
Mondo
Gaza: servono fatti per riaccendere la speranza. Il tempo delle parole è finito
Gaza muore: il tempo delle parole è finito dentro lavacri di sangue e nel buio delle coscienze.
Le parole di Mattarella sono inequivocabili e urlano nel silenzio dell’ipocrisia sui diritti dei popoli e i legami inviolabili con la loro terra (“focolare” nel riconoscimento della coesione e nella protezione condivisa) come primo pilastro emergente di una democrazia sorgente e base di una convivenza pacifica su cui possa gemmare l’altro pilastro dello Stato di Diritto e della giustizia. Così le opinioni pubbliche globali stanno abbandonando il Governo di Israele. Perché dopo quasi 60mila morti in oltre 20 mesi di Calvario e una Striscia di Gaza ridotta a brandelli e monconi con milioni di persone ridotte alla fame e alla sete nel disordine (“pianificato”?) degli aiuti (concentrati e non diffusi) si è spezzato anche l’ultimo anello con la tragedia del 7 ottobre di fronte alla condanna a morte di un popolo intero massacrato e immobilizzato, impossibilitato a qualsiasi fuga. Come dicono anche David Grossman e Anna Foa con una distruzione totale e migliaia di bambini deglutiti nell’oblio della forza debole degli “effetti collaterali “ ormai si è rotta ogni “proporzionalità” in una sanguinosa contabilità. Li dove si è inceppata ogni umanità, cancellate tutte le tracce di civiltà come quelle della pietà che anche ogni soldato dovrebbe sempre rispettare almeno pensando a un qualche dopo. Cancellati in pochi mesi 60 anni di convivenza pur difficile e problematica. Ossia, tutte le Leggi di Noè incastonate nel Talmud sono state seppellite e per la prima volta dalla nascita dello Stato di Israele. Inoltre, riattizzando la velenosa ripresa dell’antisemitismo in tutto il mondo e in USA ed Europa in particolare, mettendo a rischio la sicurezza stessa di Israele per il presente e per il futuro e di ogni ebreo in ogni luogo come esito tragico e devastante e che non possiamo accettare perché solo dalla sua mitigazione dipenderà l’equilibrio medio-orientale e una prova di entrata definitiva in frammenti di modernità e in pace. Tenendo conto che il processo distruttivo avviato a Gaza in risposta alla tragedia del 7 ottobre non ha portato né all’eliminazione di Hamas (obiettivo impossibile secondo ex-capi dello Shin Bet e del Mossad) né al ritorno degli ostaggi che continuano a mancare all’appello, vivi o morti. Dunque, con Israele che nonostante la potenza di fuoco e tecnologica scaricata sulle Terre di Abramo sembra “perdere la guerra” con il mondo che gli volta le spalle per la prima volta dalla formazione dello Stato Sionista nel 1957 e tragicamente contribuisce a far riaffiorare il termine violento della “deportazione” che dovrebbe essere cancellato da ogni vocabolario umano e mai sibilato in quello ebreo in particolare per ciò che potrebbe far riaffiorare. Un processo che infatti sta allontanando anche lo stesso mondo arabo moderato in un isolamento politico-militare impensabile “raffreddando” lo stesso Trump nonostante le tante e confuse oscillazioni e sbandamenti, peraltro utilizzati da Netanyahu in modo sconsiderato.
Servono allora fatti (comprese le tante manifestazioni di solidarietà al popolo palestinese e israeliano insieme) perché il tempo delle parole e’ finito se vogliamo come occidentali fermare lo scempio di civiltà operato da Netanyahu e supportando il popolo israeliano ad uscire dalla paralisi nella quale lo ha portato questo Governo di estrema destra teocratica. Una destra estremista che sembra cercare una illusoria “Guerra Finale” forse solo per salvare se stessa ma senza una direzione, una missione e un futuro che protegga il popolo israeliano da una insensata e cieca furia messianica sostenuta da una artificiosa polarizzazione radicale invece di provare ad unire e saldare gli ebrei tutti per il ritorno degli ostaggi, negoziando. Una traiettoria disastrosa confermata, peraltro dalla decisione dolorosa di molti israeliani di lasciare il paese perché ne percepiscono ormai la debolezza e fragilità nonostante la potenza di fuoco di uno degli eserciti più armati e preparati del mondo, come “paradosso di insicurezza”. Proprio in quella “Terra Promessa” che è sempre stata della Speranza nell’Attesa che fu da dopo la liberazione dalla schiavitù egiziana in un viaggio millenario che rischia di arenarsi ancora una volta nell’angolo polveroso tra le rive del Mar Rosso e del Mediterraneo, tra il deserto del Negev e le Alture del Golan.
