Tornino i corpi

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29 Marzo 2021

 

Oggi dopo ore e ore di “smart working” (lavoro da remoto, Dad, Did, consigli di classe…) sono spezzato come se avessi corso migliaia di chilometri; eppure, ero fermo davanti allo schermo, il mio computer, a fare lezione, a parlare con miei colleghi, a fare consiglio di classe, a prendere dentro di me i sentimenti spezzati d’altra gente di cui dovrei avere cura, di cui dovremmo avere cura, ma che è, come noi, immersa in questa tempesta che sembra non finire. Cerchiamo, noi insegnanti, di comprendere questi ragazzi attraversati delle passioni tristi,  che vivono la crisi nella crisi, ma non avendo né le competenze né le conoscenze per poterli supportare in qualche modo, non facciamo altro che volerli accompagnare paternalisticamente divisi da una parte tra l’esigenza di mantenere un minimo di dignità al loro percorso educativo, e dall’altra con la volontà di aiutarli nel diluvio tumultuoso che batte sulle loro esistenze, come sulle nostre. Ore a discutere, a parlare di casi, anzi non di casi, di persone: il tale,  il talaltro, il perché è così e non più come prima, a ha questi e questi altri problemi, non studia,  non studia abbastanza, ha problemi in famiglia, vive in relativa  indigenza,  non è compreso, o anche non studia semplicemente come facevamo noi….,  e non ci rendiamo conto che stiamo attraversando tutti quanti il gorgo, siamo tutti dentro questo gorgo che non è affatto una parentesi, ma è come il ciglio di un masso che sporge verso l’abisso di un canyon.

Io, che dopo diverse ore ora mi sento prosciugato, io che ho l’ansia che mi stringe la mia gola; ho dovuto camminare, uscire ,respirare ria, ma non è bastato; ho scritto a un mio collega «senti ma noi non siamo psicologi, non possiamo risolvere il problema di questi ragazzi. E a noi chi ci pensa (questo non gliel’ho detto perché la verità è che non volevo cadere nella ricerca della commiserazione)?» d’altronde, noi dovremmo essere i maturi, gli adulti. Quelli che aiutano, che dirigono i pupilli, che fanno forza…
Tutto è così tremendamente difficile – ma no,  non a livello teorico – proprio invece come un fardello che ti pesa dentro, ti blocca, ti esaurisce, ti toglie anche il desiderio di alzarti, di correre… quando finirà tutto ciò?
Dobbiamo attraversare e accettare questo trauma massivo in cui siamo piombati, uscire dall’idea che siamo in una parentesi, pensarlo, questo tempo, invece come un passaggio di stato, (una catastrofe, nel senso etimologico di capovolgimento dei punti di riferimento), un esodo nel deserto , da cui non si vede il mare di giunchi. Ora siamo  ancora nelle steppe di Moab.
Ci vorranno anni, ne sono convinto, per elaborare questa sindrome post-traumatica da stress che stiamo vivendo, quando le menti e i cuori, inibiti nel desiderio di un abbraccio, di una carezza, di un bacio e un sorriso, troveranno forse realizzazione al loro desiderio:  un sorriso, basterebbe anche solo un profumo, quello della pelle della persona che amiamo, quello del dopobarba del papà che esce di casa, o del sudore fumoso di quando torna.
Da giorni, da settimane, da mesi mi esplode muto sulla bocca e nella mente un urlo attraverso un sospiro: tornino i corpi! basta con questo contatto asfissiante tra anime elettrificate, con questa esteriorizzazione forzata attraverso dispositivi di silicio e coltan. Omologazione di maschere teatrali che prendono polvere sulla carta: non siamo fatti per recitare dietro lo schermo, ma per stare sulla scena calpestando le tavole di legno e polverose dell’esistenza. Dacché un colloquio noi siamo… e presto torneremo ad essere un canto…

(Certe volte vorrei lamentarmi di più ma poi penso che ci sia chi sta molto peggio di me: chi ha perso un lavoro, una azienda, la sicurezza che non si mette mai in dubbio finché non ne siamo privati, come l’aria che si dà per scontata finché si può respirare)

Voglio venirti a cercare. Voglio venirmi a cercare.

TAG: ansia, assenza di corpi, coronavirus, guerra, Lavoro da remoto, lockdown
CAT: costumi sociali

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