì anche in questa edizione 2025.

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