La desiderabilità sociale non esiste più

27 Novembre 2017

Sebbene il termine di “desiderabilità sociale” sia estraneo a molti, il concetto ad essa collegata è ben presente in ciascuno di noi. Si tratta del pervasivo bisogno di venir accettato dagli altri, dal proprio gruppo di riferimento, dalla gente con cui si convive, che ci forza ad adeguarci al pensiero comune, ad esprimere con grandi difficoltà opinioni che non siano largamente condivise dal resto della popolazione, della società cui apparteniamo.

Il primo che sperimentò empiricamente questo fenomeno fu un sociologo, negli anni Trenta del secolo scorso. Richard LaPiere girò per gli Stati Uniti per tre mesi con due suoi amici cinesi, pernottando in decine e decine di alberghi e mangiando in centinaia di ristoranti, venendo accolto normalmente quasi ovunque, in un periodo dove molto alto era il pregiudizio americano contro gli asiatici. Tornato a casa, inviò in tutti i luoghi dove aveva soggiornato un breve questionario in cui si chiedeva se avessero problemi ad ospitare cittadini asiatici. La quasi totalità delle risposte che ottenne, conformemente alla desiderabilità sociale di quel tempo, fu ovviamente negativa: salvo in un paio di casi, tutti coloro che avevano ospitato i suoi amici cinesi dichiararono infatti che non l’avrebbero mai fatto.

Per decenni, il tarlo della desiderabilità sociale ha minacciato seriamente l’affidabilità dei risultati dei sondaggi. Quando Berlusconi era in auge, molti intervistati si dichiaravano berlusconiani, sebbene non lo fossero; quando era caduto in disgrazia, non si riuscivano più a trovare elettori vicini al suo partito, che fosse Forza Italia o il PdL. E così accadeva per tutti gli altri partiti, a seconda del momento specifico. O per l’alterità nei confronti dei meridionali, o degli extra-comunitari, o della difesa contro i rapinatori: semplicemente, si faceva fatica ad ammettere di essere razzisti, o xenofobi, o favorevoli a sparare ai ladri.

Ma da qualche tempo, qualcosa è cambiato. Pare sempre più facile dichiarare il proprio pensiero, per negativo o impopolare possa sembrare, senza più remore. E’ vero: Trump era stato leggermente sottostimato, dai sondaggi dell’epoca, ma era una sottostima molto ridotta, di un paio di punti percentuali, nulla di più. E così è accaduto per la Brexit, o per i partiti di estrema destra populista, in diversi paesi d’Europa.

Così, oggi non fa più paura dichiarare all’intervistatore di odiare gli extra-comunitari, o di essere un po’ fascisti, o di essere disposti ad ammazzare chi ci ruba a casa nostra nottetempo. E’ un bene o un male? Per la società non saprei ma, dal punto di vista dei sondaggisti, è sicuramente un bene, non essere costretti ad inserire domande trabocchetto per riuscire ad ottenere una risposta sincera, questo è ovvio. Ne parlavamo con Giancarlo Loquenzi, di Zapping, in occasione delle recenti elezioni siciliane. Ci si chiedeva: quale partito, quale coalizione soffre di scarsa desiderabilità sociale, tanto da venir sottostimata nei sondaggi? Non trovavamo risposta. Oggi, tutti possono dire tutto, senza il problema di sentirsi “indesiderati”. Si può fare tutto, si può pensarla come ci pare, diceva Giorgio Gaber anni fa. Una società liberata, o no?

Forse, oggi, l’unica dichiarazione che si fa fatica ad estorcere agli intervistati, è la propria vicinanza al Partito Democratico, la propria fiducia in Matteo Renzi. Il paradosso del 2017…

TAG: sondaggi politici
CAT: costumi sociali

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