
Italia
Violente manifestazioni di pace
Lo scenario internazionale che osserviamo quotidianamente dalle immagini dai media, rende sempre più netta la posizione dell’opinione pubblica dinanzi al conflitto tra Russia e Ucraina, che non offre margini di speranza e risoluzione, e al genocidio nella Striscia di Gaza e la grave situazione umanitaria. Quest’ultimo conflitto atavico che ha cause storiche, religiose e territoriali, dinanzi alla curiosità di un bambino o di un adolescente, innesca due possibili reazioni sul piano delle emozioni: la sensazione di rifiuto, di distacco e disinteresse dinanzi ad un tema troppo complesso o la sensazione che porta a schierarsi, da una parte o dall’altra, dividendo tra buoni e cattivi. Manifestazioni oceaniche, per dire basta al genocidio a Gaza, coinvolgono da tempo in tutta Italia tutti i settori, dal trasporto pubblico locale, alle ferrovie, scuole e servizi pubblici e continuano ad organizzarsi presidi, accampamenti con tende nelle grandi piazze delle città e si insorge proclamando lo stato di agitazione permanente.
Tuttavia si grida alla pace, si educa alla pace e si accompagnano i minori nella fruizione delle notizie sulla guerra ma, chi dai media, chi ha assistito in prima persona, le scene degli ultimi scioperi per cessare questo annoso contrasto, per porre fine alla strage di civili e consentire dignitosi aiuti alla popolazione palestinese, ha visto atti di scelleratezza ai danni di persone e cose. Il clima di odio legato a questa guerra spregevole, fomenta odio e atti di vandalismo in un circolo vizioso che non si riesce a spezzare. Atti di violenza da condannare che nulla hanno a che vedere con il diritto di manifestare pacificamente, ignobili attacchi perpetrati per il lavoro svolto dalle forze dell’ordine e ciò che lascia sgomenti, come nel caso di quanto accaduto durante lo sciopero a Milano, è la rabbia dei “giovani” manifestanti e la pericolosità dei sentimenti nei soggetti che strumentalizzano ogni tema per seminare violenza. Fumogeni, oggetti e parti di impalcature, bottiglie di vetro e cestini sradicati contro le forze dell’ordine e manifestando il proprio dissenso politico – lecito – bruciando l’immagine della premier italiana Giorgia Meloni e del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Le forze dell’ordine sono istituite appositamente per contrastare gli illeciti, devono intervenire, in modo consentito – chiaramente senza abusare del proprio potere e rischiando di commettere a propria volta un reato di abuso d’autorità – laddove non viene rispettato l’ordine per garantire la corretta e pacifica dialettica democratica, tutelando la sicurezza della popolazione e della comunità. Le trasgressioni dei manifestanti più belligeranti, appartenenti a frange estremiste e leader della provocazione, sono sempre evidenti, assumendo condotte a rischio, a scapito della vita propria e altrui. Spesso, soprattutto fra i ragazzi, durante queste occasioni di protesta, si assumono comportamenti che infrangono determinate condotte per mostrare agli altri fino a che punto riescono a spingersi. La trasgressione è una caratteristica fisiologica del percorso di crescita, in cui il rapporto con le regole educative e sociali viene rivisitato. Per poter crescere un ragazzo deve mettere in discussione e disancorarsi dagli schemi e dalle regole che gli adulti gli hanno fino a quel momento impartito, trasgredire, nel senso etimologico del termine significa infatti andare oltre, superare i preesistenti comportamenti per sperimentare nuovi contesti, acquisire nuovi modelli, alla ricerca della propria adeguatezza personale, sociale e politica. Ma quando la trasgressione, le aggressioni e la mancanza del rispetto altrui vengono a mancare, i comportamenti devono essere condannati senza indecisioni. Il diritto di manifestare non deve essere usato come scusa per atti di violenza, comportamenti ignobili e pericolosi per sfidare gli operatori per la sicurezza, dipingendoli in modo negativo. Si trascura il fatto che, al di là della divisa, le forze dell’ordine sono individui con diritti, doveri e una vita personale, hanno famiglie, paure e speranze come ogni altro cittadino. Il loro ruolo, per quanto possa essere soggetto a critiche – visto che si è ormai innescato il circolo vizioso di sfiducia e ostilità tra la polizia e la comunità – richiede un alto grado di responsabilità e professionalità, ma non li priva della loro umanità.
