Giulia e il rasoio di Occam

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22 Novembre 2023

Gli ultimi eventi che hanno riempito le pagine dei giornali italiani e ogni minuto delle trasmissioni televisive italiane, ossia l’omicidio di Giulia Cecchettin, la fuga dell’omicida e il suo arresto, hanno messo alla sbarra la cultura patriarcale che sarebbe, secondo molti, la causa di quest’ultimo evento funesto.

La povera vittima, usata e strumentalizzata da tutti, è stata vivisezionata nella sua vita privata perché tutto il mondo si rendesse conto della mostruosità del delitto. Intervengono tutti, la sorella in primo luogo, i genitori di entrambi i giovani, vittima e carnefice, consiglieri regionali veneti alquanto fantasiosi che vedono satanismi in ordine sparso, attori, attrici, giornalisti, politici e tutte le figure che abbiano un’opinione in merito ossia opinionisti di professione o improvvisati.

La colpa è della cultura patriarcale, viene detto da tutti, in particolare dalle donne che, soprattutto, si sentono violate e in pericolo.

Che in Italia ci sia una cultura patriarcale superstite è vero, soprattutto nella provincia. Non in tutto il territorio nazionale, però, perché ci sono inaspettatamente province più aperte mentalmente di altre (che non stanno necessariamente al Nord, erroneamente considerato più evoluto) e dove più che il patriarcato chi regge le redini del potere è piuttosto un matriarcato. Ovviamente non c’è un territorio dove tutto è bianco o tutto è nero, la realtà è sempre leopardata, sacche di resistenza culturale esistono anche nei luoghi più sviluppati o quelli che sono percepiti come tali. Ma lo vedremo più avanti.

Come sempre succede, l’evento che sconvolge tutti, perché inatteso, riaccende le luci sulla ribalta ed evidenzia un atto asseverato come di sicura derivazione patriarcale.

La classificazione è, diciamolo fuori dai denti, assai comoda perché così si danno sicurezze alla maggior parte delle persone che, in questo modo, hanno un facile capro espiatorio su cui sfogarsi. Succede sempre: è più semplice una lettura superficiale con un colpevole che si possa individuare senza troppe difficoltà e su cui è sempre stato puntato il dito. Rassicura il resto del mondo sconvolto da tanta ferocia gratuita. Le descrizioni del delitto fatte attraverso i media sono raccapriccianti, va da sé, anche perché, al di là della realtà già orribile, devono far risaltare il mostro che si celava in quel ragazzo, quel bravo ragazzo, secondo molti, che nascondeva il suo Mr. Hyde così bene.

Io non credo però che la colpa sia da ricercare in una cultura patriarcale tout court, senza prima aver analizzato il caso a fondo e, soprattutto, aver ascoltato tutti. Saggiamente, come sempre, anche Crepet, interpellato il giorno dopo il fattaccio, disse che non poteva esprimere un’opinione senza conoscere a fondo i fatti.

La reazione di Elena, sorella della vittima, che, il giorno dopo l’apprendimento della morte violenta della sorella minore, si lascia andare a interviste una dopo l’altra, collo sguardo perso nel vuoto, accusando la cultura maschilista e soprattutto il genere maschile nella sua interezza di essere colpevole senza se e senza ma, è abbastanza imbarazzante ma comprensibile per lo sconvolgimento che la perdita di una sorella, apparentemente molto amata, può provocare. Lo straniamento che lei mostra è sicuramente perturbante. Alcuni hanno detto che sembra un copione recitato e, in effetti, se si ascoltano attentamente le sue interviste, la freddezza della giovane donna può dare questa impressione. Secondo me più che recitato è un modo della sorella per difendersi dalla realtà, forse inconsapevolmente, forse istintivamente, come se fosse successo a un’altra persona e non a lei. Lei ha bisogno di colpevolizzare qualcuno per spiegare l’orribile fine di Giulia. E più è grande il colpevole, in questo caso l’intero genere maschile, più sarà grande la liberazione dall’angoscia per la tragica perdita della sorellina. Ognuno si difende come può, lei probabilmente si difende così. Da considerare peraltro, cosa non da poco, lo stato in cui si trova la famiglia e quindi anche Elena, con notti e giornate insonni riempite di pensieri funesti. È chiaro che una che non ha dormito ed è sconvolta può avere lo sguardo perso e magari dire delle cose in una determinata maniera che appare strana. Ma nessuno, ti giuro, nessuno vuol vedere le cose da lei dette sotto questa luce un po’ più realistica.

Il peso delle sue parole, naturalmente, come succede sempre, viene strumentalizzato dai media, dai gruppi di persone che per vocazione o ideologia si nutrono di questi casi di cronaca nera, oltrepassando il lecito orrore che possono scatenare quegli atti stessi ed ergendosi a interpreti della realtà, creando, a loro volta, castelli di congetture che, condivisi e propagati sulla scia dell’emotività del momento, riescono a diventare delle verità assolute.

