Italia
Sciopero generale per la Palestina, due milioni in piazza contro lo sterminio a Gaza
Lo sciopero generale proclamato da CGIL e USB contro il genocidio in corso ha mobilitato l’intero Paese: centinaia di cortei in oltre 100 città italiane, adesione massiccia, porti e strade bloccate, forte partecipazione giovanile. Reazione stizzita del governo.
Lo sciopero generale di solidarietà con Gaza e con gli attivisti della Global Sumud Flotilla ha attraversato l’Italia con una forza e una partecipazione che non si vedevano da anni. È riuscito, e con numeri imponenti. Piazze stracolme in tutte le principali città, ma anche nei centri minori. Cortei composti da lavoratori, studenti, cittadini comuni di tutte le età e di tutte le provenienze, con una folta presenza delle comunità di origine araba soprattutto nelle grandi città. Tantissimi i giovani in prima fila — per molti di loro, forse, la prima partecipazione a una manifestazione politica di questa portata. Bandiere della Palestina e dei sindacati, dei partiti e delle associazioni, striscioni contro il genocidio in corso a Gaza, cartelli a sostegno della flottiglia umanitaria Global Sumud. E insulti al governo Meloni.
Tutto si è svolto in modo perlopiù ordinato, inclusa buona parte dei blocchi stradali sulle autostrade e i presìdi davanti a porti e aeroporti (come a Pisa). Non sono però mancate intemperanze e tafferugli, con il ferimento di manifestanti e di 55 agenti di polizia.
Secondo quanto dichiarato dalla Cgil, oltre 2 milioni di persone — 400 mila secondo una stima ridimensionata dal Ministero dell’Interno — hanno partecipato ai cortei organizzati in più di 100 città italiane, aderendo allo sciopero generale proclamato da Usb e Cgil denunciare il genocidio in corso a Gaza e sostenere la missione umanitaria intercettata nei giorni scorsi dalla marina israeliana nelle acque di fronte a Gaza.
Una protesta diffusa e pacifica
La giornata di protesta ha coinvolto lavoratori, studenti, cittadini e attivisti, scesi in piazza per chiedere un immediato cessate il fuoco, la liberazione degli attivisti arrestati e la fine del blocco umanitario verso Gaza. La Cgil ha sottolineato che la mobilitazione si è svolta in un “clima pacifico e democratico”, con grande partecipazione popolare e senza incidenti rilevanti nella maggior parte delle città.
A Roma, migliaia di manifestanti hanno sfilato da Piazza Vittorio a Termini. Cortei affollati anche a Milano, Torino, Napoli, Bologna, mentre nei porti del sud – da Bari a Palermo – si sono svolti presidi e blocchi simbolici in segno di protesta contro i traffici militari. L’Italia è stato il primo paese europeo a indire uno sciopero generale nazionale per Gaza, un segnale forte che ha avuto eco anche all’estero.
Settori paralizzati e adesioni trasversali
Lo sciopero ha avuto un impatto notevole nei settori della logistica, dei trasporti, della scuola, della sanità e della pubblica amministrazione. Treni cancellati, ritardi diffusi, trasporto urbano a singhiozzo, voli posticipati: in molte città si sono registrati disagi significativi, ma largamente previsti. Nelle ferrovie regionali pugliesi, ad esempio, l’adesione ha raggiunto il 70 per cento.
A livello sindacale, l’iniziativa è stata sostenuta da Cgil, Usb e altre sigle di base, con l’obiettivo dichiarato di “rompere il silenzio istituzionale sul conflitto israelo-palestinese” e chiedere al governo un cambio netto di rotta.
Reazioni politiche
Le reazioni del governo alla mobilitazione sono apparse a tratti stizzite, scomposte e incapaci di riconoscere la legittimità democratica di una protesta che ha visto milioni di persone rinunciare a una giornata di salario per affermare una posizione politica e umanitaria.
Giovedì sera, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva liquidato lo sciopero con tono sarcastico, affermando che «weekend lungo e la rivoluzione non stanno insieme». Una dichiarazione che ha suscitato critiche da parte del segretario della Cgil Maurizio Landini, secondo cui «chi sciopera rinuncia a una giornata di stipendio, e lo fa per convinzione, non per farsi il ponte».
Anche il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha replicato duramente: «Weekend lungo? Che vada di traverso a chi insulta lavoratori e lavoratrici. Giorgia Meloni dimentica che chi sciopera rinuncia allo stipendio, dovrebbe evitare di fare battute così volgari. La verità è che attacca i manifestanti perché ha paura di queste piazze, ha paura di un Paese che si sveglia».
Il vicepremier Matteo Salvini ha definito la giornata “una vergogna”, aggiungendo che «farò di tutto d’ora in poi perché non succedano le vergogne di oggi, persone che perdono le visite mediche, università ridotte a bivacchi, l’università è quella dove hanno ucciso Kirk, onore a Kirk». In un secondo momento ha rincarato la dose, accusando la Cgil di aver lanciato “una guerra politica”, aggiungendo che «abbiamo dati una chance di fermarsi, ma ci sono 30 agenti feriti». A queste parole Landini ha replicato duramente: «Salvini ha minacciato brave persone, è una cosa mai vista prima».
Anche da parte delle opposizioni sono arrivate reazioni critiche verso l’esecutivo. La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha detto: «Giù le mani dai diritti». Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha accusato la premier di doppio standard, affermando che «Meloni è la prima ad agitare le piazze quando le conviene».
Ma se la manifestazione di ieri ha catalizzato l’indignazione alta e sincera di una larga parte della popolazione italiana — e la sua ferma condanna del genocidio in corso a Gaza — resta aperta una domanda cruciale su come trasformare la straordinaria mobilitazione in una pressione politica capace di produrre effetti reali per la popolazione civile palestinese. Per ora, l’energia delle piazze, indicativa di un sentimento nazionale che va al di là della conta dei presenti in piazza ieri, sembra scontrarsi da un lato con l’assenza di rappresentanza politica pienamente all’altezza, dall’altro con un quadro istituzionale impermeabile. Il rischio è che tanta partecipazione resti confinata nel simbolico, senza riuscire a incidere sulle scelte di fondo della politica estera italiana e europea.
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