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Medicina

Morti sulla coscienza (senza obiezioni)

di Caterina Bonetti
20 Ottobre 2016

In un paese democratico la libertà individuale dovrebbe avere sempre come limite il rispetto della libertà degli altri. In un paese democratico le leggi andrebbero rispettate e fatte rispettare.
In gran parte del nostro paese la presenza massiccia di obiettori di coscienza nelle strutture ospedaliere pubbliche impedisce la corretta applicazione della legge 194. Una buona legge che garantisce il diritto alla salute riproduttiva, alla maternità (quando desiderata) e all’aborto.
Ieri una donna, incinta di due gemelli, è morta, probabilmente (saranno i magistrati ad appurarlo) per un mancato intervento del medico obiettore su uno dei due feti in sofferenza.
Questo riapre ancora una volta il dibattito, già rilanciato nei mesi scorsi dal pronunciamento del Consiglio d’Europa, sulla situazione dell’obiezione di coscienza in Italia.
Ubbidire alla propria coscienza è legittimo e sacrosanto, ma occorre assumersene la responsabilità in toto. E se responsabilità di uno Stato è far rispettare e attuare le leggi è chiaro che andrebbe posto un limite ai posti disponibili in struttura pubblica per i medici obiettori. L’obiettore che sceglie ginecologia come specialità (fra le tante possibili per un laureato in medicina) sa a cosa può andare incontro. E si assume la responsabilità di una scelta, legittima, ma personale. Attualmente invece il peso della scelta personale dei medici obiettori ricade interamente solo sulle spalle delle pazienti ed, eventualmente, dei colleghi che – da non obiettori – sono costretti a portare avanti tutto il “lavoro sporco”. Quando ci sono. Quando non ci sono la gente rischia di morire e a volte muore. Per complicanze forse assolutamente affrontabili se gestite in tempo da un paese responsabile nei confronti della salute dei suoi cittadini. Corre l’anno 2016, primo anno del Fertility day.

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