Cristopher, incontrato sul cammino di santiago

Mondo

Incontri sulla via di Santiago, per guardare oltre il cancro e la guerra

Il percorso portoghese raccontato nelle storie di Christopher e Bruno, in cammino dopo la malattia e per affermare la pace nel mondo

25 Ottobre 2025

Il passo avanti compiuto da Cristopher, giunto sul crinale della morte per un cancro al pancreas, è stato quello di cancellare il proprio passato, svestirsi del ruolo di affermato uomo d’affari e riscrivere la propria storia ripartendo dal volontariato. Bruno invece la sua direzione l’ha imboccata percorrendo a piedi 24 mila chilometri in dieci anni in nome di quella rivoluzione personale contro le guerre che “oscurano il mondo e tengono in ostaggio le società moderne”.

Ultreya è il saluto medioevale che i pellegrini di Santiago di Compostela si scambiano lungo il famoso cammino di San Giacomo. Il termine latino significa guardare avanti. La risposta, in lingua antica, è et suseya, letteralmente ancora più in alto. Il filo rosso che lega la storia di Christopher a quella di Bruno è proprio la spinta ad andare oltre ogni confine razionale, fino al punto di sfidare la vita per riappropriarsi di sé stessi. Santiago per entrambi rappresenta la voce di sottofondo che scava nell’animo e che, lontana dalle fatiche dell’incedere dei passi del pellegrino, finisce per definire la rotta. La cornice comune a Cristopher e Bruno è la Galizia, terra di mezzo tra Portogallo e Spagna, nella quale si incrociano due esistenze apparentemente ordinarie che di colpo e per scelta diventano anticonvenzionali.

La parabola di Cristopher: da imprenditore di successo a missionario del bene

È americano dentro Cristopher Frigo, anche se il nonno nei primi del 900 è partito dall’Italia, dalla piccola Asiago, in Veneto, per cercare fortuna negli States affermandosi nella produzione e distribuzione di formaggi del belpaese.

Il sole di Vigo, borgo nella provincia di Pontevedra, in Spagna, oggi, sfiora il suo cappello da cowboy e un sorriso sornione. La sua è la storia iconica di un’America delle grandi possibilità che consente a un componente della middle class come lui di ritagliarsi una posizione di rilievo. Partito da una cittadina nei pressi di Chicago, ultimati gli studi, ha costruito un piccolo impero fondando una impresa che produce componenti per la lavorazione del marmo. Le commesse crescenti e il boom economico gli hanno consentito di affermare il suo successo che lo ha portato alla ricchezza. A confine tra Portogallo e Spagna, lungo il sentiero di Santiago, con lui c’è Lory, la moglie con la quale ha avuto quattro figli. La stessa donna solare che lo sta aiutando a rispolverare il motto che la famiglia Frigo si tramanda da decenni: “andare sempre e comunque avanti”. L’equivalente di quel saluto antico diventato un riferimento per chi sceglie di raggiungere a piedi Santiago di Compostela.

Spesso però è la vita che ti costringe a guardare oltre, così è stato nel caso di Cristopher. Lo scorso anno per puro caso scopre di avere un tumore al pancreas, un male di quelli che lasciano scampo solo a un esiguo dieci percento di malcapitati, dal quale lui si salva grazie a un rischiosissimo intervento chirurgico.

È l’inizio della sua piccola-grande rivoluzione interiore che ad appena 52 anni lo porta di lì a breve a vendere l’azienda e intraprendere un lungo viaggio per ritrovare se stesso. La dimensione che non vede più affari e guadagno ma la scoperta del mondo, a cominciare dall’impegno nell’aiuto degli altri mediante il volontariato. Partendo da piccoli borghi, come quelli italiani, che lui predilige per il calore umano che si respira, percorrendo in parallelo gli stessi passi del padre che negli Usa aveva fondato una missione di aiuto per i senzatetto.

Il modo più genuino per onorare una italianità della quale Christopher va fiero ma anche quello per allontanarsi da un lavoro dorato ma logorante come il suo e dalla solitudine che le città americane sanno trasmettere. Un vero e proprio inno alla vita espresso quando tutto sembrava perduto, racchiuso nelle poche parole pronunciate al momento del rilascio della Compostela, la pergamena che certifica il cammino: “purtroppo ho scoperto tardi che la vita e breve e non è consentito sprecarla”.

