Milano
Urbanistica milanese: un problema più politico che giudiziario
I paragoni con Tangentopoli non hanno senso: la crisi nel rapporto con la città è iniziata molto prima dell’inchiesta. Il libro che anticipava tutto
L’inchiesta sull’urbanistica milanese ha scatenato una caccia ad autointestarsi la primogenitura della denuncia, nel contempo puntando il dito su chi invece avrebbe colpevolmente taciuto, giornalisti e politici in testa. Pur appartenendo a entrambe le vituperate categorie, non mi sento particolarmente coinvolto nella tenzone, anche perché – spiace deludere i contendenti – c’è già un vincitore inarrivabile, che in tempi non sospetti ha messo tutto nero su bianco in un suo libro.
Ve ne riporto alcuni passaggi:
“Forse è tutto pleonastico, ma vorrei dire che la speculazione edilizia nel Milanese è una gran bella torta. (…) Bene, questa è la torta, state sicuri che non la divide soltanto la pura e indifferente legge del libero mercato. Le correzioni illecite intervengono di continuo e a un certo livello la frode fiscale, la corruzione e magari la santa ingenuità di certi amministratori sono di prammatica. Per i grossi speculatori milanesi la frode fiscale è quasi un punto d’onore: si compera a mille, si rivende a tremila, ma per il fisco c’è sempre pronto un doppio contratto, in modo che risulti una vendita a mille e cento. Oppure il commercio avviene tra società di comodo con la cessione di pacchetti azionari a prezzi convenienti per la registrazione”. (…)
“Erano, le nostre amministrazioni passate, di specchiata onestà, se volete di un galantuomismo un po’ ingenuo, regolarmente colto di sorpresa dalla speculazione privata. Con i terreni vicini alla Metropolitana si sono arricchiti tutti fuorché il comune; in via Palmanova, per citare un esempio della sua preveggenza, esso ha ricomperato a trentamila ciò che aveva venduto a millecinquecento; avendo poi bisogno di altro terreno lo ha riacquistato a un prezzo quattro volte superiore dalla vedova Cabassi, conosciuta come la ‘mié del careté’ per via che il marito aveva iniziato le sue fortune aziendali con alcuni carretti a cavallo, trasportando ghiaia. Insomma delle amministrazioni comunali molto rispettive delle private iniziative e più che gentili nei loro confronti”.
Impressionante, vero? Ma sapete di chi si tratta? No, non è Gianni Barbacetto col suo “Contro Milano”, bensì Giorgio Bocca con “Miracolo all’italiana”, uscito addirittura nel 1962. Benché il “rito ambrosiano” dell’urbanistica sia stato introdotto nell’era Pisapia-Sala, sostanzialmente si segue una linea di continuità e, nel diritto, oltre alle norme formalmente codificate contano anche prassi e orientamenti giurisprudenziali (comprese le numerose sentenze del TAR che hanno guidato le ultime scelte urbanistiche del Comune). È quindi difficile rimproverare al centrosinistra di aver impresso una svolta viziosa alla città, semmai il contrario: la rivoluzione arancione portava con sé una promessa di discontinuità che poteva tradursi in cambiamenti ben più netti.
Ma questo è un tema di rilevanza giuridica? Stando a quanto finora emerso dall’inchiesta, francamente non pare: se ci sono “mariuoli” di craxiana memoria che si sono intascati soldi pubblici sarà doveroso punirli severamente, ma ad oggi il sistema parrebbe orientato a velocizzare le procedure, secondo un laissez-faire molto poco sinistrorso, ma nemmeno finalizzato alla ruberia come era Tangentopoli, paragone tanto frequente quanto improprio.
