24 Dicembre 2014
Mafia Capitale non è già più da prima pagina. Eppure l’effetto a catena generato dall’inchiesta di Giuseppe Pignatone non si arresta. Sollevato il coperchio del pentolone in cui cuocevano gli affari di Buzzi e co. in molti casi quel che resta è il caos . Come per i centri di accoglienza, quelli gestiti dalle cooperative legate al braccio destro di Carminati. Il blocco dei conti, dopo gli arresti del 2 dicembre, ha lasciato al verde gli Sprar, le strutture per minori, quelle che accolgono i nuclei familiari e altri servizi. E se è vero che il sistema dell’accoglienza va ripensato, è anche scontato che il cambiamento non può essere immediato. Tra il dire e il fare c’è di mezzo “il qui e ora”, una dimensione che potrebbe sfuggire di mano se non si interviene subito.
I centri affidati alla cooperativa Abc (del Consorzio Eriches di cui era presidente Buzzi) sono 17 e danno ospitalità a circa 900 persone. Molti sorgono nelle periferie: Castelverde, Ponte di Nona, Ciampino, Rebibbia, Tor Cervara, Torre Maura. Posti di cui prima di Tor Sapienza nessuno parlava e che sono invece diventati protagonisti per un mesetto dopo l’assalto al centro di accoglienza per minori. In questi quartieri la coop in questione non si occupa solo di rifugiati e richiedenti asilo, ma anche di senzatetto, disabili e anziani. I deboli, i poveri, vittime prima del malaffare che li ha sfruttati e poi di magistratura e istituzioni che non sanno ancora come rimediare e nell’attesa fermano tutto. Oppure decidono di chiudere. Come sta accadendo mentre scriviamo alla “Casa di Elettra” a Castelverde: la convenzione, in scadenza il 31 dicembre, non verrà rinnovata. «La comunicazione è arrivata tramite una telefonata dal dipartimento dei servizi sociali – dice agli Stati generali la coordinatrice del progetto Mirella Bonafiglia – Ci hanno detto di avvisare gli ospiti perché a fine anno si chiude». La colpa è di Mafia Capitale: la cooperativa è tra quelle indagate e a pagare saranno i 13 lavoratori e i 44 senzatetto a cui si aggiungono 10 mamme con bambini. «Per Natale stiamo preparando le lettere di licenziamento – aggiunge Bonafiglia – pagheremo noi per chi ha rubato e i bambini verranno trasferiti come fossero pacchi postali». Non si arrendono gli ospiti che oggi (23-12-2014) hanno occupato la struttura e fanno sapere che non se ne andranno.
Anche gli altri lavoratori dei progetti del consorzio Eriches hanno diversi motivi per stare in pensiero: non hanno preso stipendio e tredicesima e senza soldi per la gestione ordinaria si chiedono come sarà possibile mandare avanti le strutture e i servizi. «Non sappiamo se nei prossimi giorni potremo ancora assicurare ai ragazzi il latte per la colazione – racconta gli Stati generali Susanna del centro di via di Tor Cervara che ospita 30 minori – e non abbiamo soldi per comprare i vestiti per l’inverno». Per ora se la cavano, raschiando quello che resta dal fondo cassa. «Oggi stiamo riuscendo a tenere tutto in piedi – spiega Fulvia Vannoli, coordinatrice del centro Il Frantoio – ma la gestione del centro è a rischio».
Al “Metrò” di Rebibbia in 128 sono senza riscaldamento. Questo già prima che esplodesse la bomba Mafia Capitale «ma a maggior ragione dubito che ora verrà qualcuno a riparare la caldaia», commenta Roberta, operatrice e delegata sindacale. Fornitori e ditte che si occupano della manutenzione temono a loro volta di non essere pagati e quindi stanno alla larga dai centri. C’è anche chi, come Sonia, è preoccupato per la sicurezza dei lavoratori: «Se dovessero saltare i pasti o i pocket money (compenso per ciascun ospite che va da 1,50 a 2,50 euro ndr) potrebbero nascere proteste e gli operatori sarebbero lì soli a dovere rispondere alle lamentele». In qualche caso i problemi sono già reali: «Ci sono strutture per famiglie – denuncia Stefano Sabato della Cgil – in cui manca il latte in polvere e lo stanno comprando i lavoratori di tasca propria».
