Mondo

L’inverno prossimo venturo

La pace non è data una volta per tutte, non è qualcosa di scontato, men che meno in questa parte del mondo europeo.È esattamente il contrario, perciò la guerra in Ucraina ci riguarda

24 Ottobre 2025

Le guerre ad alta e bassa intensità proseguono con i loro lutti, devastazioni, le vittime, gli “urbicidi”. Senza proposte concrete di soluzioni politiche parziali e minime, che sono essenzialmente territoriali, militari e di difesa, rimaniamo chiusi nella comfort zone di appelli morali che servono sostanzialmente a rassicurare i nostri mondi di riferimento e l’opinione pubblica.

Per lungo tempo le cronache dei contatti, dei colloqui diretti o indiretti tra le parti belligeranti sembravano funzionali solo a pause tra una fase del conflitto e quella successiva.In Medio Oriente solo quando si è consolidata una sorta di equilibrio dei rapporti di forza sul terreno devastato, di prevalenza militare di una parte allora e solo allora si sono aperti spazi alle tregue.

Stiamo vivendo ora un tempo nel quale a fatica cogliamo come la politica sia tornata a essere aspra e drammatica, con nazioni e popoli che stanno ridefinendo la loro identità nazionale nella difesa del proprio paese e nella contrapposizione con il nemico, in una situazione di emergenza dove si rinforzano ed emergono linee di frattura violente. Eppure questo disordine e questo caos andrebbe indagato, distinto nelle sue singole parti, per capire equilibri e rapporti di forza, proporre concrete soluzioni politiche. L’indispensabile azione umanitaria non può essere l’alibi dietro cui nascondere la mancanza di volontà politica di leggere il conflitto e assumere concrete decisioni e azioni coerenti.

Siamo tra soggetti che si muovono per la difesa, la perpetuazione, l’espansione dei propri interessi. Emil Cioran ebbe a scrivere un giorno “Machiavelli sa bene che Marco Aurelio è stato un’eccezione. I Tiberio, i Nerone, i Caligola, sono la materia della storia. “ La crisi contemporanea sta toccando aspetti essenziali dell’ ordine politico e giuridico, viviamo nel pieno di cambiamenti d’ epoca e di paradigma, ma non riusciamo a dominarli. L’invasione russa dell’ Ucraina e il carnage mediorientale sono il culmine di un processo di rilegittimazione dell’uso della forza e della guerra, che è da sempre tragica manifestazione estroflessa dell’esercizio del potere.

Rispetto a Gaza una tregua e un fragile piano di pace ha potuto concretizzarsi perché gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Trump, si confermano come vero e proprio dominus nel più ampio scenario regionale. La loro capacità di proiezione militare e deterrenza è ancora senza pari rispetto alle nazioni che si confrontano nell’ area. Mentre l’Europa sostiene l’Ucraina, ma riconosce al momento, obtorto collo, la supremazia militare americana, preferendo agire come un alleato riluttante, disposta a contribuire economicamente per mantenere lo status quo. L’unico attore capace di impiegare armamenti strategici rimangono infatti gli Stati Uniti, detentori di un arsenale che può cambiare le sorti del conflitto.

Questa supremazia militare rende il loro ruolo insostituibile, ma anche controverso, poiché la loro capacità di decidere sulla scena si scontra con le volontà della UE che, desiderando controllare il proprio destino, vorrebbe rafforzare ulteriormente il sostegno decisivo a Kyiv, spesso limitata pero’ dall’incertezza di Trump e delle sue decisioni di politica estera, che avrebbe anche il potere di rimuovere parte delle sanzioni decisive alla Russia che l’Europa intende impedire.

Per questa ragioni sia europei che russi danno corda all’ambiguità, agli stop and go, tra lusinghe e minacce della presidenza americana, senza però che tutto ciò abbia, ad oggi, modificato qualcosa sul fronte di guerra ucraino, sostanzialmente fermo da due anni ma con una Russia che usa ormai sistematicamente i bombardamenti e le uccisioni di civili come arma di ulteriore pressione e terrore.

Tutto ciò è tuttavia la dimostrazione, il segnale che all’interno di questa cornice, si potrebbe arrivare anche a degli accordi impropri, dei “dirty deals “ come direbbe Wolfang Münchau , perché frutto di diplomazie spesso nascoste e negate alle rispettive opinioni pubbliche. “Sovrano è chi decide e governa lo stato d’eccezione “. E davanti alla guerra, stato d’eccezione per antonomasia, mentre attendiamo il nuovo mondo auspicato dal pensiero post-coloniale forse converrebbe che le grandi potenze si ritrovino in un direttorio, attivando una nuova forma di concertazione che provi a disinnescare, gestire e contenere le situazioni più drammatiche.

