“Facevo il libero professionista, l’architetto, a Pescara. Per ragioni professionali ho incontrato, quasi per caso, il mondo della cooperazione. Sono rimasto in qualche modo folgorato, per l’impatto rivoluzionario che quel modo di fare case poteva avere su tutta la filiera, e a vantaggio di tutti. E da lì è cominciata una mia nuova vita, professionale e non solo” Massimiliano Monetti è ora presidente di Confcooperative Abruzzo e delegato di Confcooperative nazionale alle Cooperative di Comunità. Racconta l’incontro con la cooperazione come qualcosa che ha cambiato davvero il suo approccio al lavoro e quindi alla vita “Mi sono dedicato, negli anni, al design territoriale e allo sviluppo di economie alternative e diverse. Mi sono dedicato quasi esclusivamente al tema dello sviluppo dell’economia del territorio tramite le imprese cooperative, ed è stata la mia porta di accesso al mondo della cooperazione in senso lato“. Oggi che il processo è maturato la sua esperienza abruzzese è conosciuta ben oltre i confini della Regione e – racconta con un certo orgoglio – “stiamo ricevendo una delegazione di sindaci bergamaschi vengono a studiare le cooperative di comunità”.
Cosa sono le cooperative di comunità lo stiamo scoprendo, un po’ alla volta, sulle pagine de Gli Stati Generali. In che modo le ha scoperte Massimiliano Monetti?
Mi avvicinai alla cooperazione entrando nel cda di un consorzio di cooperative che era in default. E in quel momento scopro un mondo a me del tutto sconosciuto, fino a quel momento. Scopro che le persone possono costruire e farsi casa senza passare da un immobiliarista. La casa di cui hanno bisogno, come la vogliono, senza che nessuno si arricchisca su un’aspirazione così basilare e legittima, ma facendo sì che tutti possano vivere dignitosamente. Un passo dopo l’altro, mi trovo presidente di Confcooperative in Abruzzo. A capo di una macchina che ancora non conoscevo.
Lei a capo di un mondo che conosceva poco, in una regione tra le meno conosciute d’Italia.
Già, l’Abruzzo è piccolo e marginale, è fatto di aree interne e borghi lontani e spopolati. Insomma, è fatto di marginalità: e io ho pensato che la nostra ricchezza fosse appunto ai margini, dove non c’è nulla. È proprio riflettendo su come trasformare questa povertà in risorsa, che mi appassiono molto al tema delle cooperative di comunità, e inizio a pensare che lo sviluppo di un nuovo sistema cooperativo, capace di dare nuova forza alle aree abbandonate, sarebbe potuto essere decisivo. In Lombardia o in Emilia non sarebbe stato uguale, anzi, forse non sarebbe stato possibile. Davvero la marginalità di questo territorio stimolò in molti, a cominciare da me, uno sforzo creativo.
Così, iniziai a presentare un progetto “dieci cooperative di comunità per l’abruzzo”. E con mia sorpresa, la cosa ha fatto presa. Io dicevo: mettiamo insieme quel che c’è, e diamogli una forma. Partimmo da Pizzoferrato: tutti mettevano sul tavolo quel che facevano e li hanno marchiati come cooperative di comunità. Hanno dato valore comunitario a quel che facevano.
Un giorno mi telefona Giovanni Teneggi, che voi avete intervistato, uno dei pionieri dell’esperienza delle cooperative di comunità, per venirmi a incontrare. Ho capito da quell’episodio che c’era un mondo, per quanto piccolo, che aspettava solo di essere riconosciuto.
E il movimento cooperativo nazionale, quello più istituzionale, come vive questa esperienza?
Nel 2017 andai da Gardini, presidente di Confcooperative nazionale, a sollecitare un sostegno diretto alle cooperative di Comunità. Lui raccolse l’idea e la fece crescere, fino al lancio di un bando di Fondo Sviluppo. Di 33 domande arrivate al bando, 11 erano abruzzesi. Il movimento sul nostro territorio stava evidentemente crescendo, ormai in maniera spontanea.
Del resto, in quel momento lo sviluppo immobiliare era del tutto fermo, e la cooperazione di comunità è stata una risposta anche a questa crisi. Io ho iniziato a parlare di “abitare i luoghi”, che significa farli vivere per quel che sono, con le loro peculiarità. Poi ci puoi costruire alloggi: ma farlo prima che siano davvero abitati non ha senso. Noi, in quel momento, ci stavamo chiedendo se chiudere il sistema dell’abitare nel mondo della cooperazione oppure no. Da Milano questo si fa a fatica a capire, perchè anche nei momenti peggiori il mercato non si è mai fermato. Ma l’Italia è sempre più spesso molto diversa da una città effervescente e ricca, è piuttosto un territorio spopolato e pieno di case vuote. Con Alessandro Maggioni, abbiamo reinterpretato il modello del sistema di abitare, e abbiamo cambiato il modello, costruendo confcooperative Habitat. Noi costruiamo l’habitat in cui le persone vivono. Questo apre lo scenario delle cooperative di comunità, cambiando paradigma. Questa è la genesi di un cambiamento che oggi è ormai diventato realtà.
Concretamente, le cooperative di comunità come accompagnano questo processo di (ri) abitazione dei luoghi?
La cooperativa di comunità fa da hub in un territorio su molti temi. In Abruzzo abbiamo costruito una filosofia pratica che diventa la base per ogni sviluppo. Gli abitanti diventano il fattore economico principale, in territori in cui non c’è produzione industriale, non ci sono servizi, c’è poco commercio di sussistenza. I membri abitanti sanno che la cooperazione sono loro: dove non arriva il mercato, e dove non arriva lo stato, c’è un vuoto concettuale, e che però è abitato da persone. Abitare i luoghi deve diventare un atto consapevole, soprattutto dove non c’è stato né mercato. La terza via, quella vera, passa da qui.
E le istituzioni locali, a partire dai Comuni, che ruolo hanno?
Spesso i sindaci sono visti come vero motore di sviluppo economico, cosa che non può essere, per molte ragioni. Il sindaco rappresenta un progetto politico, o almeno amministrativo. ma non un progetto economico. Il progetto economico lo possono fare solo le persone, e per questo restituire un protagonismo a loro, una soggettività collettiva, è fondamentale, soprattutto dove il singolo si sente solo e abbandonato dalle istituzioni perchè, molto spesso, lo è davvero.
Il rischio è che tutte le ricchezze finiscano a Milano, si concentri tutte nelle grandi città, mentre tutta questa ricchezza dovrebbe essere davvero utilizzata per non perdere per strada pezzi di paese che sono poi la nostra storia e, insieme, anche un’ipotesi di futuro.
In questo senso, cooperative di comunità sono una visione di paese, un’idea fondativa per tenere insieme il macro con il micro, e che è in grado di dare valore alle specificità italiane, ai nostri valori economici e culturali. Sono qualcosa di molto più grande del destino dei singoli paesi e dei loro abitanti: che pure, diciamocelo, sono abbastanza importanti per essere guardati con attenzione, rispetto e ammirazione.
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