A Taranto la guerra tra clan dura da 25 anni (ma non si parli di Sacra Corona)

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28 Febbraio 2016

Nel 2013 le cronache tarantine registrano un episodio particolarmente cruento e dal grande impatto simbolico. Alle nove del mattino d’un giorno di maggio, un noto pregiudicato, vicino alla famiglia dei Modeo ed uscito da poco dal carcere per essere trasferito agli arresti domiciliari, viene freddato con alcuni colpi di pistola alle spalle, sotto gli occhi increduli dei passanti. Come verrà poi accertato, i due giovani killer, che avevano agito a volto scoperto, senza quasi avere contezza del gesto che si apprestavano a compiere, intendevano vendicare un affronto: il pregiudicato, infatti, non tollerava che i due vendessero cozze per strada (senza alcuna autorizzazione amministrativa, beninteso) in una «sua» zona (o meglio, in quella che un tempo era stata la «sua» zona), senza avere la sua «protezione». Aveva così chiesto ai due di versargli 50 euro a settimana. Anziché pagare o ricercare un accordo, questi avevano freddato l’uomo a pistolettate.

Episodi di questo tenore conoscono una certa ricorrenza a Taranto, ma non più in altre zone del grande Salento: è quanto, nel momento attuale, ci indicano le evidenze giudiziarie. Da un lato troviamo allora il leccese e il brindisino, province consumate da un ventennio di orrore profuso dai clan della Sacra corona unita, che oggi conoscono una lenta e graduale rinascita dopo la definitiva disarticolazione della mafia di Pino Rogoli; dall’altro lato sta invece Taranto, con la sua criminalità intrisa di brutalità; ove ritroviamo, in un contesto di grande disagio sociale che si trascina da decenni, la saga dei fratelli Modeo, del clan De Vitis – D’Oronzo, del clan Scarci, delle moltissime altre famiglie che si suddividono chirurgicamente le zone di influenza.

Sicché, la vicenda narrata ci consegna alcuni elementi caratterizzanti il crimine mafioso tarantino: una cinica violenza interpersonale, un’attenzione quasi maniacale a quello che accade nella «propria» area di influenza, una rigida rispondenza a logiche mafiose. Ma sopratutto, evidenzia come oggi il fenomeno estorsivo, che vede ancora protagoniste di spicco le famiglie “storiche”, rappresenti causa ed effetto di gran parte del sangue sparso nella cittadina jonica.

Il racket è parte dello stesso imprinting genetico della criminalità tarantina. Da talune informative della squadra mobile risulta che già dalla fine degli anni Ottanta sussisteva una cointeressenza di tutti i fratelli Modeo in un complesso sistema estorsivo in danno dei mitilicoltori di Praia a Mare: ogni settimana le vittime venivano costrette a versare somme varianti dalle 100 alle 500.000 lire a una cooperativa la quale, pur avendo come ragione sociale la manutenzione degli impianti di coltura dei mitili, nascondeva un sistema di guardianìa del tutto coincidente alla «protezione» offerta nelle più tipiche modalità estorsive. E fu proprio una «violazione» dei patti associativi tra i Modeo – un’estorsione milionaria attuata da uno dei fratelli senza l’assenso degli altri, e occultati i proventi a loro insaputa – a creare una spaccatura profonda nel panorama del crimine locale: da un lato il clan De Vitis – D’Oronzo con uno dei fratelli Modeo, dall’altro i restanti tre nel frattempo alleatisi con altre famiglie della città. Scoppiò una sanguinosa guerra di mafia, conclusasi, dopo due anni di mattanza per le strade, con la morte di molti dei protagonisti di quelle vicende e la statuizione di una pax mafiosa tra i clan; che oggi comincia a sgretolarsi.

Perché gli assetti sono cambiati. La famiglia dei Modeo e la sua componente aggregativa si è di fatto estinta, lasciandosi dietro una scia d’umanità delinquenziale che non riesce più ad agglomerarsi facilmente o a trovare propri riferimenti. E se i Modeo non sono più i protagonisti del malaffare, altre famiglie si sono spartite gli spazi rimasti vuoti. Tra queste, soprattutto i De Vitis – D’Oronzo, i cui affiliati – dopo il maxi- processo Ellesponto della seconda metà degli anni Novanta, che ha comminato secoli di carcere per i fatti della ricordata guerra di mala – stanno via via tornando in libertà. Ed una conversazione captata poco tempo fa dalla magistratura inquirente appare quantomai significativa circa lo spirito di contrapposizione che ancora anima gli appartenenti alle due fazioni. Così ci si esprime riferendosi alla faida del 1989-1990, cui si accennava poc’anzi: «è successo venticinque anni fa… mo’ per venticinque anni… eh eh… mo’ fra un altro poco c’è il giubileo… hai capito?… e se no se non viene il giubileo… come si fa… troppo religiosi siamo… religiosi… noi pensiamo prima alla religione… e poi a tutto il resto». Colui che pronuncia questa frase (un affiliato al clan D’Oronzo) prospetta – quanto realisticamente, è difficile a dirsi – una nuova guerra di mala (metaforicamente intesa come un «Giubileo», che la Chiesa notoriamente celebra ogni 25 anni), per ristabilire nuovamente le gerarchie mafiose, e riaffermare il potere dello schieramento storicamente avverso ai Modeo.

Che sia stato inaugurato questo blasfemo giubileo di sangue? Se anche così non fosse, se anche l’omicidio di ieri sera abbia avuto cause diverse, a Taranto l’attenzione deve rimanere alta: pena la dissoluzione definitiva di una collettività che, piegata dal disarmo industriale, è piagata tuttora dall’asfissiante presenza mafiosa.

 

(Estratto dal volume “Il sistema delle estorsioni in Puglia”, di A. Apollonio – G. Montanaro (Rubbettino, 2015): ricerca commissionata dalla Federazione Associazioni Antiracket Italiane e gratuitamente scaricabile dal sito istituzionale della FAI)
Apollonio ha inoltre appena pubblicato “Storia della Sacra corona unita” (Rubbettino, 2016).

TAG: sacra corona unita, taranto
CAT: Criminalità

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