«Si fa meglio ascoltare chi dimostra di far bene a casa propria». La considerazione finale delle “Considerazioni finali sul 2014” lette dal governatore Ignazio Visco nel corso dell’odierna assemblea annuale della Banca d’Italia, è riferita al «dibattito tra paesi , talvolta difficile e teso» circa le molte questioni, non solo finanziarie, da affrontare nell’Unione europea. Ma la saggia osservazione di Visco ha un valore più ampio. Perciò, in mezzo alla conferma che «in Italia, pur in quadro più debole di quello dell’area, si è avviata la ripresa» e all’attenzione sempre vigile «tanto alle inefficienze dello Stato quanto a quelle del mercato», è interessante applicarla in “casa propria” del governatore, visto che, si sa, l’esempio si segue meglio quando viene dall’alto.
Il 30 ottobre dello scorso anno, dunque, il Consiglio superiore della Banca d’Italia aveva fissato i compensi spettanti ai futuri membri del direttorio: «450mila euro per il governatore (da 495mila, ndr), 400mila euro (da 450mila, ndr) per il direttore generale e 315mila euro (invariato, ndr) per ciascuno dei Vice Direttori generali». Dalla relazione annuale diffusa oggi, Visco, il direttore generale Salvatore Rossi e gli altri tre vicedirettori in carica «hanno espresso autonomamente la volontà di adeguare, per tutta la durata del loro mandato, i propri compensi ai nuovi importi stabiliti per i futuri membri del direttorio». A una prima lettura, una gesto di alta sensibilità istituzionale, se non fosse per l’esito imbarazzante del confronto.
In Europa, nel 2014 il compenso del presidente della Bce è stato di 379mila euro, mentre il presidente della Federal Reserve è di 201mila dollari. In Italia, poi, sarebbe in vigore il tetto massimo sugli stipendi della pubblica amministrazione a 240mila euro, cui si pure prontamente adeguato anche la Presidenza della Repubblica. Ma, in Europa, per un corollario surrettizio dell’indipendenza delle banche centrali, il limite non è applicabile a Banca d’Italia. Per capirci, siamo dalle parti della sentenza della Corte costituzionali che bocciò il taglio agli stipendi dei magistrati perché ne avrebbe leso l’autonomia. Il caso è in realtà più grave, perché lo scorso ottobre il Consiglio superiore di Bankitalia avrebbe potuto e dovuto dare l’esempio, riducendo a una misura ragionevole (il confronto internazionale parla chiaro) gli stipendi dei membri futuri del direttorio, lasciando alla sensibilità di quelli in carica, a cominciare da Visco, la scelta se dare il buon esempio da subito o godersi la sproporzionata remunerazione fino a scadenza del mandato.
Che questa scelta non sia indipendente dal resto, poi, lo si vede anche dal modo in cui procede, con calma e gesso, la ristrutturazione della elefantiaca organizzazione della Banca d’Italia, il cui numero di dipendenti (7.100 a fine 2014) e ancor di più quello delle filiali (58) è abnorme rispetto i compiti oggi svolti, in buona parte trasferiti alla Bce. Una sproporzione resa ancora più evidente dal passaggio avvenuto lo scorso novembre delle competenze di vigilanza a Francoforte. «Entro la fine del 2018 il numero di filiali scenderà a 39 – ha detto Visco – dalle 58 attuali e le 97 del 2007». Cinquantanove filiali e 7.100 dipendenti, di cui quasi 170 distaccati presso altri enti, prevalentemente la Bce, costano. I risparmi di un’azione più incisiva potrebbero aumentare l’importo che viene riconosciuto al Tesoro a titolo di signoraggio (1,9 miliardi nel 2014, invariato rispetto al 2013). Ma, si sa, è più facile lottare contro le inefficienze in casa altrui che in casa propria. Si spiega così la piccola astuzia del governatore che si è vantato come «in questo quinquennio i costi operativi della Banca sono diminuiti di oltre il 14 per cento in termini reali; vi hanno influito soprattutto le politiche di contenimento della spesa corrente». In termini assoluti, però, non è cambiato nulla: sempre di 1,9 miliardi di euro si parla.
Bilancio Banca d’Italia 2014 – Fonte: Relazione annuale
A conclusione di un anno storico, in cui l’Istituto guidato da Visco ha ceduto buona parte delle competenze di vigilanza bancaria alle Bce, e di certo quelle sui 14 gruppi più importanti, sarebbe stato opportuno ricevere anche un consuntivo storico sull’attività di vigilanza e sulla sua efficacia. Oggi, senza considerare il malato cronico Mps – una banca che dal 2011 a oggi ha raccolto sul mercato 10 miliardi di euro (incluso l’aumento in corso), e ne ha bruciati 14,6 miliardi in perdite – , sono 16 le banche in amministrazione straordinaria, e non si tratta solo di piccole Bcc, l’ammontare delle sofferenze è arrivata a sfiorare i 200 miliardi, il 10% del totale dei crediti, cui vanno sommati 150 miliardi di altri prestiti deteriorati, per un totale del 17,7% degli impieghi. Non è poco per un sistema bancario i cui vertici per molto tempo hanno detto che le nostre banche non erano come le altre.
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