L’uomo che sovverte il destino di Roma

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17 Marzo 2021

Fra due giorni, il 19 marzo, SkyTV manda in onda la prima puntata di una serie dedicata alla vita di Francesco Totti. Non so se la cosa mi faccia piacere. Probabilmente no. L’attore scelto, figlio di un attore famoso e di una scrittrice di grande successo, assomiglia al personaggio solo nell’inflessione dialettale. Ma non ha senso giudicarlo senza averlo visto.

La serie è anticipata da un nutrito numero di trailer, nei quali Pietro Castellitto pare avere relazioni amicali con Bobo Vieri, con Antonio Cassano e persino con Fiorella Mannoia. Quest’ultima dice una frase che mi ha fatto pensare. Dice che andava allo stadio e non guardava le azioni, guardava Totti. Dice che quello per Francesco non fosse tifo sportivo, ma amore – la venerazione pura ed asessuata dei bimbi. Una cosa bella, ma che genera un’immensa pressione.

In un trailer, Totti riceve il giovane Castellitto in uno studio che pare quello di un professore universitario di latino e, al contrario di altre esibizioni del passato, sfoggia tempi comici perfetti, un aplomb quasi altezzoso, per poi cedere offrendo bombe alla crema, la sua colazione preferita: serio, divertente, dignitoso, quasi aristocratico.

30 maggio 1984: Ciccio Graziani calcia il rigore decisivo alle stelle, la Roma perde la Coppa dei Campioni contro il Liverpool

Mi viene in mente che, da bambino, facevo il tifo per l’Ascoli, e che ricordo di essere andato allo stadio a vedere partite noiosissime, con uno zuccotto bianconero in testa, nelle quali i bianconeri marchigiani facevano inutilmente catenaccio per 90 minuti e poi, sia con la Roma, sia con la Lazio, perdevano. Quanto alla Roma, la prima volta che ho sentito una fitta al cuore è stata per la finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool del 1984. Perché solo in quel momento mi sono reso conto che quel calcio nel cielo di Ciccio Graziani non suggellava solo una sconfitta in una partita, ma un maglio immane sulle speranze eterne di una città eterna. Un evento che si sapeva già allora irripetibile. Perché al cittadino romano, ed alla Roma, il destino riserva quasi solo sconfitte onorevoli, come quella in semifinale contro il Liverpool nel 2018, quando Daniele De Rossi condusse un assalto all’arma bianca epocale contro la porta inglese, vanificato da un arbitraggio (come spesso accade) non particolarmente generoso.

I momenti migliori della vita, come tutti sanno, si capiscono quando sono oramai perduti. Ho iniziato ad essere un tifoso della Roma quando ho lasciato l’Italia, e mi sono accorto, nel confronto con le persone di altri paesi, di essere profondamente intriso di giallorosso, una matrice che non ha nulla a che vedere col calcio, ma che riunisce la disperata difesa del Gianicolo del 1849 al gol di Turone del 1981. Una cosa che uno juventino non può capire: è irrilevante capire se fosse fuorigioco o no. Il fatto è che quel gol, alla Juve, lo avrebbero dato – come il gol di Ravanelli dopo che la palla era sfuggita dalle mani di Aldair. Come il Papa che chiama lo straniero a sterminare quelli che dovrebbero essere i suoi figli prediletti.

10 maggio 1981: gol di testa di Turone, annullato dall’arbitro Bergamo – grazie al quale la Juventus vince il 19° scudetto

E poi c’è Totti. Totti che stravolge il destino.

Come in quel campionato assurdo, nel quale la Federcalcio si era messa in testa di annientare lo squadrone costruito da Franco Sensi e tutte le partite erano infarcite da decisioni arbitrali che lasciavano sgomenti. Come quando a Bergamo Francesco venne espulso dopo nemmeno dieci minuti per due interventi che non erano nemmeno fallosi.
Ma il Capitano era capace di tutto: due gol su punizione da oltre 30 metri contro il Milan, in Coppa Italia, con la Roma ridotta in nove da un fischietto partigiano, o i due gol segnati negli ultimi minuti contro il Torino, alla fine dell’ultimo anno, quando lo spregevole Luciano Spalletti, per umiliarlo, lo aveva mandato in campo a meno di dieci minuti dalla fine, e Totti aveva fatto due gol. Indimenticabile Carlo Zampa che gridava piangendo: “Alla facciaccia vostra! Alla facciaccia di chi je vo’ male!”

Anch’io mi sono innamorato di Francesco Totti, come tantissimi. Come la mia seconda moglie tedesca che, da Lipsia, singhiozzava guardando la TV tedesca che trasmetteva il suo addio in diretta. Perché Totti non ha vinto quanto Pelé o Maradona o Zidane, ma ha vinto dove nessun altro al mondo sarebbe stato capace di vincere.

Agli insulti ha risposto con dei passaggi indimenticabili, con tanti gol, e con un’autoironia che manca a quasi tutti i personaggi pubblici, non importa se politici, sportivi o altro. Totti rovescia il destino e vince contro tutti e contro tutto. E oggi, quando guardo la Roma, penso a Francesco, a Daniele, al povero Florenzi che deve giocare a Parigi, e sogno che Pellegrini, presto, possa raccogliere il testimone caduto a terra.

30 aprile 1849: i cittadini Romani resistono fino allo stremo contro la soldataglia francese che attacca l’ultima roccaforte sul Gianicolo

Perché Roma è uno sfacelo, un disastro, un incubo. Gli anni di Virginia Raggi sono stati i peggiori dopo quelli di Nerone. I Grillini hanno annientato una delle capitali più antiche e belle del mondo, l’hanno trasformata in un immondezzaio schifoso e corrotto, ed hanno fino alla fine tentato di distruggere anche la Roma, insieme al socio in spregevolezza di Luciano Spalletti, ovvero Pallotta. Lui e Raggi, per fare un piacere ad un palazzinaro fallito, avevano programmato un nuovo stadio sulle paludi, senza collegamenti, senza spazio per i tifosi, l’ennesimo colpo della misericordia.

Ma il Totti che è in Roma ha cambiato le carte. Sono arrivati i Friedkin, e torna la speranza. Spalletti non lo vuole più nemmeno l’Albinoleffe. Pallotta è in bolletta. Ed il mondo della cultura celebra Francesco con una costosa produzione non solo di un film, ma di un’intera serie televisiva.

Cerco di essere più esplicito. Francesco è come Romolo, che con la sua carriera traccia il solco. All’interno ci sono lui e noi Romani. All’esterno tutti gli altri. Per sempre. Non so se mi faccia piacere che ci sia una trasposizione televisiva, la creazione di una proiezione psichica collettiva, e certamente non lo guarderò, perché per principio non mi abbono ad una payTV. Non mi avveleno se la squadra perde col Parma e quindi perde il treno per la Champions League. Tutto normale. Noi Romani sappiamo perché, ma non sappiamo spiegarlo.

16 aprile 2016: il primo dei due gol di Totti che rovesciano il risultato contro il Torino e, qualificando la Roma per la Champions League, fruttano 77 milioni di euro al presidente Pallotta

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CAT: calcio, Roma

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