
Giornalismo
Lo sguardo di Giancarlo Siani. Un dialogo con Isaia Sales nel 40esimo dell’omicidio
In occasione del quarantennale dell’omicidio di Giancarlo Siani, per capire il contesto, le dinamiche sociali e criminali in cui Giancarlo si immergeva, abbiamo dialogato con lo storico Isaia Sales, tra i più importanti studiosi di camorra e crimine organizzato.
Il 23 settembre del 1985 fa a Napoli veniva ucciso, a soli 26 anni, Giancarlo Siani, cronista abusivo de Il Mattino. In questi quarant’anni Siani è diventato il simbolo di un giornalismo, allo stesso tempo, precario, libero e coraggioso. A lui sono stati dedicati libri (L’abusivo di Antonio Franchini, Scimmie di Alessandro Gallo, Un ragazzo normale di Lorenzo Marone), graphic novel (Giancarlo Siani… e lui che mi sorride di Alessandro Di Virgilio ed Emilio Lecce), film (E io ti seguo di Maurizio Fiume, Fortapàsc di Marco Risi).
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Professor Sales, sono passati quarant’anni dall’omicidio di Giancarlo Siani. Cosa ricorda di quelle ore?
Il fatto che si potesse ammazzare, a Napoli, un giovane cronista scatenò un sentimento di orrore. Allo stesso tempo, non si riuscivano a capire i motivi di quel delitto. Nella storia criminale di Napoli, era la prima volta che si consumava un omicidio di quel tipo in una zona come il Vomero, un mondo lontano dal sottoproletariato urbano. Ad essere colpito inoltre era un giornalista, un precario senza un ruolo di grande rilievo nel giornale. In quel momento Siani lavorava nella sede centrale de Il Mattino e non si riuscì a legare il delitto alla sua precedente attività svolta a Torre Annunziata.
Ci aiuti a contestualizzare la Napoli e la Campania della metà degli anni ‘80. Cosa accadeva da un punto di vista criminale?
C’era una guerra in atto, questa volta tra coloro che avevano sconfitto Cutolo. Una guerra interna alla NF, la “Nuova famiglia”, l’insieme delle organizzazioni criminali che avevano sconfitto la NCO, la “Nuova camorra organizzata” dei cutoliani. In maniera particolare, c’era una guerra tra Bardellino e Alfieri da un lato e i Nuvoletta di Marano uniti ai clan della costa che da Napoli scende verso Sud, passando per la Torre Annunziata del boss Valentino Gionta fino a Castellammare di Stabia. Il numero di omicidi era costantemente alto.
E politico?
Fino ai primi anni ‘80, nel dopo-terremoto dell’Irpinia, la classe dirigente cittadina pensava che tutto sommato la camorra fosse estranea a Napoli: un fatto della provincia o delle province non napoletane. Un sindaco della città disse che si veniva per ammazzare a Napoli, ma che quei fatti non erano prodotti di Napoli.
Ci ricorda il nome?
Era Maurizio Valenzi. Anche la sinistra, dunque, non era ancora convinta che la camorra fosse un problema della città. Le guerre di quegli anni, tra i clan periferici e quelli del centro storico, modificarono questa percezione.
Proviamo a fare una inquadratura più stretta su Torre Annunziata, questa città stretta tra il Vesuvio e il mare?
