Sesso, droga e Parma da bere: sbatti il mostro in prima pagina

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1 Settembre 2018

Nella tranquilla provincia emiliana accade che un uomo, un imprenditore quarantaseienne, molto noto in città, decida di invitare a cena una ragazza di 21 anni e che l’invito a cena si trasformi, secondo quanto denunciato proprio dalla ragazza, in un incubo notturno a base di cocaina, violenza e abusi sessuali da lui inflitti con la complicità del suo pusher di fiducia, anni 53, straniero, regolarmente residente in Italia. Il tutto avviene nel suo attico e, poco prima dell’alba, la ragazza viene caricata su un taxi e rispedita a casa ricoperta di echimosi e ferite. Nonostante i fatti risalgano al luglio scorso, la verità viene a galla soltanto oggi, anche per le – comprensibili – difficoltà della ragazza nel denunciare l’accaduto.

A denuncia fatta però Parma reagisce e si polarizza: da una parte chi si arma di – più o meno metaforico – forcone e chiede una punzione esemplare per lo stupratore, lo attacca a mezzo social, fa appello alla pena capitale, dall’altra chi – più o meno esplicitamente – lascia intuire che una ragazza di 21 anni, che decide di uscire a cena con un uomo che ha il doppio della sua età e che accetta di seguirlo nel suo attico, sia in fondo una che “un po’ se l’è cercata”. Nel mezzo i moderati, ma questi trovano poca cassa di risonanza fuori e dentro il web.

Come sempre accade invece, soprattutto in una piccola città, improvvisamente le porte si chiudono: davanti e alle spalle del presunto reo – immediatamente scaricato, sempre a mezzo social, da chi, fino al giorno prima aveva goduto dei benefici legati alla sua frequentazione ed esposto alla gogna mediatica immediata, senza alcun accenno di garantismo – e parallelamente della vittima. Perché il grande problema di chi denuncia, in un caso del genere, è la solitudine.

La solidarietà istituzionale non manca, certo, ma il contesto in cui ha sempre vissuto è “quel brodo lì”, fatto delle stesse persone e delle stesse frequentazioni che, più o meno consapevolmente, l’hanno portata a quell’appartamento.

Il mondo dell’effimero – che mai e in nessun caso dovrebbe comunque condurre a tragiche situazioni di questo tipo – si nutre di questo. Parla il linguaggio, tanto caro a una certa parmigianità, dei locali giusti, degli eventi a cui non è possibile mancare, delle serate private, dell’esclusivo e del per bene. Parla di tavoli riservati e di opportunità che bisogna saper cogliere. Quando passano e quelle che passano. Parla di famiglie normalissime che farebbero carte false per avere la figlia sulla copertina di un giornale, fosse anche quello di quartiere, di ragazze (e ragazzi) 730, quelli che – prima di ogni appuntamento, si documentano attentamente sul curriculum bancario del potenziale partner.

Quel mondo, quando qualcosa nel meccanismo si rompe, si compatta e fa scudo. Espelle gli elementi tossici, ma si conserva. E il meccanismo inceppato è solo la punta dell’iceberg di una situazione molto più complessa: la differenza fra questa tragica serata e molte altre che, probabilmente, si svolgono ogni fine settimana nelle ville e nei palazzi delle piccole e medie cittadine benestanti del paese, è stata dettata solo dall’eccesso. Hanno assunto troppa cocaina e sono andati “oltre”.

Il tema resta: se a Parma esiste un problema spaccio – da tutti riconosciuto e visibile, ogni sera, nei principali viali della città – deve esistere per forza anche un problema di abuso e questo abuso non può essere vincolato solo a soggetti “disagiati” (i cari vecchi “tossici”, quelli che ti chiedono gli spicci alla fermata dell’autobus), ma coinvolge chi, per possibilità economica, si può permettere di investire in questo genere d’ “intrattenimento” ingenti somme. Questo mondo non si ferma per l’arresto di qualche pusher o una ronda di quartiere, così come il mondo del grande sogno di successo – fama, visibilità, la bella vita – non si ferma per una ragazza “finita male”.

Perché in fondo è stato un caso, una persona singola e non il sistema no?

In fondo è un uomo con dei problemi, che ha agito in solitaria con un complice, fra l’altro anche straniero, e che subito è stato emarginato dal “giro”. Ma chi fino alla sera prima beveva tranquillamente con lui nei migliori locali della città, chi seguiva e apprezzava le sue scelte “di stile” in ambito imprenditoriale, chi lo conosceva bene e sicuramente sapeva dei suoi “vizietti”? Chi sono queste persone e che valori portano avanti nella crocifissione immediata del compagno di serate?

La folla è strana. Quando uno straniero – ad esempio marocchino – delinque, con lui sembrano delinquere tutti i suoi concittadini. “Questi marocchini dovremmo mandarli a casa tutti!”, refrain spesse volte sentito. Quando però è uno “regolare”, aggettivo con cui l’imprenditore si era presentato alla vittima, a compiere qualcosa di terribile, allora non ci si ferma a guardare negli occhi, davvero, quella che definiamo regolarità. Perché si trattava, fino a ieri, davvero di un imprenditore regolare, di un uomo di successo che sapeva godersi la vita. Per tutti. Lo stupore con cui ha ricevuto la notizia dell’arresto, quelle parole “uno come me non può finire in carcere”, dicono molto di più di un semplice commento in stato di shock. Si ritiene, ancora adesso, una persona normale. Qualcuno che ha pagato, con una cena, qualche regalo, un po’ di coca e un assaggio di “bella vita”, il prezzo per un corpo a disposizione. Lo fanno tutti, perché io no? La stessa domanda potrebbe essersela posta la vittima. In un contesto in cui il messaggio vincente passa per il successo esibito, in un mondo piccolo di città vetrina, dove se non appari non sei, perché io non dovrei cogliere un’opportunità?

I valori, direbbe qualcuno, i principi morali. Concetti piuttosto astratti quando tutto, intorno a te, sembra indicarti che la strada è un’altra. E allora diventi vittima, ma non solo di un singolo carnefice, vittima di un clima deteriorato, di un panorama sociale e culturale impoverito, vittima della tua stessa presunta libertà di scelta, che – se si basa sul successo materiale – non è mai davvero libera. Sicuramente vittima anche di quel perbenismo che, dalla piccola città al grande mare della rete, porta alla caccia al mostro, tanto quanto alla marginalizzazione della vittima, chiusa in uno stereotipo di paternalistico compatimento, senza mai interrogarsi sul “che fare?”.

Tanto domani ci sarà altro su cui far pettegolezzo in piazza all’ombra di Garibaldi.

TAG: droga, Federico Pesci, Parma, Parma da bere, Provincia bene, Spaccio, stupro, violenza
CAT: costumi sociali, Questioni di genere

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