Giornalismo
Trump, l’Iran e la Forza Risolutrice della Fiction
La guerra è anche teatro. Si finge per confondere il nemico. Si attacca. Ma si fa anche finta di attaccare. In questo senso, la ‘guerra dei dodici giorni’ non costituisce un’eccezione. Quello tra l’Iran e l’asse Israele-Stati Uniti è stato uno scontro reale. Si è bombardato e ucciso. Ma si è anche fatto finta. Ora, questo elemento di performance è la chiave per capire i fatti, e occorre analizzarlo facendo una distinzione che è per lo più assente nei media italiani. Nello specifico bisogna ribadire con chiarezza che le mosse teatrali di Trump ci hanno portato sull’orlo di una guerra mondiale. Quelle di Khamenei lo hanno impedito.
Atto primo: Israele comincia e l’Iran risponde. Atto secondo: Trump interviene. Epilogo: l’Iran bombarda il Qatar. In ognuno di questi segmenti, emerge la finzione. Nel primo, Israele fa finta che l’Iran abbia un programma nucleare militare: informazione smentita persino dall’intelligence americana. Trump – protagonista del secondo atto – esordisce con una battuta da operetta “sappiamo dove si nasconde Khamenei, ma per ora non lo uccideremo”. Poi attacca, e dichiara di aver impartito un danno enorme. L’Iran smentisce, per poi smentire la smentita. Gli esperti parlano di perdite minime. Infine, la conclusione: Khamenei bombarda una base americana in Qatar, ma prima di farlo allerta le autorità locali. Un attacco finto. Sipario.
Che succede? Come in molte opere teatrali, tutti i personaggi mentono. Ma nel contesto geopolitico in cui viviamo, certe menzogne sono più pericolose di altre. Sebbene gli accordi tra Iran e Russia non prevedano un mutuo soccorso, in questo frangente, alla luce della corsa al riarmo europeo, il rischio di un coinvolgimento russo al fianco dell’Iran era reale. Putin spesso simula. Ma non mentiva quando, incalzato dai giornalisti, si rifiutava di discutere la possibilità che gli americani assassinassero Khamenei. Il suo ‘no comment’ era una battuta di scena. Il sottotesto era: “a quel punto ci toccherà intervenire”. La menzogna di Trump quindi, ha rischiato di diventare verità. Il ‘danno enorme’ da finto stava per trasformarsi in reale. E da locale in globale.
Alla luce di questi dati, ci si accorge che l’atteggiamento di Khamenei è stato diametralmente opposto. Non una fiction che rischiava di impattare la realtà, come con Trump, ma un gesto coscientemente teatrale. Una performance pura. Un finto attacco al Qatar che rappresenta il desiderio chiaro di evitare il conflitto globale. Una mossa che ha fatto contenta la popolazione iraniana ribadendo la posizione di Khamenei come leader in tensione con America e Israele. Ma senza grossi danni. Né locali né globali. All’apparenza una continuazione dello scontro, nei fatti un cessate il fuoco. Un terzo atto in classico stile aristotelico: la risoluzione del conflitto che secondo il filosofo doveva caratterizzare le rappresentazioni teatrali ben riuscite.
Non è dato sapere se in futuro l’Iran sceglierà una strategia diversa. Come è noto Khamenei ha prodotto una fatwa contro l’uso del nucleare per scopi militari. Ma a marzo di quest’anno, il governo iraniano ha fatto sapere che, se minacciato, rivedrà le proprie posizioni. Il futuro è incerto. Ma quello che è certo è che la scelta dell’Iran di chiudere con un atto di fiction ha evitato, per ora, l’escalation. Si è nominato Trump per il Nobel per la Pace. Una follia che, se perpetrata, contribuirebbe a cementare la pessima reputazione che l’Occidente si sta costruendo in questi mesi bui. Ma se date il Nobel a Trump, dovete dare un Tony Award a Khamenei. Anche un Oscar. Per ora la sua scelta ha impedito che lo spettacolo della guerra si trasformasse in una gigantesca opera interattiva che coinvolge tutto il mondo. Una di quelle in cui non ci sono più spettatori perché tutti sono diventati, pericolosamente, attori.
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