Sweetie, la finta bambina che incastra centinaia di veri pedofili

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2 Novembre 2014

La stanza è immersa nella penombra. Lo schermo sfarfalla immagini in movimento. Scott Robert Hansen, 38 anni, batte veloce sulla tastiera del suo portatile. Davanti a lui, riga per riga, si compongono le parole di un frasario che non conosce barriere linguistiche, frontiere geografiche o divisioni di censo:   “hi u really 9yo” (hai davvero 9 anni?).

Scott Robert Hansen questo linguaggio lo conosce bene. E’ un assiduo frequentatore delle web chat di tutto il mondo, quelle a cui arrivi attraverso una semplice ricerca per parole chiave su Google come “free public chat rooms” o, se ti chiami Scott Robert Hansen, più specificamente,  “kids chat rooms”.

Dall’altra parte dello schermo, come tante altre volte, una bambina di 9 anni. Almeno così recita il suo profilo: “9 f philppines” (9, femmina, filippina).  Non è di molte parole. Alla sua domanda riesce a malapena a rispondere “sì” che Scott ritorna alla carica: “ti va chattare o mostrarti in camera con uno più grande di te?”. Nessuna risposta. E allora Scott torna alla carica:  “mi piacciono le pollastrelle asiatiche sai?… sei qui per un po’ di azione?’ Niente. La bimba è di poche parole. Ma Scott non si lascia certo raffreddare. E’ già partito per il suo viaggio. “sai che sono nudo? L’hai mai visto uno nudo?”. La bimba questa volta risponde: “beh sì, qualche volta”.

Per Scott, come per altri 750.000 predatori sessuali che secondo l’FBI sono connessi online in ogni momento, a questo punto non si tratta più di capire se, ma soltanto di stabilire il cosa, ossia la prestazione, è il quanto, il prezzo. Il tempo di norma sarà nient’altro che una variabile dipendente dal costo, pagato attraverso una prepagata Western Union, e dal desiderio.

Tutto qua. Facile. Sicuro. Senza rischi. Senza danni. Ieri, come oggi, come domani. Perché una web chat non lascia grosse tracce: non scarichi né foto né video sul tuo hard disc, stai sereno. Perché cogliere durante l’esecuzione di un reato un cyber pedofilo è dura: non è che puoi metterci una bambina infiltrata di 9 anni vera a masturbarsi, o a fare sesso con il suo fratellino o con i suoi genitori giusto per pescare un pedofilo. Perché il fatto di essere dall’altra parte del computer rende tutto dannatamente virtuale, una specie di videogioco erotico, incuranti che dall’altra parte ci siano bambini in carne e ossa spesso schiavizzati che si porteranno per sempre addosso i segni di un’infanzia di sfruttamento. Perché il pagamento elettronico non ha odore, consistenza o causale. E’ solo lo scambio di bit da una parte all’altra del mondo.

Peccato per Scott, 38 anni, residente a Brisbane in Australia, già registrato come “sex offender” nei registri di Pubblica Sicurezza australiani, che questa volta dall’altra parte non ci sia una bambina in carne e ossa. Dall’altra parte questa volta c’è Sweetie, un nome evocativo, sotto le cui spoglie si cela un operatore di Terre des Hommes pronto, nel caso fosse necessario, a prendere le sembianze in 3D Motion Picture di una bambina dallo sguardo innocente.

Come lui, nella rete di un’operazione che è durata 2 mesi e mezzo, 1600 ore lavoro, sono finite oltre 20.000 persone, più di 12 all’ora provenienti da 71 paesi diversi, assidui frequentatori di 19 chat pubbliche. Di 1000 di loro, grazie alle informazioni fornite spontaneamente durante le chat e senza violare in alcun modo la privacy dei predatori o la sicurezza dei pc, è stato addirittura possibile ricostruire l’identità: 1 sola era una donna; 22 gli italiani. I dati dei predatori, come ovvio, sono stati consegnati all’Interpol e cancellati dagli hard disc dell’organizzazione che si batte per i diritti dei bambini.

Scott Robert Hansen è stato il primo condannato, esattamente un anno dopo la chiusura dell’operazione. Durante la chat l’australiano aveva inviato materiale pedopornografico, poi ritrovato sul suo computer, oltre a richiedere prestazioni sessuali e a masturbarsi davanti alla sedicente bambina. Per il giudice il fatto che dall’altra parte non ci fosse altro che un avatar è stato ininfluente: la convinzione di trovarsi dall’altra parte un minore e aver proseguito nella realizzazione del reato deve essere considerato sufficiente, a maggior ragione in presenza di una reiterazione del reato e di un dimostrato interesse “continuativo” nei confronti del sesso con  bambini.

Cosa ne sarà invece per gli altri 999 profili “beccati” nella rete da Sweetie? Per quello che se ne sa, l’Interpol ha passato i dati alle autorità nazionali. Dentro c’è di tutto. Tranquilli papà. Funzionari governativi. Impiegati di banca. Medici. Persone normalissime, ne più ne meno come le migliaia di pedofili che oggi si scambiano dati o scaricano file dai quasi  600.000 siti internet identificati dal National Center on Missing and Exploited Children. Per molti di loro le indagini saranno ancora lunghe e serviranno, come giusto, verifiche. Molti casi si fermeranno di fronte a una prassi giudiziaria che tende a non considerare le prove raccolte in indagini sotto copertura (anche se insostituibili nei casi di Turismo Sessuale via Web Cam come quello indagati da Sweetie). Per qualcuno si apriranno le porte del carcere. La speranza, per migliaia di bambini costretti a vendersi davanti a una webcam, spesso schiavizzati in fabbriche del sesso nei paesi più poveri del mondo, è che Sweetie funzioni sopratutto da deterrente: da oggi in poi per i predatori non ci saranno più tranquille e sicure serate casalinghe in cerca di nuove vittime.

Ps.: Terre des Hommes oltre alle informazioni sui pedofili ha messo a disposizione gratuita di tutte le polizie mondiali la tecnologia per la creazione di avatar virtuali e corsi di formazione sull’utilizzo di tecniche investigative proattive attraverso l’uso della tecnologia

TAG: Pedofilia online, Sweetie, Terre des Hommes
CAT: Criminalità

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