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Trump vuole il premio Nobel per la pace ma fa la guerra alle città americane
Dopo la tregua a Gaza Donald Trump sperava di ottenere il premio Nobel per la pace per eguagliare Barack Obama che lo ricevette nel 2009. Intanto, le sue guerre alle città americane gettano più di un’ombra sul suo pacifismo.
Maria Corina Machado, la vincitrice del Premio Nobel per la Pace, ha telefonato a Donald Trump e le ha detto che accetta il riconoscimento per onorare l’inquilino della Casa Bianca perché lui lo “meritava”. La Casa Bianca ha accettato il complimento ma ha allo stesso tempo sottolineato la delusione asserendo che la Commissione del Premio Nobel ha scelto “la politica invece della pace”.
Trump è forse l’unico individuo a promuovere la sua candidatura al Premio Nobel per la Pace. Nel suo recente discorso alle Nazioni Unite ha dichiarato di aver posto fine a ben sette guerre, bacchettando l’organizzazione internazionale di non avere nemmeno alzato un dito per aiutarlo. Strano che un presidente che ha modificato il nome del Dipartimento di Difesa a Dipartimento di Guerra ambisca al premio per la pace. Si crede che Trump voglia eguagliare Barack Obama che vinse il Premio Nobel nel 2009. Nel suo discorso di accettazione Obama disse che non lo meritava e che doveva “guadagnarselo”. Trump non l’ha guadagnato ma si autoproclama meritevole.
La tregua nel conflitto di Gaza ottenuta da Trump gli ha però permesso di segnare gol politici di pace e si vedrà se riuscirà a farlo con il conflitto in Ucraina. Ciononostante Trump rimane un presidente che continua con le sue guerre specialmente verso le città americane governate dai democratici. In assenza di reazione dai due rami legislativi che assecondano Trump in tutto quel che vuole i magistrati federali gli stanno però mettendo i bastoni fra le ruote.
Negli ultimi mesi Trump ha dispiegato membri di Guardie Nazionali a Washington D.C., Los Angeles, Chicago e Portland con la scusa che bisogna controllare la criminalità e detenere gli immigrati senza documenti. Il 47esimo presidente si è in effetti inventato una realtà che non esiste per mostrare i muscoli e intimidire i suoi avversari politici. Nel caso di Portland la giudice federale Karin J. Immergut, nominata proprio da Trump nel 2019 durante il suo primo mandato, ha congelato l’uso della Guardia Nazionale. Nella sua decisione la Immergut ha asserito che il tentativo di Trump di federalizzare la Guardia Nazionale sarebbe legale se esistesse il pericolo di un’invasione o ribellione che le comuni forze dell’ordine non possono gestire. La Immergut ha continuato dicendo che l’interpretazione del presidente è “slegata dai fatti”, ossia non c’è nessun pericolo imminente.
Quando poi l’amministrazione Trump ha deciso di importare membri della Guardia Nazionale di altri Stati la Immergut ha perso le staffe ed ha chiarito agli avvocati del presidente che non tollererà il loro giochetto.
Anche nel caso della Guardia Nazionale in California Trump si è scontrato con il giudice federale Charles Breyer il quale ha dichiarato che le azioni del presidente violano il Posse Comitatus Act, legge del 1878, che proibisce l’uso di membri delle forze armate per il controllo della criminalità il cui compito appartiene alle forze dell’ordine locale. Breyer, come Immergut, ha chiarito che “Non c’era ribellione, né evidenza che le forze dell’ordine civile non potevano gestire”. Il caso però è stato appellato e la Corte ha congelato parzialmente la decisione di Breyer mentre si svolge una completa inchiesta.
Trump si è scontrato con i magistrati anche nel suo tentativo di federalizzare la Guardia Nazionale dell’Illinois per supportare gli agenti dell’Ice, Immigration and Customs Enforcement, l’agenzia che controlla le frontiere e l’immigrazione. In questo caso la giudice federale April Perry ha imposto un blocco al dispiegamento della Guardia Nazionale per almeno due settimane. La Perry ha spiegato che l’amministrazione Trump non ha fornito prove credibili che esiste “il pericolo di una ribellione”, la premessa legale per l’uso della Guardia Nazionale in faccende interne. In questo caso Trump ha deciso di fare un ricorso di emergenza alla Corte Suprema dove spesso ha notevoli successi. L’organo di magistratura più alto del Paese è propizio all’attuale inquilino della Casa Bianca, perché come si sa, 6 dei 9 giudici sono stati nominati da presidenti repubblicani, 3 proprio da Trump.
La Corte Suprema non ha ancora deciso se accetterà il caso essendo alle prese con parecchi altri provvedimenti presentati da Trump. Le audizioni per uno molto importante inizieranno il 5 novembre. Tratta del potere del presidente di imporre dazi unilateralmente sorvolando l’articolo 1, Sezione 8, che conferisce al Congresso il potere di imporre tasse e “regolare il commercio con Paesi esteri”. Il Congresso ha delegato il potere al presidente in casi di emergenze nazionali. Trump ha detto che il deficit commerciale con i Paesi esteri è un’emergenza e quindi lui non ha scelta eccetto di usare i dazi per difendere gli interessi nazionali. Sappiamo però che il presidente Usa improvvisa le sue dichiarazioni di dazi dipendendo dal suo umore come ci conferma il 50 percento di dazio imposto al Brasile perché ha avuto la temerarietà di condannare l’ex presidente Jair Bolsonaro.
La giudice Immergut nella sua decisione di bloccare l’uso della Guardia Nazionale ha spiegato che l’America “è una nazione di legge costituzionale, non di legge marziale” suggerendo che il presidente non ha potere assoluto. I casi alla Corte Suprema ci chiariranno se lei ha ragione o Trump continua sempre più ad acquisire legalmente poteri dittatoriali.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.
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