Superlega, modello NBA e altri mostri (poco sacri)

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19 Aprile 2021

Con Mosé sul Sinai gli ebrei costruirono un vitello d’oro. Aronne, temendo che il profeta non tornasse dal suo dialogo eremitico con Dio, pensò di fabbricare un idolo sostitutivo, tutto sbarluccicante come un trono da mandrugada, un vestito da tip tap in un teatrino di quart’ordine, un succedaneo di Dio di gran valore terreno, portato in processione proprio come un baldaquin della semana santa, dopo la carnevalesca ingordigia della feria de Abril. Era più che altro un pretesto: il grande vecchio spartitor d’acque salmastre, disperso su qualche vetta ascetica, rendeva il popolo sempre più fremente e dubbioso, martoriato dall’arsura delle sabbie. Costruendo il dio di metallo, se non altro, si poteva tornare a ballare e divertirsi, con la pretestuosa necessità di nuovi e propiziatori riti religiosi. E fu proprio Dio ad avvertire Mosé: “Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione!”. E Mosè supplicò Dio di non farlo, di avere pietà, poi scese dal monte, distrusse le tavole dell’alleanza, si alterò parecchio con Aronne e i suoi sodali, bruciò il vitello, lo ridusse in polvere, lo sparse nell’acqua e costrinse gli israeliti a bere. “Chi sta con il Signore venga da me!”. Alcuni lo fecero, altri no. Ne bruciarono circa tremila. Una strage. Chissà cosa faranno Infantino e Ceferin? Qui più che vitelli si vedono agnelli e affini, in verità. Ovini, bovini, chissà?

Cambiando il nome dei protagonisti la storia è piena di idoli d’oro, grandi profeti, veri o falsi. E d’oro ne circola parecchio nel mondo del calcio. La superlega sa molto di idolo ruspante. I cornuti sono altri, forse, in questo caso, ma la sostanza non cambia. La UEFA, con il suo sistema, il suo FFP, ha generato disparità e giochi di potere che sono sfuggiti di mano ai più.

Quando sento persone dire che nel mondo del calcio ci sono troppi soldi, che bisognerebbe pagare meno i calciatori, sorrido: nel mondo del calcio ci sono i soldi che generano i clienti di quel mondo. Il mercato ha le sue leggi, i suoi dieci comandamenti and counting, e il dio è il denaro, come del resto funziona da sempre nella terra degli uomini. C’era un contenitore che non bastava più a contenerlo tutto e anche il modello del mecenate che finanzia in modo quasi parossistico è decisamente superato. I club sono ormai multinazionali che generano business. E questo business funziona e cresce. Non c’è più romanticismo, pietà, né sogno: sono affari. E negli affari niente è lasciato al caso (forse nemmeno il risultato delle partite, potrebbe venir da pensare ai più maliziosi).
Qui siamo di fronte al pellegrinaggio di Iskander da un’oasi libica al Quds, dove i legionari romani dedicarono il tempio ad Ammone, perché capivano l’andazzo del mondo. Qui c’è un chiaro andazzo, perché quel che c’era prima non bastava più a saziare tutti. Un chiaro andazzo, come il chiaro errore. Se nel tennis l’avvento dell’occhio di falco ha messo tutti d’accordo e finalmente si è riusciti a parlare solo di gioco e non di errori arbitrali, nel calcio c’è il concetto di “chiaro errore”. E la tecnologia piace a pochi. Troppo facile rendere il gioco oggettivo. Si toglie qualcosa. Si toglie una parte dell’andazzo, che è una parola molto interessante, specie se devi far rima. Un FFP che favoriva qualcuno e penalizzava altri, scelte conservative, ma non troppo, hanno portato chi non aveva sufficiente spazio di manovra a scegliersi nuovi comandamenti. I mondiali assegnati al Qatar sembrano ormai nel mondo dei ricordi e non si sono nemmeno giocati, un po’ come quando Vlad Tepes pensava con otelliana rabbia placata alla sua antica fedeltà per Elizabeta.

