Don Ambrogio Basilico, parroco di San Vito, in Giambellino

Milano

Don Ambrogio Basilico: dal Giambellino vi racconto la “gente vera” delle periferie

27 Settembre 2025

Da cinque anni Don Ambrogio Basilico è parroco del quartiere Giambellino dove la chiesa è un punto di riferimento per l’ascolto di disagio e nuove povertà.

Solaro, piccolo comune della seconda cintura milanese nei pressi di Saronno, dista dal quartiere Giambellino meno di 25 chilometri. Don Ambrogio Basilico la conosce molto bene quella tratta perché simbolicamente ripercorre il cammino che l’ha portato a diventare “prete di periferia”, come ormai si definisce. Partito dalla grande provincia dell’area metropolitana il parroco ha speso i primi anni di lavoro nel quartiere di Quarto Oggiaro, successivamente è passato alla Barona. Adesso, da cinque anni a questa parte, guida la parrocchia di San Vito al Giambellino.

Le periferie che passano dal suo racconto sono posti di confine dove si trova quella che lui chiama la “gente vera”. Grandi agglomerati urbani che sembrano alveari, distanti dai confini chiusi di un piccolo comune come anche da quel senso di protezione che nei quartieri popolari gli occhi dei tanti anziani soli e dei ragazzi disagiati faticano a vedere. La scena dell’oratorio della piccola Solaro gremito di giovani dal quale è partito più di trenta anni addietro e dove si leggeva il vangelo, per don Ambrogio è così diventata sempre più sbiadita lasciando il posto alla gente del quartiere ad ovest di Milano che bussa alla porta della parrocchia per chiedere ascolto, casa, lavoro e spessissimo cibo.

Volti di vita vera che hanno la fisionomia di uomini e donne che affrontano esistenze difficili con grande dignità rappresentando la stragrande maggioranza di un popolo che non può essere descritto dalla retorica della paura e del crimine. Don Ambrogio è convinto che quella narrazione degradante occorre sconfessarla, perché al fianco delle occupazioni abusive, i soprusi urbani e lo spaccio che fanno tanto rumore ci sono i volti di chi alle periferie presta il proprio tempo rendendo le “città nella città” dei luoghi aggreganti e ricchi di socialità.

Le vicende umane vissute dal Don Ambrogio Basilico restituiscono il ritratto di un Giambellino che per i suoi problemi alimenta paura ma anche quello di una periferia che nonostante tutto avvicina, che vive nella semplicità di chi, lontano dalle cronache più buie, è orgoglioso di popolare il quartiere. Parecchie storie, mosaico di un disagio radicato ma prima ancora impregnate di solitudine che si intersecano dentro la nuova geografia sociale di un quartiere composto da anziani, stranieri e sempre meno giovani.

La solitudine di oggi, probabilmente la principale piaga del Giambellino, passa da chi come la signora Giovanna – il suo e gli altri nomi che leggerete, sono di fantasia – ha visto il suo mondo sgretolarsi. Lei ha quasi ottanta anni e si porta dietro la storia comune delle tante famiglie che nel tempo hanno popolato il quartiere. Arrivata a Milano dal sud nel pieno del boom economico riesce ad ottenere un alloggio, uno stato sociale che che in quegli anni consente di crescere i figli, due nel suo caso, e vivere dignitosamente. A distanza di meno di quaranta anni si ritrova sola per via della perdita del figlio per overdose e l’allontanamento del secondo figlio. Il colpo più duro arriva tuttavia dal cambio di volto del quartiere che ha visto in un ventennio la scomparsa dei vicini di sempre e l’arrivo di nuovi residenti provenienti da almeno dieci differenti nazionalità.

Storie come la sua sono all’ordine del giorno, come i racconti di una reclusione scelta da chi che per paura si barrica in casa, ben al di là e oltre ogni reale minaccia.

Intanto, mentre la città cambia volto storie di nazioni differenti si incontrano, legano nella difficoltà e spesso si ritrovano nella rete di associazioni come la Caritas e le tante realtà laiche che tendono una mano ai più svantaggiati.

Sofia è sudamericana e anche lei è stata adottata dalla rete sociale di don Ambrogio. La sua storia ha i tratti, comuni a tante altre, delle nuove povertà, quelle che nonostante il lavoro non consentono di vivere dignitosamente. Tre figli tirati su con immani fatiche, una miriade di lavori che la impegnano anche dieci ore al giorno e la paura costante di non farcela.  Lei come Giacomo, giovane studente impegnato nel sociale che fatica a sbarcare il lunario, è l’emblema della nuova città dove al fianco degli anziani soli c’è la povertà che svaluta il lavoro e trasforma lo studio in un lusso per pochi.

La memoria riporta a quegli stessi vicoli nella vita degli anni settanta, per sconfessare quello che don Ambrogio Basilico, nel Giambellino di oggi, chiama il paradigma della celebrazione del passato. Perché non è vero che si stava meglio quando si stava peggio e la conferma arriva dai ricordi degli anziani. Il quartiere polveriera appartenuto a quel passato era quello dei risvegli frequenti col morto in strada e l’estrema facilità a ritrovarsi senza volerlo dentro una sparatoria.

Lo stato nello stato si diceva all’epoca, anche oggi il ruolo del pubblico rimane controverso con ritardi che pesano in primo luogo rispetto alla grande questione del disagio giovanile. La porta della parrocchia di San Vito al Giambellino accoglie sempre più spesso l’area grigia delle difficoltà psicologiche di troppi giovani, una bomba pronta a esplodere che in un contesto di povertà diffusa rischia di assumere contorni sociali preoccupanti. La punta dell’iceberg di questioni che superano il confine stesso della periferia e toccano i quartieri elitari con fenomeni talvolta peggiori come quello dei clochard, volti più anonimi e meno inseriti nelle reti sociali di ascolto.

In fondo quello che il Giambellino, nel racconto di Don Ambrogio Basilico, insegna è che se di deriva bisogna parlare occorre farlo con una prospettiva più ampia capace di guardare alla città nel suo insieme. È così anche per il fenomeno delle occupazioni abusive che secondo don Ambrogio possono essere superate con un piano casa complessivo che riconsideri questioni emergenti come gli affitti brevi, il proliferare dei bed and breakfast e il caro prezzi figlio della crescente speculazione edilizia. Posta in questi termini la periferia metropolitana può parlare con i complessi elitari del centro e trovare una sintonia anche sul fronte caldo della solitudine e delle nuove povertà.

Le questioni che quel giovane prete di provincia mai avrebbe immaginato di dovere affrontare nella sua missione spirituale. Don Ambrogio quando racconta la sua di storia ritorna col pensiero a quel seminarista che pensava di diffondere il vangelo negli oratori e si è trovato catapultato velocemente alla attività di ascolto delle difficoltà più estreme delle persone.

Da parte loro le periferie in questo sanno essere tremendamente concrete, lanciando subito nella mischia della vita reale che, come dice lui stesso, è la più concreta delle applicazioni del vangelo. La stessa che oggi difficilmente lo porterebbe a cambiare per una zona diversa della città. Difficile fare a meno dello sguardo riconoscente di persone come Giovanna, Sofia e Giacomo, dei tanti volti umani del Giambellino.

Loro, di fatto, sono diventati il punto fermo dell’esistenza di don Ambrogio che sorridendo dice: “in centro non andrei mai, anche perché come prima cosa dovrei subito cambiare abbigliamento”.

 

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