Crociere, se le navi fanno l’inchino alla principessa cocaina

1 Aprile 2015

«FIUMI» DI COCAINA. Il viaggio in mare della cocaina dal Sud America verso l’Italia e la cui consegna sarebbe dovuta anche arrivare nelle mani dei clan del litorale romano a sud di Roma, Ostia, si è arenato, è il caso di dire, a Roma. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Via in Selci infatti ai primi di marzo hanno condotto in carcere 20 persone tra la Capitale, Bari e Reggio Calabria. E’ da qui che gli atti delle intercettazioni relativi alla Costa Concordia, il transatlantico della Costa Crociere parzialmente affondato dopo l’accostamento all’Isola del Giglio il 13 gennaio del 2012, si sganciano da una «normale» operazione anti-droga per finire sulle testate internazionali come il «Times» e «l’Independent». I media britannici vengono attratti dal caso del naufragio più drammatico del nuovo secolo che ha investito il nostro Stivale e molti altri paesi coinvolti di cui erano originarie le 32 vittime di quell’inchino. Ne dà per prima la notizia La Repubblica, pochi importanti stralci di conversazione che però in Italia sembrano non trovare attenzione e che invece i quotidiani oltremanica riescono ad approfondire. I boss parlano anche di altre navi, la MSC Crociere e la Norwegian Cruise sulle quali all’insaputa di ufficiali e dirigenti di crociera verrebbero caricati chili di cocaina. Insomma la nuova rotta per il traffico transnazionale di stupefacenti non ha limiti e confini e di solito quando un sistema viene a galla le operazioni che ve l’hanno condotto sono in attivo già da un pezzo.

CAPITAN SCHETTINO. Per quella tragedia l’ex capitano Francesco Schettino diventato il simbolo al negativo di questa Repubblica al grido di «Vai a bordo cazzo» ha ricevuto una condanna a 16 anni. Finito il grande pasto mediatico che per mesi ha trascinato la storia tra strane serate in plancia, la relazione hard fra Schettino e l’ex ballerina e interprete Dominica Cermotan, i video amatoriali sugli ultimi minuti del colosso del mare e l’ultimo ritrovamento dei resti del cameriere indiano Russel Rebello nel novembre del 2014, restavano solo le operazioni di smantellamento del relitto e le querelle fra i vari porti eventualmente da coinvolgere per i lavori: Toscana e Lazio in primis (in un primo momento anche la proposta di un porto estero, la Turchia). Querelle risoltasi per un quarto litigante, Genova, che resta la capofila del progetto di smantellamento e le cui fasi dovrebbero terminare entro la prima metà del 2016. Un progetto da 100 milioni di euro giustifica certo il senso della querelle in seno alle regioni.

LE INTERCETTAZIONI E LA COSTA CONCORDIA. «Ti ricordi di che marca era la principessa?», chiede un boss della Ndrangheta all’altro, utilizzando un nome gergale arcinoto per parlare della coca. «La stessa nave che ci ha fatto fare la figuraccia che in tutto il mondo ci ha preso per il culo», risponde l’altro, fra telefonate e chat discutendo sulle rotte via mare che la bianca polvere percorre dai principali paesi produttori Colombia, Bolivia, Perù e Venezuela per approdare alle coste del Mediterraneo e seguire in quelle dei Caraibi e Nord Africa.  Secondo il Gico (Gruppo d’investigazione per la criminalità organizzata) e i pubblici ministeri, i riferimenti sono abbastanza chiari: i criminali che in questo caso si servono dal Nicaragua parlano della Costa Concordia che alle 21.42 del 13 gennaio 2012 comincia a incamerare acqua fino al black out completo, di cui l’ex capitano darà l’allarme solo molto tempo dopo. Un tempo prezioso che fa affondare i minuti e le ore mentre la capitaneria di porto di Livorno nonostante lo strumento a disposizione, l’AIS (Authomatic identification System) in forze alle capitanerie italiane per individuare i “fuori rotta” delle navi non si accorge di nulla.

