
Mondo
Il tempo di uccidere
L’assassinio di Charlie Kirk si inserisce in un contesto storico di violenza politica negli Stati Uniti dove ormai il dibattito pubblico è degenerato in un clima di ostilità permanente. Occorrono parole nuove e depotenziare l’odio
L’assassinio di Charlie Kirk, attivista, predicatore conservatore e ideologo del movimento politico Maga del Presidente Trump, si inserisce in un contesto storico di violenza politica negli Stati Uniti dove ormai il dibattito pubblico è degenerato in un clima di ostilità permanente, alimentato per primo in questi anni dalla stessa destra radicale repubblicana.
Questo evento, sintomo di una crisi più ampia della capacità di dialogo e convivenza civile in quella che una volta era una delle democrazie occidentali più influenti, è accompagnato da accuse, tensioni e timori di un ulteriore crescita della violenza politica interna.
Il clima di odio politico e sociale, accentuato da divisioni ideologiche profonde, rischia di alimentare ulteriori conflitti non solo negli Stati Uniti ma in Europa e in tutte le società occidentali e le liberaldemocrazie che già stanno attraversando da tempo una crisi di legittimità e di consenso.
L’era digitale e la conseguente pervasività e diffusione a livello mondiale delle immagini di guerre e violenze, ormai vissute in diretta, finisce con il creare un clima dove conflitti internazionali e polarizzazione interna si influenzano reciprocamente in un rapporto bidirezionale, dove le tensioni esterne e le crisi geopolitiche amplificano le divisioni sociali e politiche all’interno degli Stati.
Come i conflitti sociali alimentano la polarizzazione e le scelte di politica estera così i conflitti esterni, le crisi geopolitiche, generano incertezza, paura e dibattiti divisivi sulle risposte da adottare, contribuendo a rafforzare posizioni estreme all’interno della società.
Le opinioni pubbliche si schierano in fazioni, gruppi contrapposti su questioni strategiche, morali o di alleanze, accentuando la sfiducia tra gruppi politici e sociali. Una polarizzazione che trova ulteriore alimento quando il conflitto viene utilizzato come strumento politico per consolidare identità e contrapposizioni di politica interna che esasperano le divisioni.
La polarizzazione interna finisce così con il condizionare la politica estera in una maniera inedita rispetto al passato e può spingere le politiche dei governo verso posizioni più rigide o contrapposte, riflettendo la divisione della società e l’incapacità di trovare una linea unitaria.
In casi estremi una società polarizzata finisce con il favorire scelte strategiche di isolamento o di confronto diretto, minando la coesione nazionale nella gestione delle sfide internazionali.
Siamo di fronte a dinamiche sociali profonde dove il conflitto contribuisce alla formazione di identità basate sulla definizione dell’ “altro” visto come nemico, rischiando così di aumentare la frattura sociale e la delegittimazione dell’avversario, innescando una spirale di conflitti a più livelli e di violenza mimetica incontenibile.
Si sta delineando sempre più chiaramente la necessità di scelte che possono sembrare contraddittorie e divergenti ma vanno percorse entrambe.
Da un lato gli Stati e i governi devono ristabilire la supremazia del diritto e difendere le nostre democrazie, con tutti gli strumenti statuali e di deterrenza possibili e legittimi, dalle ostilità e dai pericoli di aggressioni di varia natura, rassicurando l’opinione pubblica da paure e timori con lucidità, senza cadere nella trappola delle provocazioni esterne che continueranno ad esserci ed intensificarsi.
Nello stesso tempo diventa fondamentale contrastare la polarizzazione poiché la divisione interna indebolisce la capacità degli Stati di gestire responsabilmente le crisi interne ed internazionali, mentre occorre evitare anche escalation che coinvolgano direttamente o indirettamente la società civile.
Quanto del malessere nel nostro corpo sociale, che in Europa non è ancora arrivato ai livelli di violenza endemiche nella collettività e fra gruppi come negli USA , ma che costituisce il consenso di massa dei movimenti populisti e sovranisti, quanto sarebbe stato più facilmente governabile, se si fossero viste in tempo le profonde divaricazioni socio economiche, timori, paure e insicurezze che la globalizzazione aveva provocato nelle nostre società, indebolendone le difese?
Proprio in un tempo di sfide e decisioni inedite determinate dalle guerre totali che stiamo attraversando, le politiche di coesione economica e sociale, sono elementi centrali che contribuirebbero a ridurre il senso di esclusione che sta alimentando sempre più ampie tensioni e contrapposizioni interne.
Viviamo un tempo, per riprendere l’Ecclesiaste, dove “Tutte le parole sono logore e l’uomo non può più usarle.” Occorrono parole nuove e con esse depotenziare l’odio.
Rigenerare il linguaggio e l’azione collettiva sono sfide imponenti perché tutte le parole, se usate senza un’azione reale che le sostengono, rischiano di rimanere sterili; occorrono comportamenti, atti politici e pratiche sociali.
Associazioni, scuole, movimenti civici, corpi intermedi e le confessioni religiose hanno un ruolo centrale nel tentativo di costruire comunità resilienti e coese attraverso progetti partecipativi, l’ estensione degli spazi di confronto e le iniziative di solidarietà concreta.
Determinante il ruolo di media e social media nelle verifiche su attendibilità e demistificazione di informazioni alterate e distorte che creano nella nostre società un consenso un orientamento pre-politico su false verità.
Siamo al cuore e alla radice della democrazia e del suo agire comunicativo e procedurale che ne costituisce il presupposto.
In tempi che si stanno caratterizzando per un inedito nuovo rapporto tra masse e potere, mediato da una incontrollata tecnologia digitale, dove i fenomeni di autoritarismo si estendono anche nelle democrazie storiche consolidate, la collaborazione tra istituzioni, politica e società civile sarà fondamentale per rigenerare la fiducia e spezzare la spirale dell’odio che rischia di travolgerci.
Vorrei dare il mio contributo da una angolazione diversa: ogni gruppo conservatore al mondo vede come un nemico ogni diverso dal proprio gruppo, che in occidente è tipicamente maschio, bianco e cattolico, e la religione è sia causa, sia massima espressione di conservatorismo.
Ecco perché tutti i partiti conservatori che hanno “valori” religiosi al proprio centro supportano leggi e politiche contro gli immigrati, le donne, i gay ed i non credenti, ai quali impongono in ogni modo le loro credenze, con la complicità dei conservatori in Parlamento. Italia docet.
Utile ricordare che anche il buon papa Francesco abbia definito assassino chi ricorra all’aborto, e abbia definito armi i contraccettivi.
Ecco come nasce la violenza, ieri cruda e fisica, oggi sottile e nascosta nelle leggi che impediscono a due cittadini di sposarsi se dello stesso sesso, e di morire con dignità ai tetraplegici bloccati in un letto da decenni
…prosegue dal primo post:
Kirk era un conservatore duro e puro, e diffondeva tutto il suo carico di intolleranza verso ogni “diverso” ed ha seminato violenza che gli è tornata indietro, complice il supporto conservatore alla NRA ed alla libera circolazione delle armi negli USA