Per poter competere con le rivali dei principali campionati europei, le squadre di calcio stanno introducendo nuove strategie di marketing relative al rapporto con i loro sponsor. Ma ancora non basta: bisogna avere il coraggio di proseguire sulla strada dell’innovazione
Non era mai accaduto che lo sponsor di una squadra di calcio si rivelasse “a puntate”. La significativa novità è stata introdotta dal Genoa, il cui nuovo main sponsor sarà stampato sulle maglie rossoblu una lettera per volta, a partire dalla sfida contro la Roma. Con l’aggiunta di una frase di Fabrizio De Andrè, grande tifoso genoano, le maglie dei Grifoni diventeranno così dei pezzi da collezione, in tiratura limitata. A ideare questa originale strategia di marketing è stata Barabino & Partners, la nota agenzia di comunicazione che da tempo collabora con la società di Enrico Preziosi.
Nel campionato in corso, la shirt sponsorship ha registrato altre novità come il marchio aggiuntivo comparso sulla schiena dei giocatori dell’Inter, sotto il numero: non è la prima volta che succede (il brand NGM compariva sul retro di tutte le maglie delle squadre di Serie B nella stagione 2013/14), ma i nerazzurri sono pur sempre uno dei club più seguiti al mondo. Anche il Napoli, un’altra “grande” della Serie A ha diversi sponsor e addirittura sulla parte frontale, con una varietà di loghi che alcuni anni fa eravamo abituati a vedere solo sui piloti di Formula 1… o sulle squadre del campionato francese.
Quando il calcio italiano viveva i suoi anni d’oro, chi sponsorizzava una squadra faceva un investimento molto oneroso e in cambio pretendeva l’esclusiva. Alcuni abbinamenti (come Juve/Ariston o Roma/Barilla) sono rimasti nell’immaginario collettivo, con evidenti vantaggi per le aziende coinvolte, anche per oltre la fine del rapporto commerciale. A quei tempi, la disponibilità economica rendeva superflui gli sforzi di fantasia, che semmai si rendevano necessari per forzare le normative: quando le sponsorizzazioni erano ancora vietate, il Vicenza aggiunse “Lanerossi” alla sua denominazione per esibire sulle maglie la “R” dell’azienda, così come l’Udinese faceva con la “Z” di Zanussi, la cui proprietà coincideva con quella della squadra.
Nella stagione 1979/80, il Perugia aggirò la regola applicando sulle maglie il marchio Ponte (del settore alimentare) travisandolo come fornitore tecnico, attraverso la creazione fittizia del maglificio Ponte Sportswear. La federcalcio comprese subito di essere stata raggirata e multò gli umbri di 20 milioni (poca cosa, di fronte ai 400 incassati dallo sponsor), ma già dalla stagione successiva si arrese e liberalizzò la stampa dei marchi commerciali.
Oggi, invece, la creatività è sollecitata da una situazione radicalmente mutata. A cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, il dominio del calcio italiano sulla scena internazionale è entrato in crisi e oggi siamo senza ombra di dubbio ad un livello molto inferiore rispetto ai principali competitor europei. Non a caso, nello stesso arco di tempo abbiamo visto sempre più frequentemente squadre anche importanti (Roma, Lazio, Fiorentina, Sampdoria…) andare in campo senza uno sponsor.
Per ovviare a questi problemi, si è visto un po’ di tutto, dalla comparsa di più loghi aziendali sulla stessa casacca, all’alternanza di marchi tra casa e trasferta e persino di partita in partita, per favorire anche investitori meno munifici. Va ricordata, a questo proposito, la divertente iniziativa dell’Udinese, che nel 2013 scese in campo con la pubblicità di un imbianchino, vincitore del concorso “Sponsor per un giorno” lanciato dalla Dacia (il suo main sponsor ufficiale).
Nel tentativo di valorizzare sempre di più la partnership con gli investitori, il calcio deve necessariamente fare ulteriori sforzi sulla strada dell’innovazione. Avanzo quindi due proposte:
1) SPONSOR PER LE NAZIONALI: Il contrasto tra la presenza di diversi loghi sulle maglie dei club e la verginità della divisa azzurra appare francamente anacronistico. Su questo tema, vigono le regole internazionali, ma stupisce che Fifa e Uefa ancora non abbiano seguito la strada tracciata da altri sport, dove gli sponsor campeggiano sulle divise delle nazionali senza che nessuno ne metta in discussione l’opportunità.
2) SPONSORIZZAZIONI SINGOLE: La personalizzazione delle maglie è ormai ben radicata nella cultura calcistica (in Italia esiste da oltre vent’anni, in Inghilterra da prima). Questo fattore, insieme alla comparsa dei loghi commerciali sul retro delle maglie, induce ad una riflessione: perché non consentire alle aziende di abbinarsi ai singoli giocatori a cui sono interessati, riservando a questo tipo di sponsorship proprio lo spazio sotto al numero? In questo modo, il main sponsor resterebbe uguale per tutta la squadra, ma ci sarebbe un’opportunità commerciale in più con il back sponsor, diverso di caso in caso. Differenziarlo, inoltre, darebbe un senso ai famosi “diritti di immagine”, la cui gestione da parte dei club è spesso fatta in modo improprio.
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