Attorno a Napoli, diversamente dalle città siciliane, c’è una costellazione di agglomerati urbani che superano i 50.000 abitanti e che mantengono alcune caratteristiche sociali di Napoli stessa. Oltre a Torre Annunziata, pensiamo a Castellammare di Stabia, Torre del Greco, Portici, Pozzuoli, Casoria, Frattamaggiore, Giugliano. Città con un sottoproletariato molto forte. Torre Annunziata da questo punto di vista è però sintomatica, perché una delle poche grandi città industriali del meridione. Fino al secondo dopoguerra, Torre Annunziata, la Manchester del Sud, è una città con fabbriche di armi, pastifici ed attività tessili. Nel suo porto abbiamo grandi traffici commerciali. Questa città industriale – con una forte presenza di classe operaria, una tradizione socialista, comunista e sindacale – ha una crisi verticale nel secondo dopoguerra. A questa crisi industriale subentra una economia illegale legata al contrabbando di sigarette. Per cui nel porto, invece delle migliaia di navi cariche di grano, arrivano gli scafi dei contrabbandieri. L’economia illegale sostituisce l’economia legale senza imbarazzi e senza problemi e, naturalmente, le famiglie che organizzano questo traffico acquisiscono via via un grosso retroterra criminale. Circa settemila persone lavoravano allora, nella sola Torre Annunziata, attorno alle esigenze del contrabbando. Sono un esercito che controlla spazio, attività e vendita delle cosiddette bionde.
Come si colloca il clan Gionta in questo quadro?
Valentino Gionta sa che il contrabbando pone problemi di alleanze e stringe rapporti con i Nuvoletta di Marano vicinissimi ai corleonesi di Totò Riina ed alleati dei primi contrabbandieri siciliani insediatisi attorno a Napoli perché in soggiorno obbligato. I Nuvoletta – come il casalese Antonio Bardellino e il napoletano Michele Zaza – erano, dunque, a loro volta membri di Cosa nostra. Quindi noi abbiamo questi elementi che si intrecciano: una struttura urbana e sociale simile a quella della metropoli partenopea, una crisi industriale, attività illegali di massa, boss napoletani legati alla mafia siciliana. Il delitto Siani è all’interno di questo intreccio camorra-Cosa nostra in un luogo centrale della loro alleanza. Ed il delitto viene deciso sulla base di una consultazione tra i Nuvoletta, Gionta e Riina.
Questo aspetto relazionale che influisce poi nella morte di Siani non sempre è stato raccontato con la giusta attenzione.
Subito dopo il delitto, si è perso del tempo nel comprendere cosa fosse accaduto perché non si conosceva appieno questo rapporto. Sembravano cose di un altro mondo. La stessa Torre Annunziata non veniva considerata un posto centrale negli equilibri criminali. Siani aveva messo le mani su un punto delicatissimo.
Parliamo dell’articolo sull’arresto di Gionta del 10 giugno 1985, quello che è considerato il suo atto di condanna a morte.
Durante la sua latitanza, Gionta si era nascosto nelle terre dei Nuvoletta e quando fu arrestato attorno alla loro tenuta, Siani scrisse che probabilmente era stato vittima di una loro spiata. Per cui, quando fu scritta questa cosa, che l’arresto di Gionta potesse essere collegato in qualche modo ad una loro soffiata, i Nuvoletta, tra l’altro amici di Giovanni Brusca, interpellarono Totò Riina. Ebbene, Riina disse che bisognava ammazzare il giornalista. Come poter immaginare, in quel periodo storico in cui poco si sapeva delle interconnessioni fra mafia e camorra, che il delitto di un giornalista precario che aveva lavorato in un luogo non avvertito come centrale negli equilibri criminali, fosse avvenuto su un’indicazione della mafia siciliana? Il nostro Giancarlo è stato dentro questa interconnessione sovraregionale.
Nei suoi studi, ha scritto che la camorra non è la mafia siciliana, ma che a un certo punto della nostra storia, abbiamo assistito a un processo che lei ha definito mafizzazione della camorra.
La mafizzazione della camorra arriva intorno agli anni ‘80. Il sisma del 23 novembre in qualche modo la ratifica. Più in generale, la mafizzazione di una criminalità avviene quando ci sono ingenti risorse su un mercato che diventa molto ampio e hai bisogno di rapporti politici per agire. Mafizzazione vuol dire che c’è una criminalità che ha legami con coloro che dovrebbero combatterla: politica e istituzioni. Questo intendo per mafia. Ma questo processo di mafizzazione non annulla l’originalità della criminalità camorristica che è, dal punto di vista degli schemi criminali, molto più aperta, più democratica nell’accesso, meno rigida e al tempo stesso più di massa. Da questo punto di vista, la camorra non è un’élite criminale come la mafia siciliana. La camorra ha una struttura larga ed aperta che diventa punto riferimento per tanti giovani della nostra area metropolitana. Rispetto alla mafia, questa è la sua maggiore pericolosità sociale.