Bruno e l’asina Salam, lontani dalle convenzioni e in cammino per la pace nel mondo

Ultreya per Bruno Dias, giovane portoghese di 43 anni, da sempre vuol dire libertà, giustizia ma anche rivoluzione silenziosa. Dietro la storia dell’artista per la vita, come ama definirsi, c’è il cammino per una battaglia sociale anticonvenzionale portata avanti con lo zaino in spalla. L’esistenza di un giovane partito da una vita normale che esordisce all’interno di una buona famiglia di Lisbona e procede con un impiego di dodici anni nella logistica.

Tutto questo prima che anche lui decidesse di guardare avanti scegliendo nel lontano 2015 di raggiungere Roma a piedi partendo dalla città di Porto mediante un lungo viaggio durato cinque mesi. La capitale italiana per il giovane portoghese è da sempre il simbolo del potere da scuotere per restituire pace e giustizia all’umanità.

Bruno da quell’esperienza scopre che le catene che per anni lo avevano irretito si sono spezzate in un viaggio interiore che lo ha cambiato per sempre. La rivoluzione compiuta passo dopo passo per il giovane portoghese da quel momento non conoscerà più sosta neanche dinanzi ai dinieghi con un padre che non ha mai condiviso fino in fondo le sue scelte. Perché in lui c’è la spinta a vivere nell’incertezza del domani che qualunque genitore vorrebbe scongiurare ai propri figli.

Di rientro a Lisbona, dopo aver lasciato il lavoro, Bruno decide di studiare tutte le vecchie mappe dei cammini portoghesi e ricominciare la sua missione umanitaria partendo da Sagres per percorrere 2mila 400 chilometri in meno di 7 mesi. È vero che camminare spacca le gambe, come ripete spesso, ma apre anche la mente ed educa alla diversità.

La sua è la scelta estrema di chi appagato da tutto questo continua per la propria strada andando contro ogni avversità legata al tempo, le condizioni sociali dei posti attraversati, senza mai perdere di vista il faro delle grandi questioni sociali come la pace nel mondo.  Bruno dice senza mezzi termini che camminando ha visto in faccia tutte le grandi contraddizioni del nostro tempo: individualismo, capitalismo e morte. Accompagnato da quella precarietà che lo ha portato a patire anche la fame ma che, nonostante tutto, lo tiene in vita. La stessa tensione che ha animato la sua ambiziosa aspirazione: percorrere il cammino che da Santiago conduce a Gerusalemme.

All’alba del 2017 Bruno si mette in cammino con un gruppo di compagni di viaggio provenienti da quindici nazionalità differenti. La loro marcia sarà oggetto di attenzione di numerosi media. Nel gruppo c’è anche una ragazza che mette a disposizione un’auto, mezzo accettato a malincuore da Bruno il quale continua a credere che la vera rivoluzione passa esclusivamente dalle proprie gambe. Avrà la meglio e a Pamplona, in Spagna, i giovani della spedizione baratteranno il mezzo con due asini, uno dei quali è Salam, amico a quattro zampe che diventerà per Bruno compagna inseparabile. Passato dalla Francia del sud il gruppo raggiunge intanto Ventimiglia, in Italia, per poi spingersi nella costa fino alla Toscana dove l’impresa si concluderà anticipatamente.

Siamo così ai giorni nostri: Bruno adesso gestisce, per conto della fondazione Cammino di Santiago, un ostello del Pellegrino a Portela, comune che ricade lungo il tratto spagnolo del pellegrinaggio. Adesso la sua vita è legata ai passanti che si muovono in direzione Santiago e sul domani, come sempre, il giovane portoghese dice di non avere piani.

Prima il cammino, ripete come un mantra, poi la mia vita, l’unica verità ad oggi è di avere percorso in meno di dieci anni una distanza pari al tratto che da Lisbona arriva in Nepal. Il resto è solo incertezza, la stessa precarietà raccontata dall’americano Cristopher ma che in fondo è comune nell’esistenza di chi sceglie di cambiare la propria direzione di vita.

Difficile in questi casi pianificare il domani ma in fondo è giusto che sia così. Una condizione che conosce bene chi di passaggio verso Santiago non sa cosa lo aspetta e si aggrappa con fatalismo alla speranza di un “buen camino”.

 

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