Il mostro di Firenze 30 anni dopo, senza un nome e con la scienza contro

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4 Agosto 2015

30 anni fa (ho preferito scriverlo in numeri per dare meglio l’idea), con il delitto degli Scopeti in cui persero la vita Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, si concludeva la tragica escalation di orribili omicidi con cui l’allora “Mostro di Firenze” terrorizzò un intero paese.

In quegli anni la teoria dei “compagni di merende”, nome allegorico con cui ancora oggi conosciamo senza precisione gli autori di quelle uccisioni, era ancora tutta da scoprire (fu grazie alla prima deposizione del postino Mario Vanni che si arrivò a quel termine buffo e inatteso), ma soprattutto era ancora da comprendere nella sua gravità e negli echi che ebbe a riscuotere negli anni successivi, ad un livello mediatico e giornalistico. L’apparire in aula di quei personaggi burberi e inverosimili, un carrozzone di faccette quasi comiche che passavano dalla prostituta di paese, al guardone, al postino, al farmacista, al “matto” che alla fine decise – ed è detto senza sarcasmo – le sorti di un processo non hanno avuto eguali nella storia della cronaca moderna italiana. Non che i delitti insoluti e risolti cui gli italiani si sarebbero appassionati sono cessati dagli anni ’80, ma quello del mostro di Firenze, considerando anche i suoi limiti temporali è un casus mediatico che dura da quasi 50 anni (47 per la precisione, con il primo delitto di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci a Signa).

Cosa è cambiato nell’aspettativa della gente in tutti questi anni? O meglio come verrebbe interpretato sociologicamente e giornalisticamente oggi un caso del genere? Basterebbe riportare tutto in differita di 30 anni, con più accurati metodi scientifici, una nuova tecnica indagatoria e soprattutto con una maggior consapevolezza da parte degli inquirenti, di poter davvero svolgere indagini a 360 gradi. O forse persino un assassino, oggi, sarebbe già indagato da sé, anche senza saperlo.
“Lust murder” (assassino sessuale) era stato già identificato il Mostro di Firenze come “tipo” di omicida da parte dell’FBI, che era stata chiamata temporaneamente in causa dal dott. Ruggero Perugini che indagò sul caso a partire dal 1983. Fu probabilmente la più innovativa perizia utilizzata nelle indagini. Anche perché la prova del Dna non c’era e così nemmeno altre perizie scientifiche, ma soprattutto regnava quello che scientificamente definiremo “casino” (tutto italiano) delle indagini che prevedeva veri e propri party dell’orrore su scene del crimine in cui anche solo un capello poteva essere utile per scagionare o  additare un possibile colpevole.

Sopralluogo al delitto di Pia Rontini e Claudio Stefanacci, da notare quanta gente calpestava la scena del crimine

Sopralluogo al delitto di Pia Rontini e Claudio Stefanacci, da notare quanta gente calpestava la scena del crimine

Un brandello del seno della ragazza uccisa nel 1985 viene spedito alla Procura della Repubblica di Firenze. Ad aprire la busta fu il Pm incaricato del caso, la dottoressa Silvia della Monica. Fu una macabra scoperta in un caso dalle tinte purpuree: una missiva con un feticcio, un intera Squadra Anti Mostro che brancola nel buio, le indagini che appaiono essere completamente allo sbando, senza l’ombra di un’ipotesi, di un movente, dell’arma dei delitti, in mano a teorie deliranti su possibili piste esoteriche, sarde, dettate spesso dagli stessi organi di stampa che individuano legami tra gli omicidi, media di cui sia mostri che inquirenti si servono per parlare alla gente.

Ruggero Perugini parla direttamente (tramite la televisione) al mostro chiedendogli di consegnarsi alla SAM, il mostro invia feticci a chi indaga su di lui, ma non solo, “dirige” anche, inizialmente, le indagini suggerendo agli inquirenti di andare a rivedere le carte di un processo chiuso a Perugia e indagare su gli ambienti sardi che gravitavano attorno a Stefano Mele (colpevole per l’omicidio Locci e Lo Bianco).

