Questione islamica

Peace please

12 Ottobre 2025

In un mondo arroventato dalla violenza, dall’ingiustizia, dall’odio e dalla guerra, discutere di pace sembra quasi un’utopia. Eppure è un desiderio, seppur inconscio, condiviso già in epoche storiche lontane, persino da coloro che, amanti della guerra, alla stregua degli Spartani, desiderosi di dimostrare il proprio coraggio e l’eroismo in battaglia dinanzi agli Ateniesi, posero fine all’eterno conflitto, firmando la pace dei trent’anni. Di odio indiscriminato, di oppressioni, guerre e vite umane spezzate, la storia racconta la complessità di concetti apparentemente scontati come pace e guerra, evidenziando come la loro realizzazione sia cambiata nel tempo. Il detto “Si vis pacem, para bellum” – se vuoi la pace, prepara la guerra – è quantomai attuale, spesso frasi come “La pace sia con voi”, “Non uccidere” e “Porgi l’altra guancia” sono concetti che lasciano spazio alla vita di figure di santi che praticavano una pace interiore onirica, forse solamente riportata dagli amanuensi sui testi biblici. Pace è per definizione la situazione contraria allo stato di guerra, garantita dal rispetto dell’idea di interdipendenza nei rapporti internazionali, e caratterizzata, all’interno di uno stesso stato, dal normale e fruttuoso svolgimento della vita politica, economica, sociale e culturale.

Costruire un mondo di pace oggi, in questo contesto di arretramento etico e civile in cui viviamo, risulta difficile, sui campi di guerra che ancora incendiano il mondo e mietono vite umane…solo i morti conoscono la fine della guerra. Siamo bombardati da testimonianze di conflitti in tempo reale, il conflitto russo-ucraino,la guerra israelo- palestinese, presentano lo stesso scenario di sangue, un ammasso fumante di macerie e corpi da recuperare mentre aumentano le richieste dei tour di guerra, ovvero chi paga 800 dollari per assistere da lontano a qualche esplosione in corso da una postazione in collina, debitamente allestita di poltrone.  Il sapore della pace, che non è quello del Borscht, la minestra ucraina che insegna l’importanza del cibo come gesto d’amore e unità, per qualcuno è un ricordo lontano. Mentre il ricordo della cessazione della pace a Gaza, il 7 ottobre 2023 rimarrà indelebile e vicino, quando Hamas e altri gruppi terroristici, penetrando in territorio israeliano lungo il confine con la Striscia di Gaza, hanno provocato la morte di circa 1200 persone. Donne e uomini hanno vissuto la perdita dei propri figli, dei propri cari, hanno visto sgretolare case, speranze e diritti, sotto le macerie: noi a distanza abbiamo assistito impotenti alla strage di decine di migliaia di persone su una stretta striscia costiera, osservando dagli schermi della TV e dallo smartphone, lo sguardo di chi vivrà con una ferita interiore e un trauma che durerà a lungo. Dal 7 ottobre sui territori in guerra si è abbattuta una pioggia di bombe senza precedenti, che hanno peggiorato la già difficile situazione umanitaria, con conseguenze economiche catastrofiche: disoccupazione, dipendenza dagli aiuti internazionali, difficoltà a ottenere cure mediche e infrastrutture fondamentali regolarmente distrutte dalle guerre, guerre che per il popolo palestinese si perpetravano da anni. La Striscia di Gaza è stata sottoposta a guerre e occupazioni dagli anni ’90, sfociata poi nel 2006 con l’introduzione di un vero e proprio blocco israeliano contro Hamas – gruppo militante palestinese, considerato organizzazione terroristica – che ha peggiorato la situazione per ben 19 anni, con la popolazione palestinese che è riuscita appena a sopravvivere.

La Striscia di Gaza, questo pezzo di terra, ampio circa 365 km², che si estende per circa 41 chilometri in lunghezza e non più largo di 12 chilometri, è una zona di grande importanza geopolitica per la sua posizione strategica vicina all’ Egitto ma anche al Mar Mediterraneo, una terra che reca i segni di un conflitto nato nel 1948, quando fu proclamato lo Stato indipendente di Israele. Questioni storiche e religiose legate alla terra, al controllo dei territori e al diritto di autodeterminazione – perché mentre Israele è uno Stato sovrano riconosciuto, la Palestina è un’entità territoriale che si riferisce alla regione storica situata nella parte orientale del Mediterraneo – hanno destabilizzato per anni una regione fragile, carica di tensioni, con popolazioni limitrofe che vivono nell’instabilità economica e politica.  Meteorologicamente parlando, il sole torna sempre a splendere dopo la tempesta, e dopo 735 giorni di guerra si intravedono segni di speranza e di tregua. Il conflitto israelo-palestinese sembra cessare grazie ai negoziati di pace di Trump che ha sostenuto “Abbiamo fermato la guerra, sarà una pace duratura”…chissà, auspicando non si realizzi la pace dei trent’anni, firmata tra le poleis di Atene e di Sparta: lo scopo del trattato era prevenire lo scoppio di una nuova guerra, trattato di pace fallito nel raggiungere il suo obiettivo.

