
Milano
Ieri in piazza c’erano tutti
Ieri a Milano c’erano tutti, senza cesure fra corteo e scontri. Studenti e professori, i “soliti” e chi non era mai sceso in piazza, movimenti e seconde generazioni. La piazza interclassista per Gaza dimostra che ciò che avviene sulle piattaforme può riversarsi sulle strade.
“Sono tossici?”
“No, bruciano gli occhi credo”.
Lo dicevano senza scomporsi troppo due ragazzini, ieri, sotto la galleria delle carrozze della Stazione Centrale, mentre volavano i primi lacrimogeni della giornata. Mi hanno fatto sorridere. Doveva essere la prima volta per loro, e così per tantissime altre persone davanti alla stazione.
Alle due il corteo si era necessariamente diradato, perché chi era fuori dalle nove del mattino era zuppo d’acqua e comunque erano quattro ore che si camminava. Chi era stanco è andato via, chi è rimasto invece si è avvicinato alla stazione per osservare e scoprire se davvero si sarebbe riusciti a entrare. Quello che è successo prima e quello che è successo dopo non sono due cose diverse: era lo stesso corteo, erano le stesse persone.
Poco prima erano arrivate le notizie della Tangenziale bloccata a Roma, i binari occupati alla Stazione di Porta Nuova di Torino, il porto di Genova anch’esso bloccato. A Milano si era parlato fin dal mattino di occupare i binari di Stazione Centrale, la sola differenza è che qui la polizia ha respinto i manifestanti, prima sotto la stazione, poi fino in strada. C’era chi si teneva qualche passo indietro ma restava per proteggere chi voleva provare a entrare. E c’erano quelli che provavano ad avvicinarsi ai cancelli. Qualche manganellata, qualche lacrimogeno. Gli scontri sono durati tutto il pomeriggio, ma da questo punto di vista, tutto sommato, non è successo niente di particolare. Niente che possa cambiare il significato di quella piazza: quello al massimo lo fanno i media che dibattono sugli scontri e non su ciò di cui parlavano gli scontri, guardano il dito invece che la luna.
Le cose importanti accadute ieri sono altre, di una portata enorme, e sono proprio gli aspetti che mi sono stupita di non trovare nelle pagine dei giornali e nei dibattiti stamattina.
Perché ieri c’erano tutti.
C’erano tutti al corteo e in molti sono rimasti anche dopo. Non è vero, come si è detto e letto dappertutto, che un gruppo di facinorosi, i “soliti” (ma chi?), hanno preso la testa e guidato la rivolta. Ma non è vero nemmeno che sono arrivate frange di esterni alla manifestazione, i temuti maranza, e hanno sobillato gli scontri. Non è vero semplicemente perché al corteo come agli scontri c’erano tutti: c’erano i centri sociali, c’erano i “soliti”, c’erano i maranza, c’erano i ragazzini quattordicenni italiani di qualche seconda generazione che non avevano mai visti un lacrimogeno eppure stavano lì. C’erano giovani e adulti, genitori e figli, professori e studenti.
Lo sciopero nazionale del 22 settembre è qualcosa che non vedevamo da tempo. Di solito ognuno sciopera per sé: i lavoratori per il lavoro, gli studenti per la scuola. Gli scioperi per il clima, prima che una pandemia e una guerra gli tagliasse le gambe, coinvolgevano una popolazione abbastanza mista, ma mai così trasversale. Ieri per Gaza si sono fermati i mezzi pubblici, i treni, i porti, le biblioteche, le università, le librerie, le scuole, persino qualche bar e ristorante. E in piazza, nella stessa piazza, c’erano “i soliti” centri sociali, i movimenti, i librai, la Fondazione Feltrinelli, i lavoratori dell’Atm, i palestinesi, le seconde generazioni, pure i “maranza”.
Quando mai ci eravamo trovati tutti nello stesso corteo e quando mai, fra chi ha avuto la forza di rimanere fino alla fine, c’erano facce così varie? Gli esperti, i novizi, quelli che in manifestazione non ci tornavano da anni. È stata la piazza più interclassista che abbia mai visto, ha unito classi sociali e mondi che non manifestano assieme nemmeno il 25 aprile. È stata la dimostrazione che ciò che avviene sulle piattaforme può riversarsi nelle strade. E che in tanti erano anche disposti a rischiare qualcosa. Perché spingere i cancelli della Stazione è rischioso, sia per le manganellate sia (peggio) per le resistenze a pubblico ufficiale. Al di là di quello che si può pensare di questi gesti, per qualcuno inutili, volendo illegali: la cosa interessante è che chi cercava di varcare il confine lo faceva per Gaza, per un altro popolo, devastato sotto i nostri occhi, e forse anche per la propria dignità, perché è inaccettabile stare a guardare. Più inaccettabile che rompere un vetro.
La sindaca Salis diceva, poco prima della partenza da Genova della Flotilla, che il coraggio è rischiare per gli altri o, possiamo aggiungere, per il bene comune, comunque non per se stessi. Illegale o meno, utile o meno, ieri c’era anche questo.
Non so cosa sapremo farne di questa scoperta. Se sapremo dirci che possiamo essere nella stessa piazza, anche per altre lotte. Gaza è la più eclatante delle ingiustizie e tocca il cuore di tutti. Chi non si sente toccato da questo genocidio è senza cuore, direbbe forse Winston Churchill. Ma intanto ieri per la prima volta ci siamo stati tutti e scoprire che possiamo condividere uno spazio e un sentimento è già tantissimo. Certo che non siamo tutti e tutte sulla stessa barca, non sarebbe vero, le differenze esistono. Però chi con barche più piccole, chi con barche più grandi, quello che è accaduto ieri assomigliava un po’ a una Flotilla: una flotilla di persone che sente inaccettabile il genocidio a Gaza, che reputa complice un governo italiano che non prenda concretamente posizione. Ma anche una flotilla di persone che forse non vuole che i soldi del proprio paese finiscano in armi e preferirebbe, forse, che venissero investiti in istruzione, sanità, mitigazione e adattamento alla crisi climatica, insomma nel bene pubblico e comune. Forse. Non posso dirlo con certezza. Certo è che quel che è accaduto ieri a Milano e probabilmente in tutte le altre città italiane non è tanto l’occupazione o no dei binari, non sono tanto gli scontri. Quel che è accaduto ieri è che per la prima volta c’erano tutti. O quasi tutti. Mancava solo chi è senza cuore, per tornare a Churchill.
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