Mentre verità assolute non sono, va da sé.

Questi delitti orrendi sono delle eccezioni nella nostra società. La nostra società è stata parecchio patriarcale, in passato, per motivi culturali vari, ma oggi lo è assai meno, e, per fortuna, abbiamo delle leggi, conquiste di lotte lunghe e travagliate nel corso degli anni, che tutelano le donne, a volte giustamente, altre volte anche troppo e a loro danno. Dipende da chi quelle leggi le applica. Ci sono dei casi di affidamento dei figli, per esempio, in cui questi ultimi sono affidati ai padri perché le madri sono assolutamente inattendibili e svogliate nei confronti dei figli. Non è vero che la donna è sempre vittima dell’uomo; a volte, e non così raramente, è il contrario. Ma, nell’immaginario collettivo, la colpa dev’essere sempre dell’uomo perché naturalmente prevaricatore, schiavo-padrone di questa cultura patriarcale.

Nella lettura della realtà che segue eventi così molesti, come una ragazza uccisa barbaramente dall’ex-fidanzato, vince la colpevolezza di siffatta cultura che, forse, nel caso di Filippo Turetta, proprio non c’è stata.

Nessuno ha speso una parola sul fatto che l’azione omicida dell’ex-fidanzato possa essere stata semplicemente una decisione individuale e basta, non dovuta a particolari concezioni patriarcali della vita ma solo a uno squilibrio interiore, sicuramente un irrisolto patologico. In quel momento di smarrimento lui non è stato più capace di distinguere le cose da fare e quelle da non fare e ha scelto le seconde, in un crescendo di aggressività che non è riuscito a fermare, acciecato da qualcosa che gli faceva una paura matta. Magari era uno schizofrenico e nessuno lo sapeva.

Proprio per questo la sua irrisoluzione non è necessariamente frutto di una cultura patriarcale. La generalizzazione di un caso, quando magari ancora non si è delineato un profilo ben preciso, porta a farneticare sulle cause, perché si vuol dare una spiegazione a un evento tragico per trovare un’ancora di salvezza alle menti spettatrici, sconvolte da tale efferatezza, e quindi si adotta la soluzione più facile. Viene chiamato Rasoio di Occam.

Così si estremizza sempre tutto, mentre sarebbe necessaria cautela e, soprattutto, rispetto per chi soffre in silenzio per la perdita di una figlia, una sorella, una nipote, una cugina, un’amica, una compagna di scuola a cui era profondamente affezionato. E chi soffre anche per la sorte di un figlio che credeva completamente diverso.

Tutto diventa spettacolo, un circo sanguinolento da dare alla gente affamata di orrore, prontissima a scagliare pietre contro i colpevoli, e, ancora di più, a trovare un colpevole ben più corposo ma quanto mai generico in una cultura patriarcale non meglio identificata.

Osservando il nostro paese colla lente d’ingrandimento, oggi, non cinquant’anni fa, la situazione di una patriarcalità così diffusa mi sfugge. Da quel che vedo, girandomi intorno, mi pare che la donna sia molto presente nella vita lavorativa e sociale del Paese, come avviene in Francia, in Spagna, in Germania e che sia anche rispettata. Se si va in un ufficio postale o qualsiasi altro la maggior parte degli impiegati sono donne, per esempio. Buona parte del corpo insegnante è formato da donne. Se vado in ospedale o a fare degli accertamenti medici o delle visite, nella maggior parte dei casi ho avuto a che fare con dottoresse e infermiere anziché dottori di sesso maschile.

E, se proprio devo dirla tutta, una mia esperienza, anni fa, con uno staff di dottori dell’Università di Pisa, al Cisanello, per un triplice colloquio per una chirurgia bariatrica che ho rifiutato, ha messo in evidenza come le due dottoresse con cui ho avuto a che fare, una psicologa e una dietista, fossero ugualmente squinternate come pure l’endocrinologo, maschio, che mi hanno visitato e che hanno delineato un quadro della situazione assolutamente falsato dalla loro necessità di fare più operazioni possibili in un anno in modo da ricevere sponsorizzazioni e una pagella piena di elogi per l’operato. Meno male che non ho consentito di mettermi addosso i loro ferri. Non si è migliori se donne o uomini unicamente per il genere di appartenenza.

Questo, detto tra parentesi.