La Palestina è riconosciuta oggi da oltre 130 Paesi membri delle Nazioni Unite e l’aspirazione a divenire uno Stato sovrano sarà realizzata, poter instaurare relazioni diplomatiche ufficiali con i diversi Paesi e poter accedere alle organizzazioni internazionali. Ma laddove il sole della pace comincia a fendere il grigiore della guerra, i fumi della guerra in Ucraina si alzano ancora, la tanto desiderata pace non è ancora riuscita a trovare posto nelle menti e nei cuori, nonostante le numerosissime vittime e l’enorme distruzione. Dopo il successo e l’accordo avvenuto in Medio Oriente, il premier ucraino Zelensky ha chiesto al presidente degli Stati Uniti lo stesso impegno da mediatore di pace per il conflitto russo-ucraino che non si può protrarre, un conflitto che si è incancrenito sempre di più, a detrimento di milioni di persone. Purtroppo ovunque vi siano guerre aperte è compromessa l’armonia sociale del mondo, perché questi conflitti si compiono in armi sui campi di battaglia, ma coinvolgono emotivamente gli animi umani, i “danni collaterali” sono i nomi e i cognomi di uomini, donne e bambini che hanno perso la vita, rimasti orfani e privati del futuro. Sono moltitudini umane che hanno sofferto e continuano a perire per la fame, la sete e il freddo, rimasti mutilati a causa della potenza degli ordigni moderni, sotto gli occhi di chi, seduto comodamente da lontano, continua ad assistere ai teatri di guerra, da divulgare sui social, alla stregua di videoreporter. Osservare gli occhi dei bambini di queste guerre, significa assistere ad una sorta di assuefazione, perché nonostante la brutalità di queste situazioni belliche e i massacri che hanno visto spegnere i propri cari, c’è ormai un coinvolgimento emotivo di questi piccoli e fortunati superstiti ormai vissuto con apparente distacco e rassegnazione perché gli episodi crudi che vivono entrano nel loro vissuto quotidiano con una facilità inedita.

Sfortunatamente l’utilizzo dei media rende scenografico ciò che nella realtà – per qualcuno – è tutt’altro che una fredda immagine mediatica da modificare in una GIF e rendere virale: la guerra è spesso raccontata con modalità narrative e visive che tendono a spettacolarizzare i conflitti, di guerra e sociali, rendendoli quasi parte dell’intrattenimento quotidiano. Occorre dunque un maggiore impegno della Comunità internazionale per salvaguardare e tutelare la dignità umana, prevenire questi conflitti di odio che continuano a dilagare nel mondo. La Comunità internazionale incoraggi le parti coinvolte a intraprendere un dialogo costruttivo e serio cercando soluzioni nuove, perché la pace non sia una parvenza, uno stato temporaneo di dialogo e responsabilità, la pace va coltivata ogni giorno attraverso l’educazione, il rispetto e l’empatia verso l’altro. La cordata dei leader europei e il tycoon della Casa Bianca – “Trump uomo di pace” – dovranno continuare a mediare e a far sì che le scintille di tregua della guerra che si cominciano ad intravedere tra i fumi delle bombe possano diventare focolai di pace, a Gaza e in Ucraina, non solo rimuovendo gli strumenti bellici ma andando ad estirpare alla radice le cause dei conflitti. Auspicando di poter assistere ad un prossimo incontro “non facile” attorno ad un tavolo di lavoro per la ricostruzione del futuro dei popoli, confidiamo nelle giovani generazioni di ogni nazione, che sappiano contribuire all’edificazione del dialogo e del rispetto tra le culture, sappiano con il giusto discernimento, affrontare il presente e il futuro con saggezza, attribuendo il giusto peso alle fake news divulgate dai progressi rischiosi delle nuove tecnologie dell’informazione, perché a vedere la pace non siano solo coloro che per realizzarla hanno perso la vita, non sia solo una speranza e non rimanga solo una definizione da leggere e meditare.

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.