Il cambiamento di Milano nel racconto di un cittadino di 84 anni

Milano

Dalla vecchia Milano al miracolo economico, gli 84 anni di Gianni per raccontare il grande cambiamento urbano

Dall’epoca dell’industrializzazione alla città del bosco verticale, passando dalla Milano da bere: la metropoli raccontata partendo dalla storia di chi ha vissuto tutti i grandi cambiamenti

15 Novembre 2025

Il cambiamento di Milano, lui, alla soglia degli 84 anni, lo ha visto a cavallo di tre epoche in quasi un secolo di esistenza, oggi ce lo racconta, e guardandosi a ritroso dice che rifarebbe tutto. Ai giovani suggerisce invece di “studiare perché il futuro va interpretato con coscienza”.

Il sorriso magnetico del Gianni, come tutti lo chiamano in quartiere, è nascosto dal lungo impermeabile che lui nella vulgata milanese preferisce chiamare paltò. È l’allegria il suo tratto distintivo, specchio di una milanesità semplice, a tratti ostentata, che impersona tutta, racchiusa negli 84 anni di vita vissuta dal nanì, espressione dialettale usata per definire le persone poco slanciate come lui.

È il sabato mattina di un autunno nuvoloso, Gianni percorre la via stretta che da casa conduce al sagrato della parrocchia di San Giovanni alla Creta, in zona Bisceglie, ad ovest di quella città che definisce “sbiadita” rispetto alla vecchia Milano. La statura, racconta ironico, è eredita della sciura Angelina, sua mamma, alta un metro e mezzo. Lungo il viale che conduce in zona Inganni, però il vero problema che lo attanaglia sono le scarpe nuove, non ancora ammorbidite che gli creano qualche fastidio alle dita. È vero, dice con il suo sarcasmo, che chi cerca moglie deve trovarne una che funzioni come le scarpe vecchie. Lui di legami sentimentali nella sua lunga vita non ne ha mai voluti per scelta e la sua storia personale si è snodata dentro i grandi cambiamenti sociali che Milano ha incrociato negli anni.

L’esordio riporta a una casa di ringhiera della vecchia Milano, nella zona nord di Porta Garibaldi. Siamo agli albori degli anni 40, Gianni cresce con mamma Angelina e il fratello nell’epoca della ricostruzione post bellica e dei primi passi del percorso di industrializzazione della metropoli. Porta Garibaldi,  al pari di molti  altri quartieri di Milano, pullula di famiglie operaie impiegate nelle grandi industrie come Alfa Romeo, Breda, Pirelli e Montecatini. Le istantanee che passano dal suo racconto sono immagini nitide di quella che oggi sembra un’altra città nella quale, racconta, si viveva con la porta aperta giorno e notte. Il contesto nel quale a dominare era la socialità, quella delle botteghe di prossimità e i tanti centri di incontro oggi scomparsi per lasciare posto a una dimensione costellata di ipermercati periferici  anonimi e solitudine.

I ricordi di quell’epoca-ponte con la grande Milano degli anni 60 e 70 passano dai momenti di aggregazione in parrocchia o nei giardini pubblici, dall’impegno nella Proloco, l’associazione di sviluppo locale allora punto di riferimento dei residenti. Perché, come dice Gianni, anche se a quei tempi per andare in bagno occorreva di notte e col freddo attraversare una balconata all’aperto, Milano aveva la fisionomia di un paese. La narrazione passa velocemente alla grande espansione urbanistica degli anni successivi, quella dei grattacieli, che ha posto le premesse allo snaturamento della dimensione familiare che si respirava in quell’epoca. È questa la stagione nella quale Gianni entra nel mondo del lavoro da perito tecnico in Montecatini. Anche in questo caso c’è un paragone che restituisce la sua visione di cambiamento: in quell’epoca, racconta, con stipendi medio-bassi portavi avanti la famiglia, consentivi ai figli di studiare, oggi con tremila euro al mese devi tirare la cinghia per far quadrare i conti.

Erano periodi nei quali il cambiamento di Milano aveva la forma del boom economico che aiutava chiunque e lui, nel piccolo, si è avvantaggiato di quel clima di benessere diffuso: da operaio progredisce in amministrazione e si ritaglia un ruolo di responsabilità che lo traghetterà a meno di 53 anni, di cui quasi 35 anni trascorsi a lavoro, alla pensione. Anni nei quali con l’impegno, la costanza e tanti straordinari riuscivi a ritagliarti anche stipendi importanti. Lavoro e passioni, come quella per la montagna, che lo spinge col padre a costruire una villetta nelle Prealpi lombarde, in Valsassina, ancora oggi rifugio per i mesi estivi.

È questa in definitiva la vita di Gianni, sempre lontano dalla Baggina, ripete, termine milanese per chiamare l’ospizio Pio Albergo Trivulzio. La sua più grande paura è quella di morire soffrendo come i suoi genitori, quanto lo spinge a dire che alla vita chiede soltanto di licenziarsi dormendo, magari di rientro da uno dei suoi viaggi ad Assisi o a Roma. Tra i suoi punti fermi c’è anche l’orgoglio democristiano, distante, tiene a precisare, da ogni forma di comunismo. L’appartenenza che oggi lo porta a sostenere la Lega di Salvini, che si vanta di conoscere personalmente, e Giorgia Meloni, perché “quello di centrodestra è uno dei governi più longevi”.

Gianni, il nanì, in politica come nella vita, è sempre  stato deciso e oggi guardandosi indietro si dice felice della sua esistenza. L’unico rimorso è quello di non avere portato avanti gli studi alla facoltà di economia in Cattolica e di avere in questo modo deluso mamma Angelina che per iscriverlo aveva dovuto farsi rilasciare dal parroco un certificato che attestava la sua fede cristiana.

Altre epoche e altre storie in una Milano che non è più quella ma che per Gianni non va mai dimenticata perché rimane la premessa a tutto il resto. Il modo migliore per interpretare il futuro con lucidità, ma sempre, sia chiaro, lontano dalla Baggina.

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