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Lo psichiatra si è tolto il camice. Ma nessuno se n’è accorto

La psichiatria ha smesso di abitare le stanze della fragilità. La cura è diventata gestione, e il paziente un modulo da compilare

1 Luglio 2025

C’è stato un tempo in cui la psichiatria era un atto umano prima che clinico. Un tempo in cui il paziente non era un caso, ma una voce, una storia, un volto che chiedeva di essere ascoltato anche quando taceva. Il medico non curava il sintomo. Curava la frattura. Si sporcava con la realtà. Sbagliava, certo, ma restava.

Oggi la cura è diventata osservazione. Il dialogo, compilazione. La relazione, schema. Lo psichiatra si è tolto il camice e si è messo una giacca pulita. Ma sotto quella giacca non c’è più nessuno. Solo un incaricato. Un delegato dell’apparato. Una figura esperta nel linguaggio dell’adattamento.

“Ogni parola detta a un malato può essere una carezza o una ferita.” Lo scriveva Eugenio Borgna. E oggi abbiamo smesso di crederci.

La diagnosi non è più una ferita condivisa. È un protocollo di linguaggio. Il malato non è più portatore di enigma. È un utente. E il dolore psichico, quello vero, quello che non si misura, è diventato un disturbo d’umore da registrare.

Ma la psichiatria non nasce per normalizzare. Nasce per restare accanto a chi sta dove nessuno vuole guardare. Eppure, oggi si preferisce un paziente funzionale a un paziente disturbato. Un comportamento socialmente compatibile a una domanda disperata.

Non si lavora più con il mistero. Si lavora con la mediazione, con la gestione, con la prevenzione del rischio. La parola non è più rischio, è prudenza. Il silenzio non è più interrogazione, è vuoto da riempire.

Io ho conosciuto un medico che non aveva paura del pianto. Che ascoltava senza interrompere. Che non portava la terapia, ma la presenza. Oggi quell’umanità è scomparsa sotto i faldoni, i budget, i percorsi. E il paziente si accorge di tutto. Non perché sia esperto. Ma perché è vivo. Il paziente sente se viene ascoltato o inquadrato. Sente se gli stai accanto o se stai aspettando che finisca l’ora.

La psichiatria dovrebbe essere il luogo dove il mondo si rompe senza paura. E invece è diventata il posto dove imparare a non disturbare.

La cura, quando è vera, non spiega. Non consola. Non corregge. Ma si compromette. Perché solo chi si compromette regge. E solo chi regge, cura.

 

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