L’INCHIESTA GIORNALISTICA. A marzo del 2012 il mensile “La Voce delle Voci” pubblica un’inchiesta in tre parti sui buchi neri della storia di quell’inchino ma soprattutto fa delle rivelazioni in base anche ad alcune testimonianze e dei raffronti che avrebbero parlato di mafia russa traffico di rifiuti e droga. L’inchiesta finisce persino in Parlamento grazie all’ex senatore Elio lannutti, durante la seduta di interrogazione parlamentare n. 704 del 3 aprile 2012, senza però ottenere risposta, almeno così confermò telefonicamente a chi scrive l’ex senatore. A tutt’oggi non vi è stato dato comunque seguito. Il nome di un avvocato delle Canarie fa per la prima volta capolino in questa storia proprio nell’inchiesta de La Voce e nell’estate del 2013 chi scrive riesce a mettersi in contatto con Jesús Bethencourt Rosillo tramite il primo giornalista corrispondente del quotidiano ABC Bernardo Sagastume che raccolse per caso quella testimonianza. Di seguito pubblichiamo per intero e per la prima volta la trascrizione della testimonianza di Bethencourt al tempo rilasciata, il quale già allora era disponibile a essere interrogato dagli inquirenti italiani e che non era ancora stato contattato da nessun giornalista italiano in merito.

LA TESTIMONIANZA. «Ho rilasciato quella dichiarazione a Sagastume di ABC per puro caso perché mi aveva contattato per un’altra vicenda legata alle Canarie. Era da poco tempo accaduta la tragedia e quindi gli ho dichiarato quanto da me vissuto a bordo della Costa Concordia nel 2010, durante un viaggio che io e mia moglie avevamo deciso di fare a seguito di un lutto. Per questo prenotammo quasi a ridosso della partenza della crociera come se stessimo andando in luna di miele. Al nostro arrivo abbiamo dovuto penare un po’ per provare che avevamo acquistato il biglietto per quel tipo di camera che ci hanno poi assegnato. La stanza tipica di lusso posta su quel lato aveva anche una terrazza dalla quale la visuale era ottima. Confermo che era evidente la solerzia con cui il personale di bordo voleva che lasciassimo la stanza, infatti anche le cabine vicine alle nostre erano vuote».

La presunta volontà di far lasciare le camere del piano in cui le sistemazioni di lusso erano situate avrebbe dovuto permettere di svolgere senza il rischio di occhi indiscreti, come vedremo, alcune presunte operazioni “particolari” relative all’accostamento della nave. L’avvocato prosegue con il racconto: «Ci offrirono una cena per i bambini che noi rifiutammo perché volevamo cenare tutti insieme. Prima di scendere aspettai mia moglie che stava facendosi la doccia (dunque il tempo di permanenza in cabina rispetto ai desiderata del personale di bordo è più lungo, nda). Mentre ero in attesa di mia moglie feci delle riprese al paesaggio con la videocamera. A un certo punto ho notato delle luci consequenziali, due tre alla volta provenienti dalle grotte (l’avvocato intende qui dei segnali appositi, nda) e una serie di piccoli motoscafi o lance che costeggiavano le grotte. Poi ho notato una di loro avvicinarsi alla nave e qualcuno salire da uno di questi motoscafi al livello della nave fino a una porticina poco sopra il livello del mare».