I sindacati hanno lanciato l’allarme: «Diverse convenzioni – scrivono Cgil e Cisl – scadranno il 31 dicembre con gravi conseguenze occupazionali». Ma non solo. «In diversi centri – sottolineano anche le organizzazioni sindacali – stanno venendo a mancare beni di prima necessità, tra cui alimenti e medicinali per terapie farmacologiche, interruzioni di fornitura di gas e problemi di manutenzione di impianti, con conseguenti problematiche sanitarie, sociali e di ordine pubblico con rischi concreti per l’incolumità del personale impiegato nei servizi e per la sicurezza dei cittadini».
La situazione sembrerebbe in via di risoluzione. La prefettura avrebbe infatti dato disposizione al commissario di Eriches di sbloccare con urgenza i fondi per la gestione dei centri e l’accreditamento degli stipendi, ma ad oggi operatori e amministrativi, i circa 230 dipendenti della cooperativa, vivono nell’incertezza: «Che succederà dal primo gennaio? Non sappiamo nemmeno se dovremo o no andare a lavoro». Oggi (23-12-2014) la Abc, che gestisce appunto la maggior parte dei centri del consorzio Eriches, è stata commissariata. Questo dovrebbe favorire il pagamento degli stipendi e l’arrivo delle risorse per i centri, non si sa però con quali tempi. Un grosso punto interrogativo resta per le convenzioni in scadenza a fine anno (cioè tra dieci giorni). Ci sono operatori che già la notte di San Silvestro non sanno come comportarsi: chi è in servizio per 12 ore lavorerà tre ore con contratto e il resto senza. Le stazioni appaltanti concederanno una proroga o con l’anno nuovo ospiti e lavoratori si ritroveranno in strada? Il prefetto nell’ultimo incontro con i sindacati confederali «ha dichiarato la volontà, sugli appalti in attuazione delle indicazioni del Ministero degli Interni, di prorogare, nelle more del nuovo bando, gli appalti di diretta competenza CAR e CIA».
Per tutti gli altri servizi affidati da altri soggetti istituzionali ed aziende municipalizzate «la Prefettura in ottemperanza al proprio specifico ruolo, ha dichiarato la disponibilità a costituire un tavolo che affronti le possibili soluzioni». I sindacati fanno sapere che si impegneranno «per sollecitare i vari soggetti istituzionali (regione, comune, municipi) per realizzare, nel più breve tempo possibile, la riunione congiunta affinché vengano adottate misure analoghe a quelle disposte dalla Prefettura negli appalti di propria competenza». Vale a dire le proroghe dei servizi. Pare, però, che il sindaco Ignazio Marino non sia d’accordo. La sua strategia consiste in un repulisti generale, cominciato proprio l’antivigilia di Natale con la presentazione della nuova giunta. Ma l’azzeramento di un sistema così complicato non è cosa facile e rischia di fare molte vittime innocenti.
Sembra inverosimile che in così poco tempo enti locali e ministero dell’Interno riescano a mettere mano al sistema degli Sprar e dei centri di accoglienza. E’ probabile quindi che tutto resti così com’è fino a primavera. Ma poi? Le ipotesi al momento sono varie: la più plausibile è l’emanazione di bandi per l’ affidamento dei servizi. Voci di corridoio parlano invece di un possibile ingresso di Croce Rossa e/o Protezione Civile, le ultime spiagge per le amministrazioni quando tira il vento dell’emergenza. Un’idea che non dispiace a Flavio Ronzi, presidente della Cri Roma. «Noi siamo pronti, già in passato abbiamo dato disponibilità al Comune per l’ampliamento dei posti Sprar e per i minori non accompagnati». L’organizzazione sostiene di avere le forze per occuparsi dei centri. «Sia con i volontari che assumendo personale qualificato» aggiunge Ronzi. «La questione “lavoro”, se il governo centrale dovesse decidere di affidare i centri alla Cri, – precisa il dirigente – sarebbe la priorità».
