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Partiti e politici

Quanti voti servono per vincere le comunali di Roma

di Paolo Martini
22 Aprile 2016

Il numero che nessuno guarda nei sondaggi è in fondo: si chiama “incerti o non voto” ed è una percentuale che ormai ha un peso notevole perché in Italia è ormai uguale o superiore alla metà del corpo elettorale. Se considerate che normalmente i sondaggi sono basati sulle risposte di 800 persone, 1000 se va bene, vuol dire che 400 o 500 di queste persone sono incerte o non andranno a votare. Sulle altre 400 si spalmano i risultati. Quando dunque la candidata alle comunali di Roma Virginia Raggi è data al 26 o 28 per cento, come dice l’ultimo sondaggio commissionato da Porta a Porta alla società Tecné, vuol dire che hanno detto che votano per lei un centinaio di persone. Un po’ meno per la Meloni o per Giachetti, ancora meno per Bertolaso e così via. Ma, soprattutto, vuol dire che quelli che non andranno a votare quasi sicuramente sono almeno 1 su 2. Direte: mancano ancora 45 giorni, alcuni degli incerti poi magari andranno a votare. Ma probabilmente vi sbagliate.
Restiamo a Roma: anche lasciando stare il numero dei votanti al referendum del 16 aprile, che sono stati 728.092, la tendenza alla diminuzione dei votanti è netta da diversi anni. Lo stesso Comune di Roma proprio pochi giorni fa ha diffuso un dossier statistico per comparare le elezioni amministrative del 2008 e quelle del 2013. Il dato più significativo è quello della partecipazione al voto: – 21 per cento in cinque anni, dal 73,6 al 52,9.
In pratica alle ultime elezioni comunali, a Roma, hanno votato 1.245.927 persone al primo turno, scese a poco più di un milione al secondo turno. Meno della metà del corpo elettorale. Marino – che pure fece un grande risultato, prendendo al secondo turno 150 mila voti in più che al primo – è stato eletto da 650 mila persone. Poco più di un quarto dell’intero corpo elettorale.
Probabilmente dunque anche stavolta per diventare sindaco stavolta basteranno 25 elettori su cento. O forse ancora meno.
Sarà utile dunque – per i partiti – guardare ai voti effettivamente conquistati in passato, per capire su quanti potranno effettivamente contare. Il Pd per esempio alle famose europee del 2014, quelle del 41 per cento, prese a Roma 506 mila voti circa. Meno di quelli che prese Marino un anno prima. Molti meno – anche se sembrerà strano – di quelli che il Pd prese a Roma alle politiche del 2008: 690 mila. Con un bottino di voti simile non dovrebbe esserci dubbio di andare al secondo turno. Al netto di Mafia Capitale, certo.
I 5 Stelle alle europee non andarono benissimo: a Roma nel 2014 hanno avuto poco meno di 300 mila voti. Ma alle politiche dell’anno prima avevano superato i 425 mila voti. Alle comunali il candidato non era fortissimo e non arrivò al secondo turno e il M5S si fermò a poco più di 130 mila voti. Nel caso dei 5Stelle tuttavia può avere una qualche importanza il numero di coloro che sono andati a votare al referendum di domenica 16 aprile. Degli oltre 700mila romani, forse non è arbitrario assegnarne un terzo al M5S. Quasi 250 mila elettori.
A destra gli ultimi dati possono essere ingannevoli: alle europee del 2014 Fratelli d’Italia ha avuto a Roma poco più di 62 mila voti. Forza Italia oltre 150 mila. La Lega 16 mila. Anche sommandoli non riucirebbero ad arrivare al ballottaggio. Tuttavia vale la pena di ricordare che Gianni Alemanno, perdendo malamente al secondo turno contro Marino, nel 2013, arrivò a prendere 374 mila voti. Era reduce dagli scandali della sua Amministrazione, non era certo sulla cresta dell’onda. Morale: se il centrodestra unito avesse oggi 374 mila voti andrebbe quasi sicuramente al ballottaggio, e probabilmente ci andrebbe in vantaggio.
Quando deciderà il candidato, ovvio.

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