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Cinema

La speranza impossibile: Dario Bellezza

di Dino Villatico
15 Novembre 2023

“L’unica speranza credo che sia in Dio, ma siccome non ci credo” risponde Dario Bellezza a chi gli chiede se ha qualche speranza. E in un’altra occasione scrive: “Sono un vinto, sono sempre stato uno sconfitto”. Elio Pecora dice di lui che era “un bambino impaurito, che si vendicava della paura insultando, prima di tutto sé stesso”. E di fatti, nel retro di una fotografia che lo ritrae pensoso con una mano sulla tempia, “malinconico”, dice chi mostra la fotografia, tratta dalle carte dell’archivio Bellezza, c’è scritto a macchina: “pezzo di merda, fesso, idiota, figlio di mignotta, stronzo, paraculo, scemo, vestito di marrone, cretino, scemunito, rompi cazzo”. L’insultatore del bambino impaurito mostra qui tutt’e due le facce, quella malinconica della foto e quella irridente dello scrittore.

Dario Bellezza

Il film di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese, Bellezza, addio, proiettato martedì 14 novembre al Nuovo Cinema Aquila di Roma, è non solo un ritratto, perfetto, del poeta Dario Bellezza, ma anche della Roma di quegli anni: dai ’60 agli ’80 del Novecento. Una Roma – e un’Italia – che non c’è più. Non erano anni belli, ma l’Italia che oggi si crede protagonista nel mondo – ed è invece una provincia della provincia europea – tutto era tranne che provinciale. Provinciale, arretrata, era la società (ma oggi non lo è?). C’era però una minoranza che si voleva ed era libera, cosmopolita. A Roma, la città di Bellezza, vivevano Moravia, Pasolini, Flaiano, Parise, Visconti, Morante, Arbasino, Fellini e tanti, tantissimi altri. Bellezza, nato nel 1944, era la nuova generazione. Al Festival dei poeti nel giugno del 1979 a Castelporziano, Dario Bellezza fu sonoramente fischiato. Come anche gli altri; Maria Luisa Spaziani si sentì dire: “fatti vedere nuda”. E un ragazzo strepitava: “Io sono venuto per vedere Patti Smith, mica i poeti, mica ‘sti ridicoli”. Ecco, la poesia, allora, come oggi, appariva ridicola. La differenza è che oggi gli aspiranti al ridicolo sono una folla, naturalmente davvero ridicola, quasi insignificante. I veri poeti sono sempre stati pochi, pochissimi. Moravia, alla morte di Pasolini gridò che ne nasce sì e no uno per secolo, e Pasolini era uno di quelli. A Castelporziano Bellezza se la prese a male. Legge una poesia e nessuno applaude. Lui allora: “Ma come? non applaudite? I poeti vanno incoraggiati, applauditi, applauditi anche se la loro poesia è brutta”. Si sentono i ricordi e i commenti di chi lo conobbe, di chi magari, anche lui, fu insultato da lui. Parlano Barbara Alberti, Antonella Amendola, Ulisse Benedetti, Franco Cordelli, Ninetto Davoli, Giuseppe Carrera, Maurzio Gregorini, Fiammetta Jori, Renzo Paris, Paco Reconti, Nichi Vendola. Il film comincia dalla fine, dalla notizia, pubblicata sul Messaggero, che Bellezza si era beccato l’AIDS e che si curava da un guaritore di Acilia. Così lo vennero a sapere suo padre e sua madre. Fu un trauma per lui. Ossessionato dalla morte, amante dalla morte, in realtà scoppiava di vita. Le sue contraddizioni erano la verità della sua poesia, il coraggio di spiattellarle. Che era, anche il coraggio di quegli anni. Poi, a ritroso, il film ricostruisce tutta la vita di Bellezza, dal bambino di due anni che si sente affogare in mare, ed è per lui l’esperienza che lo segna per la vita, alle polemiche, le avventure, le amicizie talune tenaci, come quella con Pasolini, e molte turbolente, di amore odio, compresi i ragazzi che raccoglieva per le strade e i lungoteveri, gli orinatoi di Roma. È un film che andrebbe distribuito dappertutto, soprattutto nelle scuole, nelle università. Quella Roma era impagabile, io l’ho vissuta. E il film ce la restituisce splendidamente. Gli scorci di Roma sembrano traduzioni visive del mondo di Dario Bellezza. Era una Roma bellissima, oggi lo è molto meno. La bellezza delle immagini, ancora oggi, ci fanno pensare che potrebbe chi sa esserlo ancora, invece dell’inferno che è diventata. Orrendi erano il massacro sociale, la miseria, l’infelicità di molti. Ma c’era poi anche il coraggio di pochi, nemmeno tanto pochi, che sognavano un mondo di totale libertà. Oggi viviamo un mondo che più illiberale, meno fantasioso, più regolato dall’economia e basta, non è possibile immaginarlo. Democrazie e dittature nel mondo di oggi quasi si corrispondono, con la sola differenza che le democrazie s’illudono di essere libere. E apparentemente lo sono o, meglio, lo appaiono, ed è vero che l’individuo che può, che ha i mezzi per poterlo, è relativamente libero. Ma se si osserva bene la vita di ognuno è un mondo dove ognuno è degradato al numero di eventuale cliente, di possibile consumatore, com’è detto alla fine del film. Tuttavia è proprio da film come questo, dalla conoscenza di vite come quella di Dario Bellezza, che si può se non imparare, almeno desiderare di imparare la libertà che sembra mancarci. Quella che oggi chiamiamo libertà non è vera libertà: arbitrio, se mai, impulso sregolato. O, come scrive Ramón Andrés, il musicista, musicologo, scrittore, poeta navarrese, autore di quel bel libro sulla storia del suono e della musica dalle caverne a oggi che è Il mondo nell’orecchio (Adelphi): “L’individualismo, come è stato modellato nel mondo della modernità, non è che la ideologizzazione di sé stessi” (La distribuzione, in Pensare e non cadere, ancora non tradotto; titoli originali: El reparto, Pensar y no caer, Acantilado, 2018). Ciò che ci resta è “il risentimento causato dall’impossibilità di un orizzonte rivoluzionario”. Vale a dire: l’impossibilità di cambiare una società che si fonda sulla disuguaglianza e l’ingiustizia. Bellezza, come Pasolini, come altri, si opponeva alla discriminazione della disuguaglianza, del diverso, di ogni diverso; il poeta, anzi, per lui, è il culmine della diversità. Ma aveva anche capito che la discriminazione dell’altro, chiunque esso sia, il povero, l’ignorante, l’immigrato, sembra una componente inderogabile della società attuale, una società di piccoli borghesi, proprietari – e non cittadini – di una società fondamentalmente illiberale, qualunque sia il suo regime politico.

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