Paolo Rossi: i fragili passano per la cruna di un ago

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10 Dicembre 2020

Nella prima parte del Mondiale dell’anno 1982 Paolo Rossi non giocò affatto bene. Tutta la stampa, in modo particolare quella sportiva, ne voleva la capitolazione, una giustificata sostituzione, anche perché, protagonista maldestro dello scandalo delle scommesse, non si era allenato assiduamente, squalificato da tutti i campi di calcio per due anni. Ma Bearzot lo convocò lo stesso per i Mondiali di calcio nel 1982 in Spagna: si ricorda di Lui e delle sue imprese, seppur giovanissimo con il Lanerossi Vicenza ed in modo particolare delle reti e dei goals realizzati nel mondiale del 1978 in Argentina, ove, sgusciante in area, sapeva mantenere un’intesa ed armonia di posizioni con Bettega e Causio.

Nasce con Bearzot un sodalizio particolare: il tecnico della Nazionale di calcio è caparbio, non cede alle motivate critiche che vogliono la rimozione di Rossi, il suo siluramento, una definitiva sostituzione dalla squadra. Effettivamente il centravanti del Lanerossi non gira, non gioca bene, non è allenato ed il nostro attacco è privo di una punta che possa fare goal ed impensierire le difese avversarie.

Ma ecco che Bearzot, solo contro tutti, attua una rivoluzione: quella della resilienza nella vita di gruppo. È convinto che Rossi esploderà, si riprenderà e mostrerà la sua classe preziosa nelle aree avversarie, sarà imprendibile dalle difese delle altre squadre. Lo guarda negli occhi, lo prende da parte, lo tira su con colloqui solitari, come un padre con un figlio perduto, come un giardiniere che non sente più il profumo dei fiori che coltiva e si preoccupa della rinascita della loro fragranza.
Rossi piange, si dispera e Bearzot vede che la sua crisi provoca uno smottamento della sua coscienza di atleta e di calciatore. Gli appresta una cura particolare, fatta di silenzi e di lunghe passeggiate. Deve riempire un vaso vuoto, d’argilla, proteggere da schegge e temporali un vetro sottile. Con calma ne cura gli allenamenti in modo peculiare, come se fosse un campione da tener d’occhio più degli altri. I compagni di squadra non si ribellano, perché attendono il Rossi capocannoniere.

Rossi è caduto, ma si rialza, si scuote, si allena con un impegno ed uno zelo non visti nella prima parte del mondiale.
E proprio contro il Brasile più forte – quello di Falcao , Zico, Socrates – quando sulla carta saremmo spacciati dalla squadra favorita, esplode Paolo Rossi, si innerva la fiducia del tecnico friulano nelle sue gambe di seta. È smagliante, scintillante nella difesa brasiliana ed è questa volta lui a prendere sulle sue spalle la nazionale italiana e realizzerà in quella partita, che vendicherà la finale di Messico ‘70 ove perdemmo il mondiale con il grande Pelé, tre splendide reti, assicurandoci il passaggio del turno e dunque l’ingresso in semifinale. Allo stesso modo con la Polonia, Roberto Conti gli procura assist straordinari e Rossi puntualmente si fa trovare innanzi alla porta avversaria per goal sicuri.

Nasce Pablito, grazie ai soprannomi che sa magistralmente affibbiare Gianni Brera, ed anche nella finale con la Germania è sempre Rossi ad aprire le marcature. Siamo campioni del mondo, perché Bearzot aveva creduto in Rossi, aveva raccolto la sua caduta nel baratro della disperazione e lo aveva fatto rivivere, prima con il cuore e la mente e poi come atleta: un fragile può passare dalla cruna di un ago.

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TAG: paolo rossi
CAT: calcio

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