Il messaggio che passa, oggi, non è quello di una giusta parità tra uomo e donna in tutto, ma quello che la donna è sempre vittima dell’uomo in quanto uomo. E questo, se poteva essere vero in anni più bui della nostra storia, almeno nei paesi occidentali, oggi, non è più così. Oggi la donna, in Europa, fa ciò che vuole, studia, vive da sola senza più essere stigmatizzata come troia o zitella, lavora, è autonoma. Continua ad essere vittima, purtroppo, in altri luoghi, dove effettivamente una cultura arcaica considera le donne animali da riproduzione e basta, come succede ancora in molti paesi islamici, soprattutto. Basti pensare solo all’Iran, al Pakistan e all’Arabia Saudita. Abbiamo visto quanto valga la vita delle ragazze pakistane per i propri genitori e fratelli: un rifiuto alla volontà del maschio e sono spacciate.

In Italia il berlusconismo, come spiegavo in altri articoli precedenti, ha certamente interrotto il percorso di pacificazione dei ruoli maschili e femminili, in quanto ha riportato indietro le lancette dell’orologio, magnificando una visione utilitaristica della donna, falsamente corteggiata ma alla fine totalmente usata e mortificata. Gli ultimi fantasmi del berlusconismo li abbiamo visti poco fa nel comportamento del presidente del Senato il quale, anziché lasciar fare alla polizia il suo mestiere, interroga e assolve il figlio indagato per stupro: mio figlio è un bravo ragazzo, non può averlo commesso. Patriarca completo, centodieci e lode.

Però il berlusconismo interessa solo una fascia della popolazione e sicuramente non ha influito più di tanto all’affermazione della donna nella vita di ogni giorno, posizione che continua a evolversi e che porta sempre più donne ad affermarsi. Il fatto che attualmente abbiamo una presidente del Consiglio, anche se lei vuole essere chiamata IL presidente, e una donna a capo dell’opposizione, entrambe agguerrite, la dice lunga. Personalità opposte, certamente, ma intanto ci sono.

Non dimentichiamo mai, però, che Meloni, da donna e da parlamentare, all’epoca votò a favore del patriarca assoluto nella questione Ruby Rubacuori, nome d’arte della minorenne marocchina in auge in quegli anni nelle scuderie silviesche: Ruby doveva essere senz’ombra di dubbio la nipote di Mubarak, anche se i due non hanno niente in comune, forse nemmeno la trisnonna della trisnonna. La dice lunga sulla solidarietà tra donne da parte del Presidente del Consiglio Meloni. Molti hanno dimenticato tutto ciò, io no.

Conduttrici televisive molto determinate, comunque, permeano l’opinione pubblica colle loro idee, come, per esempio, Lilli Gruber, Milena Gabanelli, Bianca Berlinguer, Federica Sciarelli, Serena Dandini, Marianna Aprile, Tiziana Panella, e hanno un notevole seguito. Molte altre si occupano di cose che sono ritenute più “adatte” a donne, come trasmissioni di cucina o altro. E, se facciamo i conti, la quota delle conduttrici è equivalente a quella dei conduttori. Oggi le donne hanno effettivamente raggiunto una sorta di parità, lo possiamo costatare.

Le ingiustizie, peraltro, sono ripartite ugualmente tra uomini e donne, i licenziamenti, per esempio. Basti vedere quanti uomini hanno perso il lavoro e sono stati trattati come schiavi, non è che se sei donna e perdi il lavoro è perché sei di genere femminile e basta. Spesso a licenziare non sono nemmeno uomini ma donne al comando.

La vittimizzazione, sempre e comunque, della donna rischia di diventare il lato sgradevole della vicenda. Nessuno di sesso maschile può più far notare a una donna che sbaglia, per esempio, anche quando la donna sbaglia clamorosamente, perché passa per sessista. Rebecca Solnit, femminista d’assalto americana, ne ha fatto una bandiera, dicendo che gli uomini si sentivano in dovere di spiegarle ogni cosa solo perché era una donna e non poteva capire. Forse nel suo caso. Ma, a volte, questo può essere necessario perché la persona incaricata di un lavoro, che sia uomo o donna poco importa, lo fa male perché non ha capito come si fa. O, apriti cielo, anche perché non è detto che sia necessariamente intelligente, sia colui o colei di genere femminile o maschile. Ma se sei un uomo e fai notare l’errore alla donna che sbaglia, automaticamente diventi sessista, anche se hai ragione. Questo è un atteggiamento erroneo che provoca solamente dei disastri, in quanto si mette la polvere sotto il tappeto e non si risolve il problema.

Finché si procederà con pregiudizi facili anziché analizzare i singoli casi e rendersi conto di com’è andata e va non si farà altro che alimentare il pregiudizio stesso e a incrementare la polvere sotto il tappeto.

Occorre una lucidità maggiore per trattare casi di omicidio come quello da cui siamo partiti e anche altri, più in generale. Ciò non toglie, naturalmente, che l’omicidio di questa poveretta sia un atto tremendo. Ed è sicuramente un atto di volontà. Bisognerà capire meglio cosa c’è dietro quest’atto di volontà, quali sono state realmente le motivazioni di un possesso tanto sentito da arrivare all’eliminazione dell’oggetto (pseudo)amato.

