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Arte

Il tempo, raccoglitore di frammenti di vita

di Titti Ferrante
9 Dicembre 2021

“La moglie di Vincenzino si chiamava Cate. Era alta, bella, robusta, con una massa di capelli biondi che pettinava a volte in due trecce, strette e schiacciate sulle orecchie, a volte in un casco molle e pesante, attorto e puntato in cima al capo”

I desideri non invecchiano con l’età recitava una canzone di Battiato, le occasioni perse non sono mai davvero perse, è l’esperienza che strato dopo strato dà forma al nostro essere. Come una pianura sedimentaria, ogni ciottolo, detrito, è una porzione di strada che abbiamo percorso, anche quelle che sembrano averci condotto ad un vicolo cieco hanno un senso, hanno contribuito all’uomo che siamo diventati.
Il tempo è la somma degli accadimenti vissuti con gli altri, i film condivisi, i libri scolastici sottolineati, gli amori platonici o vissuti che si affidano alle confidenze dei nostri amici, gli abbracci che si scambiano, la condivisione dell’ansia per un’interrogazione, i pomeriggi pigri trascorsi a giocare o a passeggiare per la città. Si diventa intelligenti non solo imparando una lezione, ma relazionandosi con gli altri, assorbendo per osmosi, opponendosi per differenziarsi. Non siamo un libro già scritto, quello che ci accade ogni giorno è una pagina che aggiungiamo ai capitoli della nostra esistenza, ogni singolo incidente è arostotelicamente un accidente: la ‘situazione’di essere in piedi o seduto, ad esempio, si può predicare in modo accidentale: ora sono seduto, ma tra un minuto mi alzerò in piedi.
Le scelte che compiamo, gli amici che frequentiamo, i libri che leggiamo, la musica che ascoltiamo formano il giocatore che è in noi; giocare senza barare significa non mistificare, liberarci della maschera sociale che siamo costretti a indossare perché ci rende più desiderabili e ricercati – tipico è il caso dell’adolescente che per far parte del gruppo dei pari inizia a fumare pur non amando la sigaretta – vuol dire mostrarsi a viso scoperto con le proprie debolezze, i propri difetti, le proprie disperazioni. Essere accettato significa accettarsi puntando sui propri pregi e punti di forza; abbiamo una taglia sulla testa, meglio essere ricercati perché accolti che disprezzati. Al tavolo della vita siedono con noi le nostre passioni, i nostri istinti, i nostri desideri. Eros è il profumo della nostra pelle, Edipo ci permette di sovvertire la partita se il ruolo assegnato ci sta stretto, un salutare narcisismo ci consente di non maltrattare la nostra dignità e, infine, il caso, la probabilità, cioè, di riuscita giocando d’azzardo coi dadi da trarre.
La morte, destinazione ultima, spesso indesiderata, del nostro viaggio, è in agguato, ci osserva per aggredirci nel momento che ritiene giusto.
Natura morta è una costante della produzione dechirichiana. Come in tutte le sue opere, l’artista volle ribaltare la possibilità che la sua posizione gerarchica gli aveva tradizionalmente imposto, rinnovandola con estro e originalità. I primi dipinti metafisici come I pesci sacri e Natura morta con dolce siciliano presentano gli oggetti – i pesci e il dolce – in uno scenario architettonico isolato e privo di logica.
L’approccio di De Chirico alla natura morta si sviluppò parallelamente allo studio delle antiche tecniche pittoriche e delle opere dei grandi maestri, intrapreso negli anni Venti e Trenta. Alcuni dei più bei dipinti dell’artista sotto il profilo tecnico e compositivo risalgono a quei decenni, come dimostrano Natura morta con Selvaggina e bicchiere di vino, di cui Paul Eluard fu proprietario nonostante il disconoscimento dei surrealisti della produzione dechiricana posteriore al 1918.

In foto: G. De Chirico
I pesci sacri
Roma, Collezione Banca d’ Italia.

arte identità
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