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La “notte delle democrazie liberali” sotto attacco di “autocrazie elettorali e illiberali”.

Quali vie d’uscita per proteggere la Civiltà Democratica dal riemergere di nazional-populismi “vuoti”?

17 Novembre 2025

1 – Democrazie liberali sotto attacco e il conflitto tra i “due Occidenti”

Le “democrazie liberali” nate dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese, poi accompagnate alla fioritura delle libertà individuali, religiose e scientifiche anche con i successivi salti tecnologici delle rivoluzioni industriali – poi consolidate con I^ e II^ Guerre Mondiali, oltre colonialismi, nazi-fascismi e comunismi autoritari – sono sottoposte ad erosione corrosiva da almeno 30 anni e forse anche da prima. Ma gli ultimi 20 hanno disvelato una cuspide accelerativa. Democrazie che hanno rappresentato la culla della civiltà nella sua versione moderna a partire dal XVIII secolo con la coniugazione triangolare tra libertà, uguaglianza, fraternità con la caduta degli assolutismi e lo zampillare della prima borghesia commerciale  e poi economico-industriale e che gemmeranno le prime Costituzioni. Ma dall’attacco alla Twin Towers alle catastrofi “parallele” dell’invasione Ucraina e di quella di Gaza seguita alla tragedia del 7 ottobre ne vediamo l’arretramento o l’arresto sul fronte del progresso di pace del quale abbiamo usufruito per quasi 80 anni. Non solo sul perimetro del cosiddetto Occidente Liberale e Democratico che ha avuto nell’America a stelle e strisce il suo più potente focolare di diffusione di libertà come garanzia di stabilità  e crescita poi seguita dall’Europa che usufruirà di quel potente ombrello difensivo e di deterrenza che sarà l’Istituzione della Nato. Ma anche per gli “effetti democratici” sui territori post-comunisti fino all’ implosione dell’ URSS con la Caduta del Muro di Berlino del 1989. Perché quel “Primo Occidente” consolidava la conquista dei diritti politici e civili, la separazione dei poteri statuali (legislativo, governativo e giudiziario), la supremazia delle leggi sui poteri ( di qualunque natura siano), la responsabilità “collettiva” del Governo (nominati dai Parlamenti) e l’indipendenza della magistratura. Con un Primo Occidente moderno dunque fondato sullo Stato di Diritto che Montesquieu aveva ben disegnato e che condurrà anche allo Stato Sociale di un welfare condiviso e orientato ad una crescita di progresso e pace incentrandola nei due cardini della Sovranità del Popolo e del suo potere di rappresentanza affidata ai Parlamenti con la mediazione dei primi partiti della agricoltura estensiva prima  e con la “produzione di massa” industriale poi . Una architettura democratica che sembra scuotersi e incrinarsi proprio con il salto verso la “produzione personalizzata e dell’ automazione” degli anni ’80 e ‘90 e con la crisi conseguente dei “partiti di massa” sostituita dalla forza di emergenti capi-partito con poteri autocratici di fronte allo sgretolamento del consenso e all’accelerazione del “dissenso silenzioso” inscritto nel 50% di astensione al voto in quasi tutti i paesi occidentali e in primo luogo negli USA con una democrazia stanca già negli anni ’70 del secolo scorso. È la percezione di sfiducia verso una politica portatrice di interessi di parte e che non è in grado di risolvere problemi, ma solo di comunicare (forse), e dunque “vuota”. A partire da una grande diseguaglianza connessa con un fisco iniquo che tende a penalizzare il lavoro rispetto ad altri redditi e che svuota il welfare, e subendo dunque una redistribuzione sempre più debole a favore di ineguali e abnormi concentrazioni di ricchezza. Una concentrazione che non fa crescere di più gli stati democratici anzi li frena e blocca con monopoli, tecnocrazie e un governo delle tecnologie vendute come “neutrali”, crescendo tra 0, qualcosa e 1, qualcosa d’altro. Le persone non si fidano più allora di  una politica ridotta a pura tecnica. Anche perché ritengono i politici ” incompetenti di fronte alle complessità del presente e in quanto nominati” che rispondono a criteri di “fedeltà” che non lavorano per il “bene comune”. Aprendo in questo modo la via al “Secondo Occidente“. Nei paesi a democrazia matura nascono allora “leader forti”(apparentemente) ma ostaggi del consenso e tuttavia da alcuni anni sempre più costretto nella “ridotta” del “potere dei social” e delle trappole del free speech come liberalizzazione dell’odio, per definizione, asimmetrico e che riempie le tasche di big tech polarizzando l’opinione pubblica a favore degli “hater” o degli “odiatori professionali” e ormai mascherati da AI-agents. Una traiettoria trasformativa che sembra condurre le democrazie sul bordo del vulcano di “autocrazie elettorali” con involuzioni tecnocratiche o neo-imperiali per coprire i “vuoti di consenso” e le difficoltà redistributive di un keynesismo ormai debole  e fragile alle prese con il debito. Nasce allora – nel Secondo Occidente – la capo-crazia di “capi nazional-populisti” che attaccano tutti i corpi intermedi e le authority oltre che gli intellettuali critici verso il potere (come sempre avvenuto) e compresa la stampa libera e uomini o donne dello spettacolo “scettici” verso forme di ostensione della “fede nel potere” sempre più debole e senza idee. Partendo innanzitutto dal cuore della democrazia più antica: gli USA. Ma con molte emulazioni anche in Europa tra ovest e est ( Orban in Ungheria, Erdogan in Turchia, Milei in Argentina, ecc.). Leader nazional-sovranisti (che si richiamano alla Sacra Triade – Dio, Patria, Famiglia) che vogliono azzerare tutte le mediazioni e i filtri tra loro e il Popolo con una “missione mistica” tesa a giustificare il ” disassamento” tra laicità e Stato di Diritto piegando e piagando le stesse fedi religiose in “corpi statuali”. Se questa è la transizione – come probabile e sostenuto da fatti ormai noti  e consolidati – c’è allora da domandarsi quali siano le cause profonde, primariamente. Mentre, secondariamente, sarebbe utile oltre che necessario esplorare possibili vie d’uscita ad una tale “distrofia” (muscolare, neuronale e etico-spirituale) della democrazia, illusoriamente compensata da leader assertivi, decisionisti, (apparentemente) “insostituibili” e – soprattutto – “infallibili”, come i Papi pre-scismatici e che impongono una torsione anche al capitalismo concorrenziale verso  una sua forma tecno-statuale e neo-corporatista anti-concorrenziale.