Il tema è molto più politico che giuridico, ma questo non significa che sia meno grave. Ne parlavo proprio col Direttore Jacopo Tondelli un annetto fa, confidandogli di considerare l’inchiesta come una potenziale Waterloo. Il vero rischio che non mi farebbe dormire sereno se fossi (ancora) un pubblico amministratore è quello del danno erariale. Secondo alcune ricostruzioni, le agevolazioni ai costruttori avrebbero fatto perdere alla collettività oltre 100 milioni di oneri di urbanizzazione in soli 10 anni, soldi coi quali potemmo – ad esempio – potenziare il trasporto pubblico e tenere in miglior funzione le piscine cittadine. Immagino che le difese cercheranno di dimostrare che gli oneri non sono tutto e che il benessere collettivo deriva anche da altri fattori, a partire dall’indotto, ma in caso prevalesse la tesi accusatoria sarebbero dolori, non solo per gli attuali indagati. In primo luogo ci sarebbe da risarcire il danno, con annessa mazzata economica che colpirebbe in solido anche funzionari e consiglieri compartecipi. Inoltre, politicamente sarebbe una sorta di bocciatura senza appello: sei onesto, hai cercato di fare del bene alla città, ma le hai causato un danno. Un giudizio del genere, timbrato da un organo dello Stato, può mettere fine ai diffusi sogni di carriera politica.
Ad oggi, giova ricordarlo, sono comunque tutti innocenti, eppure l’opinione pubblica è decisamente più infervorata rispetto a quanto accaduto per esempio con Expo, dove pure qualche condanna c’è stata. A mio avviso questo accade perché la politica si sta indebolendo a una velocità impressionante e, come un organismo cagionevole, deve temere anche i malanni di stagione come se fossero virus letali. I sintomi si erano visti bene prima dell’inchiesta, giacchè i segnali di una rottura emotiva tra elettori ed eletti erano decisamente palesi.
I temi sono ben noti a chi conosce la città e il conseguente sentiment è certificato anche da sondaggi che non sono stati fatti uscire dall’inner circle. Li riassumo nei cinque punti che ritengo più rilevanti:
– La gentrificazione. La città diventa sempre più attrattiva per i capitali stranieri e sempre più espulsiva nei confronti dei residenti. Urbanistica, casa e persino sicurezza sono temi enormi, eppure rappresentano solo una parte di questo puzzle che vede ampliarsi la forbice tra chi ha e chi annaspa. Certo, è un trend internazionale, ma colpisce che il suo picco si verifichi con giunte progressiste, che oltretutto si ispirano dichiaratamente ad Ada Colau, prova vivente di come il fenomeno si possa arginare, governandolo.
– I giovani. Nella dinamica sopra descritta, sono dei vasi di coccio, schiacciati come tra un costo della vita sempre meno sostenibile e posti di lavoro sempre più precari e mal remunerati. Curioso che tutto ciò accada mentre i vari livelli delle istituzioni locali sono colmi come non mai di una pletora di giovani politici, bravissimi nel conquistare un posto al sole, ma ancora non altrettanto efficaci nel tutelare gli interessi di chi dovrebbero rappresentare.
– L’uomo solo al comando. Molti criticano il decisionismo da manager di Beppe Sala, ma se oggi è facile sparare su un Sindaco oggettivamente in difficoltà, per onestà intellettuale va ricordato che nel momento di massima popolarità il suo carisma copriva la leggerezza della compagine di governo. Succedeva già con Pisapia, ma dopo l’uscita dalla Giunta di Majorino e Maran, il livello è ulteriormente sceso, disvelando la mancanza del ricambio generazionale. Fortunatamente i suddetti sono appena cinquantenni (ragazzini, nella gerontocrazia italiana), ma è curioso che non siano bastati 15 anni alla guida di Milano per formare una nuova classe dirigente. Interloquendo con la città, di alcuni assessori si sente parlare solo male e di altri non si sente parlare affatto, che è pure peggio. Lo stesso vale per il consiglio, che fatica a toccare palla con proposte costruttive, e anche per i municipi. Alcuni presidenti di valore indubbiamente ci sono, ma la maggior parte dei cittadini ne ignora persino l’esistenza. Forse è il caso di dire che, a dieci anni di distanza, la riforma Delrio è stata un clamoroso buco nell’acqua, mettendoci dentro anche la vexata quaestio della Città Metropolitana.