La narrazione mediatica inoltre non contribuisce a una valutazione sempre realistica dei fatti anzi spesso fomenta e diffonde comunicazioni in parte manipolate che non riflettono la complessità delle dinamiche che accadono. Dinanzi a situazioni di alta tensione dovute ad una folla esacerbata e potenzialmente ostile, dove il rischio di escalation violenta è una costante, il fattore psicologico vissuto dagli agenti di polizia ne influenza il comportamento. Testi forniscono un’analisi approfondita delle reazioni delle forze dell’ordine in contesti di protesta ma certo è che dover mantenere l’ordine dinanzi ad una situazione che sta degenerando determina un cambiamento psicologico che può ridurre il senso di responsabilità personale e aumentare la propensione all’uso della forza. Comprendere appieno queste dinamiche è improbabile, se non per chi convive quotidianamente con tali situazioni di pericolo, da parte di chi svolge un compito cruciale ed è incaricato della sicurezza di noi cittadini. Purtroppo davanti a questi atti di soprusi e di violenza, ci si interroga… se durante una manifestazione che “dovrebbe essere a sostegno dei popoli in guerra” non si condivide un dialogo pacifico, promuovendo soluzioni costruttive verso coloro cui mancano la libertà fondamentale e il rispetto dei propri diritti, come possono le nazioni coinvolte in guerra, convivere nel rispetto della propria ideologia, professare il proprio credo religioso entro i confini territoriali evitando tragedie e spargimenti di sangue?
“Tacciano le armi nella martoriata Ucraina” come sempre invocava Papa Francesco, bisognerebbe aggiungere scompaiano le scene esecrabili divulgate dai media e vissute da chi presente, giunga il buonsenso ai professionisti del disordine di piazza che più che scioperare per Gaza ha mostrato ed esterna la propria rabbia intestina contro la realtà geopolitica che ci governa, con lanci di transenne e cassonetti, alla stregua di una guerriglia urbana. A invocare la pace e il rispetto dei diritti dei popoli è il monito di Papa Leone XIV che sempre aggiunge nei suoi discorsi dopo la preghiera dell’Angelus domenicale: “Non c’è futuro basato sulla violenza, i popoli hanno bisogno di pace e chi li ama veramente, lavora all’unisono per la pace”. Il vandalismo non aiuta certo la causa di Gaza, israeliani e palestinesi non hanno bisogno di erigere mura che li separino quanto hanno bisogno di abbattere il muro che li divide ma per affrontare la complessità di questa situazione di guerra che ha un inizio e non conosce fine agli spargimenti di sangue: chi porta il proprio contributo scendendo in piazza quanto sarebbe disposto a rimboccarsi le maniche in prima persona per portare aiuto nei territori in cui sta sparendo persino l’ombra di donne e bambini?!
Catturare l’attenzione e lanciare responsabilità e vituperio verso un’unica direzione politica, riducendosi alle solite narrazioni confezionate da megafono, senza giungere pacificamente ad una giusta finalità è un atteggiamento che fomenta risentimenti e incentiva un linguaggio diseducativo per le giovani generazioni ovvero che basta una scintilla a far esplodere la scontentezza e convertire il malessere in violenza. Nuove manifestazioni per Gaza non mancheranno, auspichiamo in parole e opere concrete di aiuto verso gli stati in guerra, scioperare sbraitando con violenza a sostegno della tragedia dei popoli non fa svanire le bombe che continuano a cadere, rimane alla strenua di folklore politico “buono per le piazze” ma sterile per la storia che vede combattere e morire uomini, donne e bambini, su una terra devastata che non intravede un futuro di speranza.
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