Storia e significato di una fotografia

16 Giugno 2022

Il 13 giugno 1982, cominciarono in Spagna i Mondiali di calcio. Tutti sanno come sarebbero andati a finire, ma quella domenica di tarda primavera nessuno poteva immaginare che l’Italia di Enzo Bearzot avrebbe sbaragliato la Germania Ovest di Karl-Heinz Rummenigge, il Brasile di Zico o persino i detentori del titolo, gli argentini di Luis César Menotti, che alla formidabile squadra che aveva vinto il Mundial casalingo nel 1978, avevano aggiunto l’acclamatissimo Diego Armando Maradona. Proprio l’albiceleste, come da recente tradizione, ebbe l’onore di aprire la competizione, affrontando il Belgio al Camp Nou di Barcellona. Fra i centomila che accorsero allo stadio per ammirare i temibili sudamericani c’era anche Steve Powell, un esordiente fotografo statunitense spedito in Spagna dal periodico Sports Illustrated. Forse a causa della scarsa dimestichezza degli americani con “il gioco più bello del mondo”, gli organizzatori non si peritarono di spedire Powell in una scomoda postazione in cima agli spalti [1]. Da lì, tuttavia, riuscì a scattare un’istantanea che allora i principali quotidiani evitarono di pubblicare, ma che in seguito avrebbe sconfitto l’oblio dei decenni e rappresentato l’ineguagliata grandezza del Pibe de oro, ancora oggi e più che mai dopo la sua morte.

La fotografia scattata da Steve Powell

Com’è successo che lo scatto di un fotografo presumibilmente poco alfabetizzato al linguaggio iconografico del calcio sia diventato un segno indelebile della sua capacità di generare e rinnovare i propri miti? Anzitutto, si è verificata un’alterazione di significato. La partita fu vinta dal Belgio, con non poca sorpresa, per quanto i “Diavoli rossi” schierassero molti giocatori di talento e fossero reduci dall’eccellente Europeo del 1980, quando si erano arresi in finale ai tedeschi occidentali. Dall’altra parte però – come già sottolineato – c’era la nuova stella del calcio mondiale nella compagine campione in carica. Per quanto Maradona fosse in effetti una stella in costruzione, da pochi giorni approdato al Barcellona del presidente Josep Lluís Núñez, dopo aver mostrato mirabilie nell’Argentinos Juniors e nel Boca Juniors, il risultato finale fu accolto con meraviglia e la foto di Powell risultò probabilmente o troppo didascalica o forse incoerente.

Secondo Susan Sontag, ogni fotografia è una citazione della realtà, ossia un modo per imprigionare la realtà altrimenti sfuggente [2]. La fotografia sostiene la credenza in una realtà verificabile, rimanda alla testimonianza di un evento e per questa via all’accertamento della verità. Ma nel caso che ci interessa, qual è la verità? Secondo Franky Vercauteren, il centrocampista belga che più da vicino contrasta Maradona nell’immagine di Powell, la verità è addirittura lampante. Guy Thys, il tecnico fiammingo, aveva infine risolto di marcare Maradona a zona, pressandolo con due/tre giocatori ogni volta che entrava in possesso della palla. L’idea era semplice: se non riesci a togliere la palla a Maradona, adoperati affinché sia lui stesso a liberarsene il prima possibile. Quindi, per Vercauteren, la fotografia simboleggia la perfetta armonia difensiva del Belgio e rappresenta visivamente quanto lui e i suoi compagni avessero lavorato per mettere in pratica la tattica studiata a tavolino, la cui efficacia fu per l’appunto confermata dal successo finale [3].

Il resto del mondo, tutti quelli innamorati del calcio sublime prodotto dal genio di Maradona, soprattutto a distanza di anni e dopo che la stella dell’argentino era definitivamente ascesa nell’Olimpo dei più grandi di ogni tempo, propendono per un’altra interpretazione. Secondo questi, l’istantanea immortala con straordinario tempismo la prevalente natura psicologica della sfida, ossia il timor panico che pervadeva la nazionale belga. I sei giocatori in maglia rossa sono giustappunto atterriti da un solo piccolo uomo, il quale, però, carezza il pallone con estatica raffinatezza e prepara sconquassi nella difesa avversaria grazie alla sua penetrante visione di gioco.

La verità è più banale. Come mostrano i frame dell’azione completa, Osvaldo Ardiles ha calciato una punizione verso Maradona e i giocatori belgi che lo fronteggiano sono appena usciti dalla barriera, il che ne spiega la reciproca vicinanza. L’azione termina con un tentativo di pallonetto respinto di testa da Luc Millecamps, il baffuto e barbuto difensore che compare dietro Vercauteren. Come risulterà chiaro a questo punto, il problema, e soprattutto la singolare polisemia di questa immagine, sta precisamente nella sua verosimiglianza, inconfutabilmente confermata da un’altra immagine della stessa partita, dove nella stessa porzione di campo si vede Maradona attorniato da cinque avversari mentre Vercauteren lo sta atterrando con un tackle.