L’entrata in scena di Croce rossa e Protezione civile, però, preoccupa il terzo settore che già in passato aveva criticato il protocollo firmato da Cri e Comune di Roma per i presidi nei villaggi attrezzati per i rom. Antonio Ardolino, ricercatore e operatore sociale, fa notare come «non ha senso il ricorso a realtà che operano nell’emergenza, perché non c’è nessuna emergenza». Anche il Roma Social Pride (organismo che riunisce diverse associazioni e cooperative) è contrario: «Esiste una rete del terzo settore che ha gli strumenti per occuparsi delle strutture di accoglienza – commenta Carlo De Angelis – il cambio di passo dovrebbe servire a creare alloggi di piccole dimensioni, con pochi rifugiati dislocati nei territori, per intraprendere veri percorsi di inclusione». Il modello romano dei mega campi rom, in cui sono state ammassate migliaia di persone ai margini della capitale, di certo non è un esempio da copiare.
E invece proprio in questa direzione si andrebbe se venisse confermata un’altra voce, secondo cui gli ospiti potrebbero essere trasferiti nelle caserme dismesse, quelle che ad agosto tramite protocollo tra ministero della Difesa, Comune e demanio sono state “affidate” al Campidoglio per essere “valorizzate” e restituite ai cittadini. Sono la caserma Ruffo sulla Tiburtina, quella nei pressi di viale Angelico su via Riccardo Grazioli Lante, la Donato al Trullo, la caserma Ulivelli su via Trionfale (che dovrebbe diventare a breve la sede del municipio XIV), il Forte Boccea e l’ex magazzino dell’aeronautica al porto Fluviale. Dell’idea di utilizzare le proprietà militari per dare un tetto ai rifugiati non ne sa nulla l’assessore all’urbanistica Giovanni Caudo: «Finora nei tavoli con ministero e demanio non se ne è mai parlato», dice a Gli Stati Generali ma se la Difesa dovesse esprimere parere favorevole il Comune non potrebbe opporsi. Anche se, così facendo, andrebbe contro lo spirito con cui Marino aveva salutato il provvedimento il 7 agosto scorso dichiarando, si legge sul sito di Roma Capitale, «per i sei stabilimenti che passeranno nella disponibilità del Campidoglio “noi continueremo con il percorso già intrapreso con via Guido Reni, ovvero un percorso partecipato scegliendo insieme ai cittadini e ai Municipi la destinazione da dare agli spazi, per una piena condivisione con la città».
È vero che finora si tratta solo di supposizioni, ma è vero anche che la matassa da sbrogliare è piuttosto intricata e spesso accade che nell’urgenza si imbocchi la strada più facile. In questo caso, il trasferimento di rifugiati e richiedenti asilo nelle caserme e il passaggio della patata bollente a Cri e Protezione civile. Sulle decisioni da prendere un ruolo importante lo giocherà la nuova assessora al Sociale Daniela Danese che ha annunciato di volere chiudere i “campi nomadi” e la sua intenzione di dare le case ai rom «che ne hanno diritto». Non si è ancora insediata ma già rilascia dichiarazioni scomode. Il che fa ben sperare: magari avrà anche il coraggio di guardare a rifugiati e richiedenti asilo con una lente nuova, superando finalmente l’ottica dell’emergenza.
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cooperativa 29 giugno, mafia capitale, Roma, Salvatore Buzzi
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