Milano

L’ultima grande abbuffata? San Siro, il dito e la luna

La vicenda San Siro è politica, non giudiziaria: Sala e la sua amministrazione hanno scelto di accompagnare il Mercato come unico motore di sviluppo. Argomenti deboli, visione superata, e l’ennesima “abbuffata” che lascia solo la speranza nel non fare.

20 Settembre 2025

Premesso che non sono un NIMBY, né tantomeno un nemico del Mercato, che non pensa si debbano comunalizzare gli immobili del quadrilatero per farne case popolari o fare di Cracco una mensa sociale, seguo con crescente disagio di cittadino ed elettore la vicenda di San Siro.

Disagio che l’ottima serata di qualche giorno fa al Circolo Caldara, ha contribuito a dissipare in parte, mettendo a confronto non le bolle social, ma persone che dibattevano in modo aperto, civile, pluralista, con un Bruno Tabacci in grandissimo spolvero. Ne sono uscito con l’ulteriore convinzione che le posizioni dei favorevoli alla vendita di San Siro così come si sta configurando non mi convincono.

Gli argomenti (la definitiva obsolescenza dello stadio), gli esempi (quelli del calcio inglese, dove gli stadi sono di proprietà privata, quelli del calcio spagnolo, sbagliati perché lì si è ristrutturato), soprattutto la visione che evocano (tutta post 2015, Milano attrattiva e Milano che non si ferma), mi sono sembrati quantomeno inattuali, e qua e là rinforzati da piccole e grosse balle, ché tanto nessuno controlla e tutti si dimenticano. Sono cambiati i tempi, e dunque si è spostato inevitabilmente il concetto di opportunità politica, che non è ricerca stupidina del consenso fiutando l’aria, ma stare nel proprio piccolo dentro la storia, non dietro: pensare che oggi la questione di Milano sia quella dell’attrattività di capitali e non quella dello sviluppo endogeno è un errore.

Sono uscito con l’idea che anche per uno sviluppista moderato come il sottoscritto quel progetto così com’è, con questi tempi, questi modi e queste motivazioni, non s’abbia da fare.

La questione delle carte, ricevute e lette o meno, come quella delle inchieste, è grave, ma distrae dal nodo della vicenda, che è politico. Le carte e le inchieste sono il dito che lo stolto (o il furbo) guarda, distraendosi dal bel faccione saliano della luna. Che resta lì, anche se la magistratura dice che non si procede, o se i consiglieri ricevono e leggono le carte. Poi a me, che sono abbastanza vecchio e cinico, se un consigliere vota senza sapere e  autovincolandosi il mandato, perché glielo dice il capogruppo o per salvarsi il culo, interessa il giusto. Mi interessa molto di più la direzione, lo spin che seguono le mosche cocchiere e chi le guida.

Questa amministrazione, schiacciata su questo sindaco, ritiene che compito della politica a Milano sia accompagnare il Mercato, innanzitutto quello immobiliare, come unico driver di sviluppo. L’hanno fatto dall’inizio quando il sindaco ha costruito una squadra che non gli facesse ombra, hanno fatto finta di fare marcia indietro quando la magistratura si è mossa – malissimo – spostando l’attenzione su presunti fatti illeciti mentre, lecita ma discutibile, emergeva la contiguità tra amministratori e palazzinari (che anche in doppiopetto e in inglese quello sono), e oggi vanno verso la madre delle speculazioni e delle svendite, San Siro.
Perché il rito, non il modello, ambrosiano di questi anni ha normalizzato la politica come lubrificante del Mercato. Del resto, un’amministrazione con le pezze al sedere, popolata di funzionari poco pagati e da qualche tempo terrorizzati, cosa poteva fare? Cosa poteva fare il centrosinistra, che si trovava a surfare sulla città che non si ferma? Questo è il nodo politico di San Siro, l’assoluta ineluttabilità della scelta rispetto agli ultimi anni, l’incapacità di non concepire una via alternativa se non come lacci e lacciuoli.

Domani, in campagna elettorale, gli stessi che per viltade – i riformisti che ci credono li rispetto di più, e deve essere divertente vivere in un video de Il Pagante – schiacceranno il bottone del sì (e i loro danti causa) bofonchieranno di svolte, o rivendicheranno la spesa sociale dimostrando che, quando non sono omissivi, non capiscono un’acca. Per loro, San Siro è l’ultima carbonara di mercatismo vecchio stile prima di mettersi a dieta e rivendicare il primato del pubblico, solo che non sono due fili di pasta, ma tutti i 500 grammi del pacco.

Un governo della città forte e autorevole, non bolscevico ma che che guarda avanti – dove non volano i palazzinari – non avrebbe usato gli argomenti miserrimi impiegato, dall’abbandono dello stadio con trasferimento all’estero (San Donato e Rozzano, preparate i passaporti) al figlio del consigliere PD che, poverino, non riesce a fare la pipì a San Siro ma solo all’Emirates a Londra, per giustificare una cosa fatta male e gravida di conseguenze. Infatti questo governo forte e autorevole non lo è: campa di parole, dimenticanze e paure (soprattutto del PD). Non è scritto nelle carte e non è illegale essere delle mezze figure, ma non è per questo meno discutibile.

Nonostante gli appelli, l’ultima grande abbuffata passerà, temo, anche se continuo a pensare che per fortuna il vecchio Meazza rimarrà in piedi a lungo. Tra ricorsi, fondi che tireranno per averla in regalo quella maledetta terra, un nuovo sindaco, il paese del milleproroghe non credo sarà celere proprio su San Siro. Ecco, io questo non perdono a Sala e al suo CdA, di averci costretti a sperare nel non fare.

’sta roba è tutta politica, tonda e luminosa come la luna del saggio.

 

 

 

 

 

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