Maradona circondato dagli avversari, secondo i piani del tecnico Guy Thys

Il verosimile è uno dei concetti più insidiosi, sia in fotografia che nella storiografia, il cui obiettivo è indagare e studiare gli eventi del passato per portare alla luce i fatti realmente avvenuti. Soprattutto a partire dal Novecento, la nostra conoscenza del mondo è indissolubilmente legata alla possibilità di visualizzarlo. Noi possiamo conoscere e comprendere il mondo, e – va da sé – ricostruirne il passato, nella misura in cui lo vediamo: la storia del mondo, si può riassumere in uno slogan, è fotografica [4]. La verosimiglianza costituisce allora un inciampo sulla via dell’accertamento della verità, il granello di sabbia che minaccia di sabotare il meccanismo che può condurre alla fedele interpretazione della realtà.

Lo storico Marc Bloch congetturò sulla materia dopo la sua esperienza di soldato nella prima Guerra mondiale, un “grande esperimento di psicologia sociale” nel quale dilagarono e attecchirono nella coscienza collettiva notizie false, alimentate da paura, odio e incertezza. Le notizie false, o fake news, circolano non soltanto perché artificiosamente e ingannevolmente create dagli esseri umani, ma anche perché alimentate “da una percezione inesatta, o meglio ancora una percezione inesattamente interpretata della realtà” [5]. Quindi, pur ben consapevoli che nella libera, mutevole e sempre rinnovata interpretazione del fruitore risiede la vera grandezza di un’opera d’arte [6], è giusto concludere che lo scatto di Powell è stato oggetto di falsificazione o misinterpretazione?

Sempre Bloch ci avvisa che “La falsa notizia è lo specchio in cui la coscienza collettiva contempla i propri lineamenti” [7], il prisma nel quale si riflettono i bisogni, i pregiudizi, le attese e le emozioni della collettività. Ne consegue pertanto che l’errore, il malinteso, il ricordo confuso, diventano oggetto di studio perché capaci di fornire preziosi elementi di comprensione della realtà e della società. Alessandro Portelli, ordinario di letteratura angloamericana all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e teorico della storia orale, ne ha seguito la lezione in “L’ordine è stato eseguito”, il libro dedicato alla ricostruzione orale e corale del massacro delle Fosse Ardeatine. Scrive Portelli nell’introduzione: «Che una versione errata della storia diventi senso comune non ci chiama solo a interrogarci su come e perché questo senso comune si è costruito, su che cosa significa, a che cosa serve. L’attendibilità specifica delle fonti orali proprio in questo consiste: nel fatto che, anche quando non corrispondono agli eventi, le discrepanze e gli errori sono eventi essi stessi, spie che rinviano al lavoro nel tempo del desiderio e del dolore e alla ricerca difficile del senso».

Una possibile e definitiva risposta viene ancora dall’enorme potenziale di senso della fotografia. Nel selezionare le cento fotografie più influenti di sempre, la rivista Time ha consultato fotografi, editori, curatori ed esperti vari, i quali hanno inserito nel ristretto novero le immagini prescelte per tre fondamentali motivi: perché sono le prime di una categoria, perché hanno cambiato il modo in cui viviamo, perché hanno forgiato il nostro sistema di pensiero [8]. Lo scatto regalatoci da Powell giusto 40 anni fa appartiene a un’ulteriore specie, fa parte delle fotografie plasmate dal nostro sistema di pensiero. La fotografia congela uno specifico momento nell’incessante fluire del tempo e può disinteressarsi di quanto viene prima e di quello che viene dopo. In questa sospensione, si colloca precisamente il lavoro della nostra mente, che completa il quadro affidandosi ai propri bisogni, pregiudizi, attese ed emozioni. Sostiene Powell: «In definitiva non si tratta della composizione dell’immagine, non si tratta di arte e nemmeno di una particolare partita. La foto trascende tutto questo. Si tratta di comunicazione: la fotografia comunica il potere di Maradona e la paura che instillava. Si tratta soltanto di quest’uomo e del suo rapporto con gli avversari» [9], e di tutti noi che lo/li guardavamo, è forse il caso di aggiungere.

 

[1] Weeks, J., Diego Maradona against Belgium: the real story behind the famous image, https://www.theguardian.com/football/blog/2014/jul/05/diego-maradona-belgium-famous-photo, consultato il 13/06/2022

[2] Sontag, S., Sulla fotografia, Einaudi, 2004

[3] Vercauteren, F., “Many see the picture as symbolic of Maradona’s talent and our terror”, https://www.theguardian.com/artanddesign/2017/jul/07/thats-me-in-the-picture-football-belgium-world-cup-1982-maradona, consultato il 13/06/2022

[4] AA.VV., 100 photographs. The most influential images of all time, Time, 2015

[5] Bloch, M., La guerra e le false notizie, Donzelli, 2004

[6] Eco, U., Opera aperta, Bompiani, 1988

[7] Bloch, M., Op. cit.

[8] AA. VV., Op. cit.

[9] Weeks, J., Op. cit.

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CAT: calcio

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