Cosa serve allora ?
Intanto, serve in primo luogo, un cessate il fuoco e un associato atto ineludibile per quanto simbolico (ma nemmeno tanto visto che 147 paesi ONU lo hanno adottato su 193 assieme allo Stato del Vaticano) come il riconoscimento dello Stato Palestinese nell’interesse sia dei palestinesi e sia della sicurezza di Israele sempre più “fragile e super-armata” nel mondo oltre che al proprio interno. Poi – in secondo luogo – cominciare a interrompere le forniture di armi ad Israele e tutti gli accordi che intercettano progetti di sviluppo commerciali e accademici (e non) double use. Poi – in terzo luogo – è il momento di affidare con urgenza gli aiuti e l’acqua ad una authority indipendente terza che li distribuisca in modo diffuso (e non concentrato per scatenare gli assalti) secondo criteri di equità e giustizia con il supporto di Ons, Unrwa ma anche di UE e USA senza escludere l’ANP quale chiave vera della Governance per il controllo politico della Striscia. Aprire – in quarto luogo – un tavolo di trattativa parallela a quelli già in corso (tra Israele, Usa, Paesi del Golfo per mediare con Hamas la restituzione immediata degli ostaggi) tra ANP-Autorità Nazionale Palestinese (da includere necessariamente negli “Accordi di Abramo”) e Israele per definire la “Governance della Ricostruzione” di Gaza nel “dopoguerra” (perché ci si dovrà arrivare!). Certo con il supporto dell’ONU come arbitro super partes e l’UE e il Vaticano stesso quali “garanti umanitari” degli aiuti continuando ad esercitare pressione sul Governo d’Israele per rinnovare e stabilizzare una tregua che fermi l’insensata carneficina di civili inermi e l’azzeramento infrastrutturale (ospedali, scuole, luoghi di culto).
Verso la speranza per una rinnovata convivenza
Certo tutte misure che devono interagire perché insistono sugli stessi fattori interdipendenti, ma tenendoli anche distinti per provare ad esplorare in concreto soluzioni per un popolo che sta’ per essere sterminato se non sottoposto alla “soluzione finale” in un tragico accartocciarsi di rovesciamento della storia. Nella certezza che quella Terra di Abramo è la Palestina e sulla quale devono potere convivere due Popoli e due Stati che storia e civiltà hanno riunito – magari in una Federazione come suggerisce il filosofo ebraico Omri Boehm – in pace e nel rispetto, riconoscendosi reciprocamente come fu nel Grande Sogno di Rabin che per quello fu assassinato per mano di un israeliano fondamentalista. Da qui abbiamo il dovere e l’urgenza di ripartire per avviare una pacificazione essenziale per tutto il Medio Oriente che e’ impensabile senza i due popoli (Popolo Ebraico e Popolo Palestinese) come agenti civili in una terra insanguinata ma per un’area proiettata verso una modernità possibile e antidoto alle degenerazioni etniche e religiose che la attraversano da secoli. Perché ormai sono state superate tutte le linee rosse come riconosciuto anche da esponenti del Governo italiano (Tajani e Crosetto) anche di supporto alla trattativa USA per la liberazione degli ostaggi, eppure nei “timidi e silenti gesti” di Giorgia Meloni su Netanyahu e il suo “vuoto strategico”. Qualcuno disse di là dai tempi “alzati e cammina” e oggi ogni uomo/donna democratici dovrebbe ergersi dal torpore confuso delle troppe paure e andare nelle piazze a testimoniare la speranza e infondere coraggio alla politica per non arrendersi ad un lascito ereditario di odio e di indifferenza pensando che basti proteggere api, orsi e delfini. No, non basta, abbiamo il dovere di proteggere anche l’umano che è in noi con ogni palestinese e ogni israeliano (e certo con ogni ucraino) senza i quali non potremo vivere oltre perché frammenti di una stessa integrata umanità che rischia di spegnersi lasciando pezzi di dolore e sangue nel deserto di un conflitto secolare. Uomini democratici allora “alziamoci e camminiamo a gridare la speranza” con Leone XIV e Sergio Mattarella perché già ieri era tardi e potremmo non vedere alcun domani nel buio della coscienza e della mente, nell’oscuramento della compassione e della pietas, nella hybris dell’egoismo e dell’indifferenza provando a riaccendere la luce dello spirito !
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