– Mobilità e ambiente. Certo, la situazione è migliorata rispetto alle amministrazioni di centrodestra, che fino agli anni ’90 facevano circolare le auto anche in Piazza Duomo. Ma non basta e i dati sull’inquinamento lo certificano senza appello. Finora si è combattuto l’uso eccessivo delle auto laddove non necessario, ma il potenziamento solo parziale del TPL è l’altra gamba mancante di un intervento veramente efficace. I City User spesso non hanno alternative reali al trasporto privato e vessarli al pari di chi insiste a posteggiare il SUV in doppia fila quando porta i figli a scuola è iniquo e controproducente. Quasi quanto certe ciclabili discutibili (e anche qui c’è un processo in corso) o i limiti alle due ruote, che producono più reazioni oppositive che effettivi benefici. Oltretutto, questi giri di vite non bastano nemmeno per recuperare i fondi per gli interventi necessari.
–San Siro. Se una discussione sulla possibilità di dotarsi di uno stadio più moderno (sul modello della Juve e della Premier League) poteva e può essere affrontata in maniera laica e razionale, la raffica di idee bizzarre sul tema si è rivelata veramente inaccettabile: uno stadio, due stadi affiancati, uno qua e l’altro chissà dove, uno e mezzo con le rovine del Meazza convertite in pareti da arrampicata, una squadra a San Donato e l’altra a Rozzano, il Parco dei Capitani (costruito su iniziativa del sottoscritto, appena dieci anni fa) cementato senza pietà, un altro centro commerciale e nessun onere di urbanizzazione per il quartiere…. Questa lisergica giostra del nonsense andrebbe fermata, invece si è scelto di ripartire proprio da qui, subito dopo la pausa di agosto. Mi ha molto colpito il riferimento di Sala, persona che stimo, alla sua determinazione nell’andare avanti per puntiglio e dignità personale: è la stessa cosa che avrei detto io di un progetto personale o professionale, ma quando si amministra la cosa pubblica bisogna anche sapere buttare giù qualche rospo, perché nulla conta di più dell’interesse della collettività. Siccome nel caso specifico esso mi pare tutt’altro che dimostrato, uno stop – anche temporaneo – mi parrebbe doveroso.
A tutti questi problemi si può trovare una soluzione credibile solo attraverso la politica, che potrà anche sembrare una banalità ma che facciamo sempre più fatica a mettere in pratica. Penso alle lunghe discussioni su chi dovrà candidarsi per la successione di Sala e tutte le teorie sull’opzione politica o civica impallidiscono di fronte ai temi sul tavolo: che sia una figura capace di incarnare una risposta credibile a queste domande, rappresentando sia una necessaria continuità di valori democratici, sia una non più rinviabile discontinuità, perché dopo tre mandati l’entusiasmo della novità non esiste più e bisogna essere concretamente disruptive nel migliorare la vita delle persone, a partire da chi più fatica. A proposito, faccio sommessamente notare che in questi anni abbiamo candidato rappresentanti di varie categorie, ma mai un operaio. E non è un dettaglio.
Proviamo a risolvere questi problemi e quelli giudiziari potranno molto meno angoscianti. Se la politica fosse veramente autorevole, sarebbe più semplice capire che una chat WhatsApp non è la camera di un albergo a ore e che è perfettamente normale che amministratori e operatori economici si parlino. Meglio se avviene nelle sedi istituzionali, ovvio, ma va benissimo anche al telefono o a cena, basta che non tramino contro l’interesse pubblico. Certo, bisogna che il politico in questione abbia autorevolezza e schiena dritta. E che come tale sia percepito.
Se invece lasciamo che la politica sprofondi nella sua debolezza, sarà inevitabile che a decidere le sorti della città siano sempre di più le scelte degli imprenditori (cosa che avviene da oltre 60 anni, come ci ha spiegato Bocca). O ci arrendiamo alla logica del profitto, o ci affidiamo alla politica, pretendendo da lei sempre di più. Una terza via non esiste.
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