Oggi sarebbe possibile tutto questo?

Verrebbe da rispondere no, ma ovviamente è tutto da vedere, scongiurando che una così grave escalation di omicidi si ripeta. La scienza, le indagini sui più insignificanti reperti, le perizie psichiatriche su tutti i testimoni, ma soprattutto il controllo che abbiamo su strade, profili, supporti telematici darebbero del filo da torcere a gente come Pacciani, Vanni, Lotti, che a malapena sapevano usare il telefono, ma che erano attenti a non essere spiati, tanto che lo stesso Pacciani si accorse una volta di avere in casa una cimice e la distrusse.

Osservando parte del processo documentato su You Tube grazie ad utenti diventati veri e propri “mostrologi” (che si ritrovano molto facilmente in Rete, su Facebook e altri canali), si ha davanti agli occhi una specie di commedia dell’orrore che va in scena ad ogni seduta, dalle prostitute ai contadini, dal figlio della donna uccisa nel primo omicidio a guardoni delle coppiette, dalle figlie dello stesso Pacciani (violentate a 11 anni e a cui veniva dato cibo per cani) ad oscuri amici del bar, una specie di “bestiario” medievale che rappresentava ignominiosamente quelle “dolci colline di sangue” come le definì Mario Spezi (giornalista de La Nazione che fu accusato di depistaggio nelle indagini), che ancora non smettono di far parlare di sé.

Le indagini processuali si sono fermate al 1998, quando Pietro Pacciani morì, per tutti oggi è lui il mostro di Firenze, o almeno l’ultimo in ordine di tempo, aiutato da qualche compagno di merenda che sparava e da qualcuno che faceva il palo, mentre lui con le sue mani da agricoltore semi analfabeta uccideva e operava in maniera quasi chirurgica, al buio.  Come morì è un caso irrisolto – anche questo -, fu trovato “con i pantaloni abbassati e il maglione tirato in alto fino al collo” (dice Wikipedia). Un esame tossicologico rivela nel suo sangue tracce di Eolus, un farmaco antiasmatico fortemente controindicato per lui (che non soffriva di asma ed era invece affetto da una malattia cardiaca). In più, Pacciani era terrorizzato dall’idea che qualcuno potesse ucciderlo, viveva praticamente barricato nel suo casolare, ma la sera in cui morì tutte le finestre e le porte della casa erano aperte. Perché?

Inoltre, ormai tutti gli accusati dei delitti sono morti, Vanni, Lotti, mentre Pucci è seminfermo di mente. Ma c’è una novità che dopo 30 anni arriva e potrebbe cambiare tutto, smontare tutto, soprattutto cambiare nome, volto, mani a quelle del Mostro. Paolo Cochi, documentarista e reporter, esperto sui casi del Mostro, ha fatto analizzare alcuni documenti circa l’ultimo delitto degli Scopeti. In parole semplici si sarebbe scoperto – grazie all’intervento di professori universitari e ricercatori scientifici -, che la datazione dell’omicidio differirebbe da quella delle carte processuali. La tempistica di formazione di alcune larve di mosca sui cadaveri modificherebbe anche la datazione dell’uccisione su cui si erano affidati gli inquirenti, datazione su cui si baserebbe tutto il processo accusatorio e che vedrebbe mentire persino alcuni dei compagni di merende, almeno riguardo a quell’omicidio. Hai capito la scienza…

Se i testimoni, come Lotti, non erano credibili, allora persino la figura di Pacciani come mostro potrebbe essere scagionata.
Ma questo oggi non interessa più. Forse non sono più i tempi per un serial killer delle coppiette, tanto che sui media ne è stato dato poco risalto, forse solo a livello locale. Persino Tom Cruise che voleva girare un film sul mostro ha fatto scadere i termini per i diritti d’autore.

Il serial killer di Firenze, ora è spacciato.

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CAT: Criminalità, Storia

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