Torniamo alla produzione giornalistica di Siani. Nei suoi articoli, non c’è soltanto il tema camorra. Dove indirizzava il suo punto di vista Siani e come definirebbe il suo sguardo?
Siani era molto severo con la classe dirigente di Torre Annunziata. Il suo era un punto di vista sia politico sia sociale. Dal punto di vista politico, non sopportava le interconnessioni che c’erano tra Gionta e gli amministratori comunali di Torre Annunziata, in maniera particolare del suo sindaco socialista di allora, ritratto nel film Fortapàsc in maniera magistrale. In questo, la sua analisi era influenzata da quella del sociologo Amato Lamberti, fondatore dell’Osservatorio sulla camorra, che batteva sulla connessione tra clientelismo e criminalità. Al tempo stesso Siani era attento alle questioni sociali. Aveva scritto delle lotte operaie per non chiudere le fabbriche, ad esempio, ma al tempo stesso sulla situazione di quel sottoproletariato in cui le famiglie usavano i minori per traportare armi e droga per non finire in galera.
Le sue ultime righe sono proprio dedicate a loro. Ai cosiddetti muschilli, a questi moscerini costretti a vite di scarto.
Questo è un aspetto significativo della storia di Giancarlo. Il suo ultimo articolo esce proprio il 22 settembre ed è dedicato alle vicende di questi ragazzi per i quali mostrava attenzione e vicinanza umana. Leggendo e rileggendo i suoi articoli, ho sempre sostenuto che se Giancarlo non fosse stato ammazzato si sarebbe dedicato a questi temi sociali. Sarebbe diventato un grandissimo esperto di criminalità minorile.
Questa sua considerazione ci riporta all’oggi, in un gioco di analogie e differenze lungo la linea del tempo. Quanto era facile allora e quanto è oggi entrare nel circuito camorrista fin dall’adolescenza?
È più facile oggi. Ma rimaniamo sul contesto di allora per capirlo. Finché c’è stato il contrabbando di sigarette, era la famiglia, in genere le donne, a svolgere questa attività ed i ragazzini ne erano meno coinvolti. In ogni caso, non c’era questo convincimento di fare una cosa criminale. Il contrabbando era una cosa illegale ma non criminale e tollerata. La base di massa non era fatta da minorenni che comunque non si arricchivano nel contrabbando ma con esso riuscivano a sopravvivere. Il momento di passaggio è quando al contrabbando si sostituisce il trasferimento e lo spaccio di droga. In quel momento Napoli non diventa solo un grande hub nazionale e internazionale di commercio di stupefacenti ma anche un centro di consumo e di smistamento. Le case popolari del post-terremoto diventano poi i luoghi dello spaccio. Lo spostamento di popolazione dal centro storico di Napoli verso le periferie di quel periodo – parliamo di 100.000 persone – è stata una tragedia urbanistica e sociale.
Che cosa succede in sintesi?
Che il traffico di droga consente non solo grandi guadagni ai vertici della camorra, ma consente un guadagno a questi giovani che è quattro, cinque, dieci volte superiore a quello di un lavoro precario a cui possono aspirare. Un guadagno che permette di arrivare a dei consumi che le attività legali o sottopagate non riesce a fare. In questo sistema, c’è un esercito di massa pronto ad entrarci.
E Siani questi soldatini ce li ha raccontati.
Siani incrocia il primo formarsi di questo esercito che sta lasciando il contrabbando per andare verso il mondo della droga. E ne è la prima vittima.
Immagine di Copertina, Un Murale per Giancarlo Siani, autore: Silviasca; licenza creative commons; Wikimedia
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