Cavalleria rusticana e Pagliacci, che spesso si danno a teatro nella stessa serata, offrono due fantastici esempi di omicidio per il possesso della donna. In Cavalleria però sono gli uomini a sfidarsi e a duellare, la donna resta fuori, anche se è comunque considerata una sgualdrina. Non solo: è la donna gelosa e rifiutata che dice al marito dell’altra che è insidiata dal suo ex. E questo capita pure nella realtà. Nei Pagliacci, invece, Nedda, sognatrice di un futuro migliore, individuato nel bel Silvio, viene uccisa in scena dall’amante Canio, che uccide pure Silvio e si consegna alla giustizia. Ma vendetta è compiuta. Un po’ come El preso numero nueve, di cui scrivevo ieri. Per non parlare della Carmen, dove l’omicidio finale di lei tra poco scatenerà i cancellatori culturali a bruciare la partitura originale e tutte le copie esistenti e a far saltare in aria i teatri che la rappresenteranno e i cantanti che la proporranno nei loro concerti.

Qui, nei delitti moderni, la componente sembra essere più simile a quella dei Pagliacci, ossia la paura della solitudine di chi viene lasciato, l’incapacità di gestirla. Uguale a quella di oltre un secolo fa. Solo che i Pagliacci sono un dramma verista, a forti tinte, com’erano tutti quelli che descrivevano i “vinti”. Questi moderni sono rampolli o persone ricche, senza problemi economici, forti consumatori, possibilmente. E la solitudine, condizione in cui i giovani non possono sopravvivere, è l’inadeguatezza in cui probabilmente sono cresciuti. Non credo che Filippo, l’assassino di Giulia, sia adesso meno solo, anzi, al contrario. E, se e quando verrà condannato, sicuramente all’ergastolo, la sua solitudine aumenterà, probabilmente fino a farlo impazzire del tutto. L’incapacità di padroneggiare la propria solitudine non si è risolta eliminando l’oggetto al centro della vicenda, ossia la sua ex.

Io credo che non sia un problema di patriarcato o altro, ma un problema esistenziale totalizzante di Filippo, un immaturo incapace di gestire sé stesso e la propria vita, e suppongo che questa scelta di far fuori la poveretta venga unicamente dalla paura della solitudine, di essere lasciato, a dispetto che lui l’amasse (a modo suo) o no, e non da una cultura patriarcale. Non conosco i genitori di lui ma non mi è sembrato, dalle poche immagini passate in tv e dalle interviste rilasciate ai quotidiani, che fossero dei maschilisti incalliti.

La mia indignazione per tutto viene dall’uso mediatico che si è fatto di questa tragedia familiare, facendola diventare una trama da telenovela anziché rispettare il dolore delle persone che volevano bene alla vittima innocente, accomunandola al massacro del Circeo, dove Izzo, Ghira e Guido, tre neofascisti “di buona famiglia” uccisero Rosaria Lopez e credettero di uccidere anche Donatella Colasanti che invece per fortuna sopravvisse e li denunciò. Sono situazioni e motivazioni completamente diverse. Filippo Turetta era l’ex di Giulia, non una conoscenza di un bar ritrovo di neofascisti aggressivi e assassini. Ma molti hanno voluto accomunare i due casi, come se tutto si risolvesse col patriarcato e la sua subcultura.

In quel caso sì, certamente l’ambiente neofascista era inzuppato di patriarcato e di possesso della donna come di un oggetto da usare e gettare. Nel caso di Filippo assolutamente no, il contrario, lui la voleva tutta per sé, per continuare probabilmente un rapporto, certamente malato, ma di esclusività, che non lo facesse sentire più solo. Invece, sembra non avere retto la separazione voluta da lei perché evidentemente era troppo possessivo o aveva manifestato altri segni di squilibrio. E lei non è riuscita a comprendere in tempo il profondo disagio di lui e ad allontanarsi, forse perché troppo giovane per capirlo, forse perché si sentiva in colpa di qualcosa che non conosciamo.

Sicuramente nei prossimi giorni sortiranno elementi nuovi da questa tristissima vicenda, ma non sarà sicuramente la cultura patriarcale, almeno in questo caso.

Vorrei spronare le persone a riflettere e a non considerare ogni cosa che dice la corrente delle opinioni come quella giusta, l’unica possibile. Tutto è complessità, per favore. Il Rasoio di Occam utilizziamolo per altre cose, come per esempio le claudicanti leggi presentate da questo governo. Anzi, più che il rasoio di Occam, lì bisognerebbe utilizzare lo spadone di Alessandro Magno (così viene tramandato) che risolse con un bel colpo la faccenda del nodo gordiano.

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CAT: Criminalità, Questioni di genere

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