2 – Leadership populiste senza progetti e soluzioni verso accentramento dei poteri

Leader che per queste caratteristiche sono funzione delle debolezze e fragilità delle democrazie liberali e funzionali ad un accentramento di quei poteri che lo Stato di Diritto aveva distribuito per bilanciarli dinamicamente come antivirus delle degenerazioni del “potere della maggioranza“. Una derivata dello sbriciolamento delle funzioni di rappresentanza parlamentare dei partiti, ma espressione di cambiamenti dell’ economia e della società e ( anche) oggi guidati dall’uso della tecnologia digitale e del Web che hanno cambiato le forme e forze della rappresentanza e i rapporti di forza organizzata tra capitale, lavoro e opinione pubblica, avendo cambiato sia il primo che i secondi in modo radicale verso un controllo sempre più concentrato e alimentando diseguaglianze. Compresa – soprattutto – una enorme sfiducia verso le classi dirigenti e in primo luogo della politica espressa dai “partiti” e dai ” politici” definiti via via clientelari, auto-interessati o egoisti ed egocentrici. Ma anche dei sindacati, essendo le fabbriche e gli uffici del ‘900 sottoposte ad una “mutazione epocale” immersi nei fiumi digitali e della globalizzazione, ora toccati orizzontalmente dai social, dall’ AI e dalle deviazioni distrattive da questi indotte per il controllo dell’attenzione e ormai anche dell’intenzione. Condizionando tanto le scelte di acquisto quanto quelle di voto. Per uno spostamento del controllo dall’ attenzione all’ intenzione, appunto. Il potere politico si fa allora “ibrido” con-fondendo cesarismo dei capi-popolo con quello tecno-pratico delle Big Tech, che ormai rifiutano ogni mediazione aspirando al Governo diretto senza passare nemmeno per le tradizionali lobby politico-affaristiche. In questo modo il potere scivola verso la perfetta auto-referenzialità’, cortocircuitato da “orti ideologici” (destra xenofoba e razzista) protetti dalla secolarizzazione civica in arcipelaghi clanici autoalimentati da social auto-confermativi, “illuminati” dalla presunta “neutralità tecnologica”. Una “macchina ideologica e cacofonica” del web che ha frantumato l’idea di “bene comune” spingendo solo molecolarismi individualistici, egoistici ed egocentrici “riflessivi” ossia localizzati e territorializzati in arcipelaghi isolati e isolanti. I partiti non svolgono più alcuna funzione aggregante di comunità, trasformati in bacini di interessi individualizzanti e corporativi sfumati da “gabbie ideologiche”( tecno-populismi e nazional-sovranismi) attorno alle sbandierate nuove paure della ” sostituzione etnica” e/o del ” controllo digitale” delle libertà, alle quali rispondere con scorciatoie come la “remigration” e spingendo sul “free speech” nei social e a corrente alternata ormai “personali e a bassissima trasparenza” (da Truth a X fino a Telegram). Anche per accendere transazioni fuori dai circuiti legali dei sistemi bancari garantiti dalle banche centrali  e alimentare monete digitali come nel mondo oscuro di criptovalute e bitcoin. Allora, le “solidarietà sociali” della terra prima e della fabbrica poi sono implose “sostituite” (forse) dall’ideologia del radicamento etnico-eugenetico e/o del sangue mescolato a volte con la lingua a seconda degli interessi e dei contesti, ma senza risposte alle tante povertà e diseguaglianze riemergenti. Scavando distanze e vuoti enormi tra rappresentanti e rappresentati e che ritroviamo nella forte e crescente “astensione dal voto”, ma anche nella denatalità, nell’abbandono scolastico o nella “fuga all’estero dei giovani”  guardando all’Italia ( ma non solo). La gente si allontana dalla politica e si isola in una protesta antistatalista e antisistema ( anti-vax, anti-scienza, anti-scuola), cioè anti-establishment, come funzione di un’ onda diffusa e profonda di sfiducia in contesti di isolamento solipsistico di massa nelle bolle social con  sola finestra a una via da 8 pollici. Anche da qui le policrisi (dalla bolla web, all’ecologia, dai subprime al Covid) e la nascita di leader populisti che vincono le elezioni (urlando all’immigrato illegale o ai blocchi navali) ma poi non governano (Front National in Francia o Afd in Germania): dove invece governano, dichiarano di abbattere il sistema per sostituirlo con un altro o della “capo – crazia” capace di risolvere tutto con scorciatoie o una decisione forte e veloce che scavalla tutte le regole burocratiche, percepite come lente e farraginose (vedi il caso Milei della sega alzata al vento “nell’Argentina ricca di argentini poverissimi” post peronisti) .

