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Giornalismo

Ranucci, come Augstein: il giornalismo che resiste al potere

di Francesco Moriconi

L’attacco a Sigfrido Ranucci riporta al centro il valore del giornalismo libero. Come nel caso Der Spiegel del 1962, quando la stampa difese la democrazia tedesca, anche oggi l’Italia è chiamata a misurare la propria capacità di proteggere chi racconta la verità.

20 Ottobre 2025

Il gravissimo atto intimidatorio contro Sigfrido Ranucci ha nuovamente costretto a una riflessione sul ruolo del giornalismo nelle democrazie moderne.
Un sistema democratico avanzato, evoluto, necessita di un giornalismo indipendente, che faccia inchieste, controlli il potere e informi l’opinione pubblica.
L’Europa contemporanea dovrebbe conoscere bene questi valori, avendoli storicamente elaborati durante le tragiche esperienze dei regimi totalitari e introiettati come pilastri della democrazia dopo la Seconda guerra mondiale.
Il caso Der Spiegel del 1962 è uno degli episodi più emblematici della storia europea contemporanea intorno al valore politico della libertà di stampa.
È anche uno dei rari casi in cui un giornale non solo ha difeso il proprio diritto a informare, ma ha trasformato una crisi in un momento fondativo della democrazia.
I fatti sono noti, anche se ormai la scarsa memoria pubblica non aiuta a tesaurizzare gli eventi del passato. Nella Germania Ovest del 1962, in piena Guerra Fredda il cancelliere Konrad Adenauer era la figura centrale della ricostruzione tedesca dopo il nazismo. Fu lui il protagonista della riorganizzazione di uno Stato che manifestava molte fragilità: l’apparato statale era fortemente centralizzato; i servizi segreti e l’esercito operavano con poca trasparenza; molti funzionari provenivano ancora dalle élite del periodo nazista. Inoltre, il clima politico dominato dalla paura dell’Unione Sovietica spingeva verso un bisogno di ordine e sicurezza che non favoriva le spinte libertarie. In questo contesto, la libertà di stampa non era ancora una conquista salda: il 10 ottobre 1962, Der Spiegel pubblicò un’inchiesta dal titolo Bedingt abwehrbereit (“Parzialmente pronti alla difesa”), firmata da Conrad Ahlers e supervisionata dal direttore Rudolf Augstein.
L’articolo analizzava un’esercitazione della NATO (la Fallex 62) e concludeva che la Bundeswehr (l’esercito nazionale) non sarebbe stata in grado di difendere il Paese in caso di attacco sovietico. Chiariva inoltre, attraverso prove documentali, che c’erano carenze tattiche e logistiche gravi; non solo, faceva emergere la palese incapacità del ministro della Difesa Franz Josef Strauss.
L’inchiesta era fondata su documenti riservati, ma non rivelava segreti militari tali da compromettere la sicurezza nazionale.
Era, cioè, giornalismo investigativo che toccava un nervo scoperto: l’orgoglio militare e l’autorità del governo.
Pochi giorni dopo la pubblicazione, il governo reagì con violenza inusitata.
Il 26 ottobre 1962, la polizia fece irruzione nella sede di Der Spiegel ad Amburgo; gli uffici vennero perquisiti per ore, i documenti sequestrati, i telefoni messi sotto controllo. Il direttore Augstein e altri redattori furono arrestati con l’accusa di tradimento di segreti di Stato. Conrad Ahlers venne addirittura fermato in Spagna, dove si trovava in vacanza, ed estradato verso la Germania.
L’operazione era diretta personalmente da Strauss, che agiva senza mandato giudiziario formale, abusando del proprio ruolo politico.
Il cancelliere Adenauer, in un discorso al Bundestag, dichiarò – convinto da Strauss stesso – che era stato scoperto un abisso di tradimento. Il tono era quello di una caccia al nemico interno: la stampa, minaccia alla sicurezza nazionale.
A quel punto, però, avvenne una reazione imponente.
La popolazione tedesca, soprattutto studenti e intellettuali, si schierò con Der Spiegel.
Si organizzarono manifestazioni in molte città: per la prima volta, la società civile difendeva apertamente la libertà di stampa come fondamento della nuova democrazia.
Anche altri giornali — persino concorrenti storici — sostennero Augstein.
La pressione dell’opinione pubblica crebbe giorno dopo giorno e la legittimità del governo cominciò a vacillare.
Si venne a sapere, poco dopo, che Strauss aveva mentito al Parlamento: ammettendo di aver ordinato l’arresto di Ahlers senza informare Adenauer ma fingendo un accordo verbale col cancelliere, la crisi esplose.
Il ministro fu costretto a dimettersi e il governo subì un intenso momento di instabilità.
Dopo 103 giorni di carcere preventivo, Augstein fu liberato: la Corte Costituzionale Federale stabilì che Der Spiegel aveva agito nell’interesse pubblico e che la libertà di stampa prevaleva sul segreto di Stato, salvo casi estremi. La sentenza fu di importanza storica e lo Spiegel-Affäre divenne un punto di svolta per la democrazia tedesca.
Dopo l’episodio, nessun governo poté più permettersi di intimidire la stampa nei modi simili a quelli che avevano scosso così tanto l’opinione pubblica.
Lo Spiegel-Affäre non è solo una storia di giornalismo, ma una prova di maturità democratica: perché dimostrò che la libertà di stampa non è concessa dall’alto, ma conquistata dal basso; insegnò che il controllo dei media è una forma di controllo del potere politico; rafforzò l’identità liberale della Germania Ovest, mostrando una frattura netta con il passato autoritario.
Ora è il caso di affermare che il giornalismo non provoca il potere: lo misura, lo sottopone a verifica pubblica. Proprio questo ruolo di contropotere scatena reazioni violente.
Duole constatare che, al di là delle dovute distinzioni, la logica dell’intimidazione valga oggi come allora. Il caso di Sigfrido Ranucci appare persino peggiore, dal momento che all’intimidazione giudiziaria e politica unisce quella fisica e simbolica: ordigni artigianali, campagne d’odio online, pressioni politiche per ridurre o chiudere la trasmissione.
Quando il potere usa la paura come strumento, la democrazia viene misurata dalla capacità di difendere chi racconta la verità.
Nel 1962 la Germania federale era una democrazia giovane, e lo Spiegel-Affäre ne mise alla prova la solidità: l’esito rafforzò il sistema democratico.
L’Italia è in un momento di forte polarizzazione politica, c’è una crisi di fiducia verso i media e un tentativo di delegittimare l’informazione investigativa. Allora, forse, le bombe contro Ranucci – piaccia o meno la sua trasmissione televisiva – non sono solo un gesto criminale: sono un test di maturità civile per le istituzioni e per l’opinione pubblica.
Oggi, Sigfrido Ranucci e la redazione di Report si trovano in una sorta di isolamento: parte della politica aveva più volte chiesto verifiche sul programma invece di solidarizzare con chi subiva minacce.
Risulta più che evidente il disagio del potere di fronte alla trasparenza.
Gli avvenimenti hanno comunque prodotto una solidarietà diffusa e rinnovato una consapevolezza: il giornalismo d’inchiesta è parte integrante del sistema di garanzie democratiche in uno Stato di diritto.

giornalismo libertà di espressione
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