Milano

Ci vuole orecchio

La città, e Milano non fa eccezione, è sempre luce ma i suoi suoni, nel tempo, si sono modificati. Ci sono limiti dettati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS), e continuamente sforati dappertutto, fin dentro i locali pubblici. L’udito è un senso minore del cittadino?

24 Giugno 2025

di Nicola Zanardi e Giuliano Di Caro

L’intensità media di una normale conversazione tra esseri umani in un ambiente circoscritto raggiunge i 50 decibel. Il limite consigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la soglia di esposizione media sulle 24 ore superata la quale sperimentiamo un inquinamento acustico dannoso, è di 53 decibel. Un report ripreso dalla Commissione Europea indica come circa la metà della popolazione delle città italiane viva costantemente oltre questa soglia. In sostanza, milioni di uomini, donne e bambini italiani lavorano, studiano, giocano, riposano, parlano tra loro immersi in un costante brusio di fondo, in una seconda, onnipresente e disturbante conversazione, generata dal rombo dei motori, dallo stridere dei freni, dai sordi strappi dei cambi delle moto, dall’attrito metallico delle rotaie dei tram o dei treni sui binari, dagli sbuffi delle porte della metro e dei tornelli, per non parlare degli attrezzi da lavoro in azione o degli schiamazzi delle persone. Gli effetti sono profondamente deleteri sulla psiche e sul corpo umano (aumento dello stress e dei disturbi del sonno, per esempio) e per alcune patologie anche precisamente quantificati: soltanto in Europa, l’esposizione prolungata al rumore ambientale urbano causa ogni anno 48 mila nuovi casi di malattie cardiache e 12 mila morti premature.

Poche settimane fa, ad aprile, il Consiglio comunale di Milano ha approvato l’aggiornamento della classificazione acustica del territorio comunale, che suddivide la città in zone con specifici valori limite di rumore, in funzione della destinazione d’uso. Riclassificare la città in base alle evoluzioni territoriali e sociali dell’ultimo decennio è un passo importante per gestire e mitigare l’inquinamento acustico, pianificando eventuali interventi mirati in aree particolarmente critiche, aggiornamento che arriva peraltro a dodici anni di distanza dall’ultimo. Si tratta di un lavoro meticoloso che divide la città in sei classi: protetta, residenziale, mista, di intensa attività umana, prevalentemente o esclusivamente industriale, ognuna con i propri limiti acustici diurni e notturni aggiornati e da rispettare. Ma aldilà del fatto che alcune zone (Porta Ticinese, Parco delle Basiliche, Parco Sempione) hanno visto un innalzamento, e non una riduzione, di classe, dunque un aumento del limite di tolleranza sonora, un dato fa profondamente riflettere. O meglio, un non dato: non abbiamo il dato di esposizione media su tutta la città. Cioè sappiamo come dovrebbe essere, al netto della nascita o evoluzione di nuovi quartieri, di riqualificazioni a uso abitativo di aree un tempo industriali, della mappatura della movida e dei locali. Ma non sappiamo come effettivamente stiano le cose. Se volessimo decidere in quale zona di Milano abitare basando la scelta su quali siano quelle meno inquinate dal punto di vista acustico, potremmo soltanto valutare in base alle regole sulla carta, anziché farci un’opinione basata su misurazioni reali.

Azzardiamo: dovremmo iniziare a trattare le città come una nuova disciplina, la bioacustica, tratta gli ambienti naturali. La descrive molto bene Dario Giardi nel suo libro “E se fosse la musica a salvarci?”, edito da Mimesis: “una disciplina in rapida espansione che utilizza il suono per studiare gli organismi viventi e le loro interazioni con l’ambiente. Ogni specie produce suoni distintivi, e la loro registrazione può rivelare informazioni fondamentali” che ci permettono di “valutare la loro attività e, soprattutto, rilevare segnali di stress ambientale”. Applicata agli insetti impollinatori, per esempio, “software avanzati basati sull’intelligenza artificiale analizzano enormi quantità di dati bioacustici per individuare tendenze e correlazioni.” Secondo Giardi, si tratta di “creare un ponte tra scienza, comunità e natura per costruire un futuro più sostenibile.” E se la applicassimo non soltanto agli ambienti naturali, ma anche a quelli urbani? Immaginate i dati che si possono fornire all’AI della situazione registrando i suoni della cerchia di Milano. I lavori, strettoie e ingorghi, dei cantieri disseminati ovunque in una città, come quasi tutte nel mondo, in perenne (ri)generazione, delle tante tribù della movida costantemente alla ricerca di nuove terre su cui accamparsi, di chi festeggia il compleanno o altri anniversari con i fuochi di artificio, come a Capodanno, creando traumi ai sempre più numerosi animali che vivono nelle case dei milanesi. Avremmo degli impollinatori (noi) in perenne difficoltà e disorientamento, immersi in un ambiente sonoro, un soundscape (ossia la fotografia dell’acustica di un ambiente nel presente) segnato dall’assenza dei suoni naturali e dalla sovrabbondante presenza di suoni meccanici, tecnologici, umani. Che fa il paio con quella ormai consolidata abitudine di mettere musica (o pseudo tale) in qualsiasi luogo della ristorazione, piccolo o grande, economico o costoso, così come in tutti i retail delle vie del centro.

Giardi propone poi un concetto affascinante, quello di memoryscape, “il suono del passato, una sinfonia invisibile che si intreccia con la trama della nostra storia, con il tessuto del nostro vissuto e con i luoghi che hanno fatto da sfondo alle nostre esperienze.” La locomotiva a vapore, il frinire dei grilli, il canto degli uccelli, se andiamo indietro di qualche decennio o ci spostiamo fuori dai grandi centri abitati. Viene da chiedersi, oggi, in una città italiana, quali ricordi sonori si stiano creando e radicando in noi. Clacson, clangori, allarmi ululanti, risate sguaiate, urla da adolescenti anche se emesse da cinquantenni su di giri: è davvero inevitabile che sia questo e soltanto questo il memoryscape di Milano che avremo tra dieci, venti o trent’anni? O dovremmo considerare invece le nuove regole e classificazioni un semplice punto di partenza, per iniziare a indagare a fondo quali siano le zone della città acusticamente insostenibili? Sì, anche questa è sostenibilità. Delle più incomprese, tra le più trascurate. Come se l’udito fosse soltanto un optional tra i sensi. In un momento in cui, tra le varie proposte per l’utilizzo dello stadio San Siro, c’è anche quella di dedicarlo esclusivamente ai concerti, con un tetto che si possa chiudere e lasciare che le due squadre del cuore di tanti milanesi si costruiscano il loro, non necessariamente in città. E San Siro possa davvero diventare un hub dello sport praticato, non di quelli che guardano gli altri correre. In collegamento con il parco delle cave e la montagnetta, appunto. C’è un fortissimo bisogno anche di educare l‘orecchio (e pure l’olfatto): fa parte di un pezzo della qualità di vita che spesso viene abbassata dalla totale mancanza di educazione necessaria al vivere civile.

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