3 – Quali soluzioni oltre le scorciatoie della capo-crazia ?

La democrazia liberale se indifesa può spegnersi e morire, ma che “nonostante i suoi difetti e limiti rimane il sistema migliore” – dicevano i moderni classici –  e che tale rimane. Perché la “capo-crazia” prova a tagliare tutte le regole di convivenza a favore di una “molecolarizzazione di sopravvivenza individualizzante” entro logiche corporative e transazionaliste, svuotando tutti gli organi di garanzia, le regole della concorrenza e anche quelle del merito, premiando solamente la fedeltà al capo. Una capo-crazia premiale di un “soggettivismo vitalista” finché non si scontra con la concorrenza, che sopravvive finché l’arcipelago regge se non sommerso dalla marea della complessità reale, reggendo nell'”immobilità di un galleggiamento” che non potrà mai essere perpetuo. Proteggendo il debito in attesa dei compratori ma tagliando le spese e senza alcuna idea di crescita. Infatti, la produttività in Italia non cresce da 30 anni e la produzione industriale ferma da 33 mesi con semplice gonfiamento delle ore lavorate  e di lavori poveri, liberi di scendere senza un “salario minimo” e di incentivo all’azzeramento degli investimenti innovativi. Una “idea di stabilità” appesa alla speranza di un minor costo del debito e alla crescita dell’inflazione per ridurne il costo, erodendo il potere d’acquisto (vedi fiscal drag) e rinviando sine die gli accordi contrattuali nazionali. Una strategia ideologica in forte contrasto (anche) con la post globalizzazione e con i dazi emergenti del trumpismo. La capo-crazia ha necessità di arcipelaghi isolanti anche per ridurre i pluralismi e per schiacciare le minoranze nella “marginalità”. Ancora una volta per sottrarre spazio ai meccanismi della democrazia liberale di solidarietà e inclusione ma anche di concorrenza e merito ridotti entro gli “orti separatisti del consenso” alimentato da corporatismi (in Italia foraggiando agricoltura, turismo, popoli delle partite Iva, ed evasori o fingendo super-multe a big-tech). “Orti corporatisti” che contrastano con logiche, pratiche, culture e regole di una Europa unita e che ritroviamo nella Costituzione Italiana da curare e proteggere. Innanzitutto, provando a riavvicinare i cittadini alla politica rendendola meno asfittica, più accogliente e inclusiva. Coinvolgendo i cittadini nella co-progettazione locale e non solo, ricostruendo l’attrattività dei “beni comuni” senza rinunciare a promuovere reti di start-up innovative e imprenditorialità, mobilitando le onde dei movimenti civici “includendoli” nei partiti (da ambiente a sostenibilità, da cultura a formazione professionale, da mobilità a sanità). Certo stabilità ed equilibrio delle leggi elettorali e forme di Governo come il cancellierato alla tedesca potrebbero aiutare. Trasformazioni utili a ridefinire – in senso largo e inclusivo – i perimetri di selezione delle classi dirigenti. Leadership più capaci di lungimiranza e di co-gestione (ibridante e contaminante) nella governance condivisa di interdipendenze crescenti tra economia, società, ambiente e tecnologia verso salute e benessere di persone, comunità, territori, istituzioni e organizzazioni: A-traguardando alle esigenze di complessi e dinamici ecosistemi; B-promuovendo e valorizzando le reti tra scuola, ricerca scientifica e organizzazioni d”impresa, come reti sociali e solidali per far convergere competizione e cooperazione; C-sviluppando Alleanze tra pubblico e privato, tra Stato e mercato, tra comunità e territori in senso federalista. In questo modo, trasformando e migliorando le nostre democrazie come case di comunità dei diritti, della solidarietà e del civismo, come bene irreversibile: Zusammen. Per andare verso la generazione di nuovi spazi della politica come co-progettazione aperta e sperimentale di una società dialogica e dialogante orientata alla salute e al benessere di persone, comunità ed ecosistemi integrati mobilitando l’intelligenza naturale collettiva e la produttività cognitiva per creatività condivise e per ridurre le diseguaglianze.

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