Pensioni, la via per non rimborsare forse c’è
È innegabile che la recente sentenza della Corte costituzionale, la numero 70 del 2015, stia creando non poche grane al governo Renzi. A seguito della dichiarazione di incostituzionalità della norma che blocca le indicizzazioni automatiche Istat per le pensioni di importo superiore di tre volte il minimo, l’esecutivo potrebbe vedersi costretto ad approvare nelle prossime ore un decreto d’urgenza, che disponga il rimborso di una cifra che potrebbe aggirarsi intorno ai 16 miliardi di euro.
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha assicurato che il governo procederà ad individuare i beneficiari del rimborso «con cautela e in via selettiva». La cautela, in questo caso, è d’obbligo: non solo per la delicatezza della materia e l’assoluta mancanza di dati certi, ma anche perché la via che sembra oggi obbligata e scontata, quella del pagamento, domani potrebbe esserlo meno. Il perché risiede proprio nelle parole che la stessa Corte costituzionale utilizza per motivare la sentenza che cancella le disposizioni più contestate del d.l. n. 201/2001, c.d. “Salva Italia”.
Infatti, l’organo supremo di legittimità costituzionale, dopo aver censurato il divieto di perequazione automatica degli assegni pensionistici, voluto dal governo Monti, spiega le vere ragioni della sua incompatibilità. Esse non sono in sé, ma, bensì, dovute al fatto che siano richiamate «genericamente la “contingente situazione finanziaria”, senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi».
Ciò significa che, a detta della Corte costituzionale, non è illegittimo comprimere un diritto soggettivo garantito dalla Costituzione, come quello all’adeguatezza dei trattamenti pensionistici, se la sua compressione è dovuta ad un interesse, altrettanto garantito costituzionalmente, ritenuto prevalente. Come, appunto, lo furono le gravissime esigenze economico-finanziarie, cui i provvedimenti del governo tecnico dovettero far fronte.
La Corte costituzionale, insomma, nella sentenza n. 70, non censura l’effetto prodotto, ossia l’eliminazione dell’adeguamento automatico delle pensioni, bensì le modalità con cui il legislatore dell’epoca vi sia pervenuto. Non viene disapprovato il risultato, ma il modo frettoloso e non dettagliato con cui il governo Monti ha tagliato senza giustificare adeguatamente i tagli. La Corte contesta che «il diritto a una prestazione previdenziale adeguata» risulti «irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio». Ciò vuol dire che un intervento innovativo del parlamento in materia potrebbe superare il vaglio della Consulta, se quest’ultima lo ritenesse proporzionato, ragionevole e ben dettagliato.
A condividere tale tesi è anche il giudice emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese, che, di fronte alle telecamere de La7, ospite di Lilli Gruber ad Otto e mezzo, ha invitato a leggere con attenzione le motivazioni della sentenza della Corte, con la convinzione che in esse vi sia una soluzione alternativa al rebus pensioni.
Guarda l’intervento di Sabino Cassese: clicca qui
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