Nasce quindi la Superlega, cioè un nuovo megacampionato continentale, tra 15 squadre di club fondatrici e 5 qualificate di anno in anno.
Due gironi da 10 squadre ciascuno, tipo Eastern e Western Conference americane. Niente più federazioni, niente più scranni e giochetti? O forse nuovi giochetti, più moderni, più capaci.
FIFA e UEFA vanno in soffitta. Il tempo vola per tutti.
Quattro miliardi di euro di finanziamenti già sottoscritti. Ai dettagli penseranno i tribunali. Prima di scendere in campo si giocheranno partite a colpi di carte bollate e arringhe forensi, ma non si può mandare l’acqua in salita, se non con immani sforzi, destinati a non durare.
Resteranno i campionati e le coppe nazionali. Ma come resteranno? Perché ci sono personaggetti, anche qui, che Sciascia non avrebbe saputo collocare nel suo archivio a tre posti. Ci sono figure farsesche, a volte, in questo mondo patinato in cui è capitato di vedere esami falsi, fossero essi tamponi o linguistici, salvo poi scusarsi e proseguire con il rimprovero della maestra, che non se n’era accorta, perché era distratta a rimproverare quei biricchini cattivi cattivi che esponevano al pubblico ludibrio la maglia di un avversario. Sembrano lupi, ma sono galline nel bosco. Procedono impettite fintanto che sono al sicuro nel loro recinto, ma appena si apre la scena spariscono lasciando solo qualche piuma sporca.
E, giova ricordarlo, la pirateria uccide il calcio. Questo adagio, che potrebbe far sorridere più di qualche furbetto, sembra oggi più vero che mai. Sì, perché il calcio del ventesimo secolo rimaneva dentro ai muri dello stadio. Difficilmente venivano trasmesse partite in televisione: era uno spettacolo per qualche decina di migliaia di persone al massimo, che arrivava a milioni di ciechi virtuali e palpitanti, edotti dal racconto di giornalisti e cronisti capaci.
Da quando si è aperto alle telecamere e il bacino d’utenza e, quindi, di potenziali clienti, ha raggiunto numeri vertiginosi, miliardi di persone in tutto il mondo, i clienti sono drasticamente aumentati e, di conseguenza, i fatturati e i soldi effettivamente disponibili. Insomma: mio nonno riceveva un mandarino, per l’Epifania. Noi riceviamo grandi dolci e immensi regali. È l’opulenza, baby. Ma non si può pensare di rimanere snelli, con tutto quel bendidio a disposizione.
Ci sono lenti subbugli, come i movimenti tettonici che hanno sbriciolato la Pangea in decine di milioni di anni e formato i continenti. Si comincia con un procuratore che chiede troppo di commissione, si prosegue con un amico di un amico seduto qui, un cugino di un cognato aggrappato là. Poi bisogna far ordine. E spesso, quando il caos è grande, lo si può fare solo in modo drastico.
Quando c’è da costruire uno stadio di proprietà e si rimbalza di continuo sul muro delle carte bollate e degli iter autorizzativi, si tende a cercare altre vie.
Vedendo come si siano comportate certe dirigenze in questi anni vien da pensare che qualcosa sapessero. Se ti dicono che domani ti porteranno sulla luna, magari ti concedi qualche lusso, qualche stravaganza in più su questa terra, prima di montare a cavalcioni su una sfera di piombo e chiedere al barone di Munchausen di accendere la miccia che ti lanci su quell’ampolla, colore zafferano. Honny soit qui mal y pense!

E’ il modello NBA”, dicono. Il modello americano. Dove non si va a vedere una partita esasperati dal risultato, ma si fa una gita giornaliera, con la famiglia, a mangiare, bere, sorridere. Non so dire se saremo prima noi a contaminare loro con spranghe e mortaretti o se diventeremo noi più civili e meno ansiosi. So che di poesia e romanticismo, nel mondo del calcio, non ce n’è più da un pezzo. E i vitelli d’oro si sono moltiplicati, hanno tutti uno smartphone e qualche username.

 

 

Andrea Bricchi
(@andreabricchi77 – www.andreabricchi.it).

TAG: Superlega
CAT: calcio, Capitali

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