A un tratto, riferisce Bethencourt, si sentono suonare le sirene: «Mi accorsi in quel momento che stavamo viaggiando molto vicini alla costa dell’Isola del Giglio (la famiglia era salita dal porto di Barcellona, nda), sembrava quasi di poter toccare le rocce con le mani!» A questo punto delle motovedette della polizia bloccano l’accostamento e avvisano i passeggeri che si doveva far ritorno a Palermo, una delle tappe previste dalla crociera con partenza da Civitavecchia e arrivo a Palermo, passando per Barcellona e Palma de Majorca. «Ho visto bene quei movimenti prima e dopo l’arrivo della polizia e l’evidente carico sebbene nascosto che trasportava la lancia allontanandosi dalla Costa Concordia; le altre lance presenti sul lato delle grotte erano in attesa che questa col carico tornasse». L’avvocato spagnolo è riuscito a conservare solo alcuni minuti del video girato perché, racconta: «nell’uscire dalla stanza per andare a cena, mentre aspettavamo l’ascensore, un cameriere e un uomo addetto alla sicurezza mi hanno chiesto – il cameriere traduceva – se avessi fatto delle riprese. Io in quel momento risposi di no perché sapevo che era espressamente vietato effettuare delle riprese sulla nave. Mi offrii di fargliela vedere, lui disse di no ma quando tornammo poi nella stanza mia moglie si accorse che era stata come perquisita, trovammo alcune cose sparse e spostate, poca cosa ma abbastanza evidente. Mi accorsi che dal video mancavano alcune riprese in successione».

Il video si può visionare dall’articolo pubblicato dal giornalista delle Canarie, Sagastume

 

A cena poi parlandone con altri ospiti spagnoli Bethencourt riferì chiaramente di una manovra di accostamento fatta per un motivo specifico. Anche quella volta al comando c’era Francesco Schettino «che tutto sembrava meno che un comandante, poco autorevole». Bethencourt riferisce anche di una situazione di trascuratezza al momento di salpare da Barcellona: la presenza di minori lavoratori, gente che fumava all’interno. Di presenza di minori riferisce un altro testimone (è nelle carte del processo) in merito a un altro viaggio da lui fatto sulla Costa Concordia. Elemento questo che uscì sui giornali e a cui la società rispose negando che vi fossero dei minori lavoratori a bordo (e dunque non registrati). Non ci fu alcuna indagine in tal senso, bastò la parola dell’azienda, e quindi non si può affermare che vi fossero.

Tuttavia si può e deve segnalare che questa sarebbe la seconda testimonianza al riguardo. Il testimone aggiunge: «Io vivendo alle Canarie seppure non sia un marittimo, conosco le normali distanze di sicurezza che devono intercorrere fra le navi e la terra e aggiungo che la frequente manovra dei saluti consiste solo nel suonare passando davanti alla costa non nell’accostamento». Sui dettagli tecnici riferiti all’esatto tipo di manovra ha scritto un giornalista Rai nel libro «Il capitano e la Concordia. Inchiesta sul naufragio all’Isola del Giglio» (di Alessandro Gaeta, Edizioni «A Nordest»), qui dunque non si vuole dare credito pieno alle valutazioni tecniche di Bethencourt già ampiamente dibattute durante il processo, solo riversare l’intera sua testimonianza come viaggiatore assiduo di crociere, sicuramente attento osservatore, e residente delle Canarie dove traffici e accostamenti secondo ciò che lui riferisce sono quotidiani. Bethencourt poi conclude la conversazione: «Di una manovra del genere tutta la dirigenza del personale ne è a conoscenza, anche il capitano».

OLTRE L’OPERAZIONE BATE. Il viaggio «liquido» in questione della polvere bianca aveva, secondo le indagini dei carabinieri coadiuvati dai militari dei comandi dell’Arma territoriali (e avvenute dal dicembre del 2011 all’agosto 2013) una prima base presso una ditta di lavorazione di pietra per uso edilizio con sede ad Albano Laziale e Lanuvio, l’hinterland romano fuori dal ciclone di Mafia Capitale. I carichi di cocaina venivano occultati in container a loro volta carichi di pietra del Nicaragua con cui la ditta eseguiva i lavori edilizi e veniva consegnata alle organizzazioni criminali. Il sistema descritto dall’attento turista spagnolo che coinvolgerebbe la Costa Concordia eviterebbe certo i controlli tipici che avvengono nei porti sui container recentemente presi di mira dalle unità investigative. E’ dunque un sistema diverso da quello utilizzato nell’operazione «Bate» emerso solo perché dal «sen fuggito» ai boss su altri traffici.

TAG: cocaina, costa concordia, ndrangheta
CAT: Criminalità

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