All I want for Xmas is cash

22 Dicembre 2015

L’anno scorso, in un impeto degno del Grinch, avevamo discettato della perdita secca del Natale. L’espressione si deve all’economista Waldfogel che, nel 1993, pubblicò niente meno che sull’American Economic Review un articolo in cui, forte di un esperimento condotto su alcuni studenti universitari di Yale, dimostrava quello che, sotto sotto, molti di noi pensano: lo scambio di doni genera paurose inefficienze economiche.

Il ragionamento è semplice: chi fa un dono deve indovinare i gusti di chi lo riceve.

Se proprio si conosce bene il ricevente, il fortunato donatore riuscirà semplicemente a matchare le sue preferenze. Pari e patta.

Nella stragrande maggioranza dei casi, però, così non avviene: infatti, il rischio è quello di sbagliare il regalo. Waldfogel dimostrava che l’ordine di grandezza dell’errore aumenta a mano a mano che si compra qualcosa per qualcuno di lontano nella propria cerchia sociale, il che è puro buon senso.

Si tende, infatti, ad azzeccare il regalo per il proprio partner o per i familiari più stretti. Ci si avvicina ai gusti degli amici cari. Si comincia a rischiare con i colleghi che ci stanno simpatici e si sbaglia clamorosamente con i destinatari del ‘dono di circostanza’.

La magnitudo di questo terremoto del consumatore, secondo Waldfogel, si quantifica in un buon 30% del valore totale della spesa sostenuta durante le vacanze natalizie.

Soluzione?

Il ricercatore non la manda a dire e suggerisce il caro vecchio contante: dammi i soldi, insomma, che poi ci penso io.

La questione ha sollevato il giusto polverone nella comunità accademica e, ovviamente, scatenato una ridda di risposte: un articolo del 1998 di List e Shogren, sempre pubblicato sull’American Economic Review, contestava l’analisi di Waldfogel perché, in qualche modo, non quantificava il valore intrinseco del dono e della briscola sentimentale attaccata ad esso. Chi fa un regalo, il più delle volte è mosso da un valore sentimentale / emotivo che, se aggiunto alla transazione, genera di fatto un saldo netto monetario positivo.

Per non sapere né leggere né scrivere, il mercato nel tempo è andato evolvendo con il classico colpo (della mano invisibile) al cerchio e un altro colpo alla botte: i famigerati coupon regalo.

Non sono come il contante, perché fungono da surrogato dello stesso.
E non sono nemmeno un regalo fisico che porta con sè la storia della sua scelta e della fatica fatta per trovarlo.

Come che sia, l’evidenza scientifica è unanime nel riconoscere almeno un risultato: economisti anche di calibro internazionale hanno un sacco di tempo per fare analisi empiriche tutto sommato inutili.

Se ne dedicassero un po’ di più per scegliere meglio i regali ai loro cari, gli scambi di doni sarebbero senz’altro meno inefficienti.

E ora auguro a tutti i lettori de Gli Stati Generali un sereno Natale: vado a finire di fare delle stime che cercano di quantificare l’impatto del recupero della carta da regalo sulla riduzione di emissioni da CO2 e, di conseguenza, sulla salvezza del mondo.

 

TAG: consumi, domanda interna, Natale, regali, spesa
CAT: consumi, costumi sociali

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