Tanti infatti sono i conflitti da Cipro, alle Coree, allo stesso quadrante iracheno-siriano , che si sono placati, senza un vero trattato di pace ma con armistizi tra le parti che si perpetuano nel tempo. Se vogliamo rilanciare la buona pratica affermatisi gradualmente dopo i conflitti mondiali, di modelli decisionali più evoluti e condivisi, mediazioni realmente pacificatrici per consenso, che hanno segnato un lungo tratto del nostro cammino e del diritto internazionale con la fondazione dell’ ONU dopo il 1945, dobbiamo avere il coraggio di capire che questo è oggi il contesto e il terreno su cui oggi siamo costretti a confrontarci.

Disposti ad accettare in questo momento risultati insoddisfacenti, forse a garantire anche impunità, a vedere realizzarsi solo parziali armistizi e tregue, a un pace che fotografa i rapporti di forza e le linee del fronte, ma che passa da una consapevolezza politica che non abbiamo il coraggio di dirci. Non possiamo vivere ancora nell’illusione. La pace non è data una volta per tutte. La pace non è qualcosa di scontato, men che meno in questa parte del mondo europeo.È esattamente il contrario, perciò questa guerra in Ucraina ci riguarda ed è anche la nostra guerra.

Essa e’parte di un progetto sinistro che ciclicamente riappare nella storia ed il cui scopo è sempre lo stesso: come sottomettere alcuni popoli, come dividere , influenzare e  limitare la libertà, lasciando spazio ad autoritarismi e dispotismi che vedono come esiziale alla loro sopravvivenza l’espansione di processi democratici vicini a loro.

Un tempo, ideologie diffuse fornivano una chiave interpretativa unitaria del mondo, anche se ciò comportava spesso piegare gli eventi a distorsioni e letture deformate. In Italia, questa eredità storica culturale continua a influenzare fortemente il panorama politico, con visioni parziali che hanno segnato profondamente il dibattito pubblico. Tuttavia, quelle narrazioni, per quanto distorte, offrivano una cornice chiara che inquadrava gli avvenimenti in un quadro interpretativo coerente. Oggi, invece, quella solida struttura interpretativa è venuta meno, lasciando spazio a visioni frammentate e spesso contrastanti, che rendono più difficile trovare un filo conduttore condiviso per comprendere la realtà politica e sociale.

La stessa realtà del cosiddetto sud globale, come ipotetica soggettività politica pacificante alternativa all’occidente, che affascina tante parti della nostra società civile progressista, essendo una realtà cosi variabile per alleanze, visioni e interessi, dimensioni geo economiche e geopolitiche degli Stati che lo compongono, appare più il frutto di un illusione desiderante, un abbaglio.

Come ha scritto recentemente Manlio Graziano, il sud globale sembra la versione riverniciata dell’eterno fantasma della politica internazionale: il vecchio terzo mondo, l’insieme collettivo reso popolare da una parte del cattolicesimo e del marxismo-leninismo degli anni sessanta, che teorizzo’ una contrapposizione semplicistica tra paesi ricchi e “sottosviluppati”, in realtà sotto le influenze egemoniche divergenti al tempo del bipolarismo USA – URSS,  a dispetto anche della loro evoluzione e della volubilità, dato che molte di quelle nazioni hanno cambiato, in questi decenni di globalizzazione, definizioni e composizione, potenza, ruolo e postura internazionale.

C’è un aspetto tragico e insieme grottesco in certo declamato cinismo che dilaga nelle analisi, nei commenti, nelle reazioni di parte della pubblica opinione e nel pensiero mainstream. In questa visione, in nome del disincanto della fine delle ideologie, si è legittimato il ritorno a logiche tribali, alla prevaricazione e alla rivendicazione di spazi imperiali, sminuendo la civiltà e la democrazia politica a mere formalità, svuotandola del suo significato sostanziale considerata in fondo, un peso e ostacolo da superare piuttosto che un valore da difendere.

Ci si abbandona al fascino illusorio della grande “Storia” ridotta solo a forza, egemonia e volontà di dominio. Invece il passato insegna che questi cinismi hanno sempre aperto la strada alle peggiori tragedie e sono state l’anticamera dell’inferno; compiendo con coraggio scelte di difesa di un mondo e di uno spazio di democrazia e libertà che non dobbiamo dare per scontato, possiamo ancora evitarlo.

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