Sottotitoli alla riscossa

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17 Gennaio 2024

Leggo da un articolo del Fatto Quotidiano che i millennials e le generazioni Z guardano i film coi sottotitoli, ma non quelli in lingua straniera bensì quelli nella propria lingua.

Se n’è accorta una madre tiktoker anglosassone @gibsonishere , che aveva le buone intenzioni di vedere un film in casa colle sue figlie, le quali, all’inizio della proiezione, le hanno posto stupitissime la domanda: ma perché hai disattivato i sottotitoli, come fai a vedere un film così? Quasi che la madre fosse una disadattata.

Perché non ho 70 anni, risponde logicamente la madre, in quanto i sottotitoli sono effettivamente utili per le persone che possono avere problemi di udito – e si sa che coll’età può succedere – ma ignorando le vere ragioni delle figlie. Vere ragioni che vengono da coloro spiegate così: i sottotitoli servono perché se qualcuno ti rivolge la parola tu puoi sempre seguire quello che succede leggendo e magari anche rispondere all’altro. E la madre quasi giustifica questo picco d’intelligenza delle figliole, così sveglie e intelligenti perché, guardando un film coi sottotitoli, di sicuro colgono più di ciò che guardano.

Questo lo pensa lei, naturalmente, ma io ho qualche dubbio che tutto possa svolgersi in una maniera così semplice poiché il cinema è fatto di tante sfumature e guardare un film con un’atmosfera da piano bar, secondo me, è un insulto al cinema. Forse nel mondo anglosassone o in quello dei tiktoker è diverso, non saprei e tutto appare sempre così semplice. Anche lì, la percezione della realtà di chi vive immerso nei social è alquanto diversa da chi i social li frequenta saltuariamente. Ma ci torno tra poco.

Mah. È pur vero che, in certe serie tv italiane, dove il doppiaggio non è fatto da doppiatori di professione ma è reso dagli stessi attori, spesso ci sarebbe bisogno dei sottotitoli perché gli attori, che sono fatti passare come fossero star, hanno un tipo di recitazione “naturalistica” che consiste nel mangiarsi le parole e non farsi capire per niente, parlando tanto velocemente che si perde del tutto il senso delle frasi. Oggi si usa così e per capire cosa si dicono i personaggi in Doc o L’allieva o in La compagnia del cigno bisogna sicuramente sottotitolare. Forse, analogamente, sarà così anche per le serie in inglese.

Detto questo, per quanto mi riguarda, almeno per i film stranieri tradotti e doppiati, i sottotitoli sono una cosa estremamente disturbante perché mi distolgono dalle espressioni degli attori e dalla regia, particolari che nel cinema mi sembrerebbero fondamentali. Anche i dettagli fanno grande un film e i sottotitoli, peraltro, magari coprono una parte di questi ultimi nell’inquadratura e distraggono.

Forse perché io, se guardo un film, non sono solito fare altre cose e, se lo vedo in compagnia, detesto che qualcuno parli durante la proiezione, così come quando ascolto musica, preferisco concentrarmi sul brano e bona l’è. Ma questa forse è una mia forma eccessiva di devozione nei confronti delle arti. Evidentemente la percezione delle generazioni zzz o ultime o penultime sono diverse e se si guarda un film distrattamente e ci si parla sopra viene da esse considerato normale. Basta ritenere solo qualche frame, poi tanto chi lo rivedrà mai più, passato, via, ganzo, sì, ma lungo, lento, fa venire la depre.

Immagino che questo tipo di fruizione possa anche derivare da una frequentazione della velocità, integratore alimentare con cui i giovani digeriscono tutto, basti sentire (non “ascoltare”) le canzoni rap e trap – per le quali le ultime generazioni impazziscono – dove il contesto in cui si svolge l’azione cambia in ogni verso e le parole scorrono a raffica come una mitraglietta. Senza molto costrutto, diciamolo senza remore, sono flussi emotivi in libertà d’inconsapevoli rigurgiti futuristi.

Una commedia di Frank Capra o un thriller di Alfred Hitchcock immagino possano risultare lentissimi a simili fruitori delle generazioni recenti, i quali non conoscono i tempi lenti o li rifuggono come lo spray al peperoncino negli occhi. Forse bisognerebbe mettere i sottotitoli anche sull’azione, tipo “adesso si apre la porta, che cigola, lui avanza nel buio e lei sente i suoi passi felpati che si avvicinano” cosa che si vede benissimo nelle immagini sullo schermo ma che, da sole, per le generazioni z, forse non sono abbastanza. In effetti, se ti distrai perché qualcuno ti offre o ti chiede i pop corn e tu perdi un’inquadratura, leggendo che la porta si apre e cigola e lui avanza a passi felpati puoi autoconvincerti di non aver perso nessun momento cruciale.

Immagino anche che, forse, i sottotitoli, possano servire per comprendere una lingua aliena usata sullo schermo, lingua che sempre meno corrisponde alla parodia di una lingua, parlata da persone con un vocabolario di volta in volta più ridotto e con una conoscenza della sintassi sempre più sommaria. Questo vale per i giovani di gran parte del mondo, amici francesi e usoniani mi confermano che va così anche da loro. D’altronde, se da quelle parti si cominciano a proibire Shakespeare e i classici a scuola, considerati sempre più inadeguati alla moderna visione del mondo, non vedo come possa esserci una consapevolezza idiomatica. Ecco, forse, essendo i film in una lingua diversa da quella reale, i sottotitoli possono servire. Come nel cinema muto.

La madre delle tre figlie, che sembra essere una creativa (viene definita creator), suppone che l’attitudine delle figlie derivi dal costante uso dei social che fanno oggi i giovani. Può darsi.

Tuto ciò mi provoca la sensazione di sentirmi sempre più inadeguato a un mondo che va velocissimo ma che, nella sua velocità, non fa tappe che potrebbero rivelarsi necessarie e non rallenta nemmeno nelle curve pericolose, andando a finire spesso nel precipizio. Senza rendersene conto. Sbrangh! E giù per la china.

Credo che, comunque, dovremmo indirizzare una prece a san Rocco, patrono della Settima Arte, perché il cinema si salvi.

P.S. La notizia dei sottotitoli necessari per le generazioni zzz contiene, in realtà, una buona novella: almeno sanno leggere.

TAG: cinema, generazione z, lingua, millennial, rap, San Rocco, serie tv, Settima arte, social, sottotitoli, TikTok, trap, ultima generazione
CAT: Cinema, società

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