Rabbit Hole
Usando metaforicamente la celebre immagine di Alice in Wonderland, in inglese a fall down the rabbit hole indica il modo in cui un individuo che si è avviato su un percorso con un obiettivo, viene distrutto da vari eventi e cambia direzione più volte lungo il tragitto, finendo in un posto inaspettato, in genere senza aver soddisfatto lo scopo originale della ricerca. Tuttavia la strada conduce spesso a scoperte fortuite, rivelandosi più produttiva di quella diretta.
Ora che il Covid19 ci ha fatto cadere nella tana del coniglio, vogliamo arrampicarci per tornare da dove eravamo venuti, oppure diamo un’occhiata al fondo del tunnel?
Please, Let’s not go back to normal
Sembra quasi un grido disperato quello che più di duecento fra artisti, scienziati ed intellettuali hanno firmato lo scorso sei maggio su Le Monde, chiedendo ai cittadini e ai leader del mondo di prendere misure atte a scongiurare il disastro ecologico che è in atto. Tra i tanti nomi spicanno quelli di Juliette Binoche, Cate Blanchett, Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Alfonso Cuarón, Barbara Streisand, Madonna, Rooney Mara, Marion Cotillard, Adam Driver, Alejandro G. Iñárritu, Paolo Sorrentino, Mikhail Baryshnikov, Pedro Almodóvar, Guillaume Canet, Penelope Cruz, Monica Bellucci e Willem Dafoe.
#LeTempsEstVenu è l’hashtag divenuto virale per diffondere la lettera che ha dato voce al manifesto di Nicolas Hulot, già ministro francese dell’ecologia, dimessosi nel 2018 perchè “l’ambiente non era una priorità del governo”, che con la sua Fondazione Per La Natura E L’Uomo ha messo a punto un programma per un pianeta più pulito e libero.
Sulla medesima scia sembrano viaggiare i pensieri e le decisioni di Alessandro Michele, che la notte fra sabato 24 e domenica 25 maggio ha pubblicato su Instagram una raccolta intitolata: “Appunti Dal Silenzio”
Le nostre azioni spregiudicate hanno incendiato la casa che abitiamo.
Abbiamo terremotato la sacralità della vita, dimentichi del nostro essere specie. Alla fine, ci è mancato il respiro.
Unico italiano fra i 100 più influenti del Time, dalla sua nomina a direttore creativo di Gucci nel 2015, il designer romano ha stravolto canoni e tradizioni della marchio fiorentino nello stile e nel linguaggio, portandone i ricavi da 3.49 a 13,6 miliardi di euro, con balzi del +26,3% e +29,4% su base comparabile, e ad un risultato operativo corrente pari a 3,4 milioni (+47%), raddoppiato negli ultimi due anni.
Oggi che la devastazione ci ha trovato impreparati, dobbiamo poter riflettere su ciò che non vorremmo tornasse uguale. Perchè il rischio più grande, per il nostro domani, è quello di abdicare ad ogni reale e necessaria discontinuità.
Nel riconoscere la crisi come un banco di prova fondamentale che consegna ad ognuno di noi delle responsabilità importanti, lo stilista ha espresso la necessità urgente di cambiare molte cose del suo lavoro, ripartendo con una purificazione dell’essenziale da cui vanno eliminati il superfluo, la tirannia della velocità e della superbia, per costruire narrazioni più potenti. Da qui la decisione di abbandonare le sfilate, scegliendo invece due presentazioni l’anno, senza stagionalità, rimescolando regole e generi e definendole con il linguaggio della musica classica.
Queste voci autorevoli stanno dando corpo a nuove sinfonie che già da tempo riecheggiavano nell’aria, imponendo alla società di riconsiderare il suo sistema di valori, guardando oltre il fattore consumistico/di produttività. Questo infatti può guidare con aggressività e foga le fasi progressive di allentamento del lockdown, generando un collasso globale con una seconda ondata di contagi. La pandemia ci ha costretto a fermarci, facendo un passo indietro sulla mentalità dilagante che nega il valore della vita stessa in nome del profitto.
Ormai è chiaro a tutti e se ancora non lo fosse lo deve essere che cambiamento climatico, allevamenti intensivi, abitudini alimentari, fast fashion, virus di oggi e di domani sono parenti di primo grado e quindi invece di pensare quale colore/fantasia si adatti meglio al nostro viso nello scegliere una mascherina, dovremmo decidere responsabilmente sui mezzi che useremo per recarci a lavoro, su cosa comprare al supermercato, o in qualsiasi negozio online…
Tutto questo senza dimenticare che ci si continua ad ammalare e a morire, di questo virus democraticamente invisibile.
Mentre ieri il New York Times ha dedicato alle quasi centomila vittime della pandemia sei colonne di nomi, numeri e storie per rendere omaggio a chi non c’è più, in una prima pagina che è già entrata nella storia, mi ha colpita molto l’immagine di ottantotto paia di calzature posate davanti alla Casa Bianca a rappresentare le tante, troppe vite degli infermieri americani che se ne sono andate in queste settimane, durante la protesta organizzata dalla National Nurses United.
We ask you to imagine the nurse who would have walked in these shoes, know that these shoes stand for someone who woke up in the morning — or maybe in the afternoon or the middle of the night — who pulled on their scrubs, kissed their children or other loved ones goodbye and headed to work, knowing they were walking into danger.
Stephanie Sims, american nurse
È arrivato il tempo di agire ed usciremo a rivedere le stelle sotto un nuovo cielo.
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