Cinema
Reinhold Messner lancia un film sulla polemica del K2 e sfida l’alpinismo moderno
Al cinema il film-documentario “K2 – La grande controversia”, realizzato dall’alpinista altoatesino con il contributo del Club Alpino Italiano.
Reinhold Messner le rocce aspre del K2 di quel lontano 1954 non le ha conosciute ma oggi, da alpinista di lungo corso, sente che solo lui può riaprire quella ferita mai sanata fino in fondo. Autore, sotto l’egida del Club Alpino Italiano del film-documentario “K2 – La grande controversia”, prodotto da Mescalito Film, in sala a partire da lunedì 27 ottobre, Messner, alla soglia degli 82 anni, non ha voluto portare avanti una operazione verità, come tante succedutesi negli anni rispetto alle alterne e controverse vicende che hanno dominato la storica spedizione sulla catena del Karakorum.
La verità secondo il gigante dei 14 “ottomila” non esiste, ciò che lo spinge a riaprire una pagina di storia controversa è piuttosto la notte trascorsa da Amir Mahdi e Walter Bonatti sul K2, a 8500 metri, senza sacco a pelo a una temperatura di -50° gradi. Perché solo un alpinista completo può comprendere fino in fondo certe prove estreme che la montagna riserva.
Appartengono alla storia anche le polemiche che sono seguite nei decenni successivi all’indirizzo di Walter Bonatti, accusato di avere tentato di scavalcare i compagni nella conquista della vetta e sottratto loro ossigeno dalle bombole, addebiti in seguito smentiti dai giudici.
Dietro quella stagione di veleni Messner crede cha ci sia stata una ricostruzione giornalistica sensazionalistica ma irreale, elaborata da chi non potrà mai comprendere i valori più profondi della montagna. Le radici del K2, secondo l’alpinista altoatesino, accomunano i protagonisti di quel luglio del ‘54: chi morendo, come Mario Puchoz, colpito da un edema polmonare, e chi portando a compimento la missione come Ardito Compagnoni, Achille Desio, Lino Lacedelli e Walter Bonatti.
Il documentario realizzato da Messner con il contributo del Club Alpino Italiano, guidato da Antonio Montani, ripropone immagini dell’epoca restituendo al pubblico le ambientazioni di una impresa che, nonostante i veleni, è rimasta nella storia alpinistica italiana. Reinhold Messner della tregua del K2 è oggi più che mai convinto sostenitore. Alla sua età l’ultima scalata ideale è quella per la difesa dell’alpinismo tradizionale. Lontano dalle polemiche della spedizione del 1954 ha lanciato, nel suo stile diretto, una campagna contro il turismo della montagna che trasforma anche le cime inesplorate in luoghi di attrazione domenicale e palestre artificiali di roccia.
La morte di un sogno sostituita da numeri e misurazione, l’epilogo lento di una narrazione che solo l’alpinismo tradizionale rende possibile. Walter Bonatti, come racconta Messner, oltre le pareti estreme e le notti sul K2, era anche un uomo di storytelling. Il narratore capace di creare fascinazione nelle esperienze esaltanti e in quelle più tristi. È vero infatti che alpinismo, con una sana dose di realismo, è anche delusione, paura e spesso morte.
Messner queste condizioni dice di averle vissute praticamente tutte, intensamente e con dolore: la scomparsa di un fratello, il pensiero nei momenti più duri a quanto si rischia di lasciare, a cominciare dai familiari, e la perdita di tanti compagni di cordata. Il costo di un codice non scritto che chi sceglie l’alpinismo estremo conosce molto bene, lo stesso che porta a pensare alla morte come una possibilità e all’esistenza come l’arte per evitarla.
No, caro e apprezzatissimo Messner, ti sbagli. La verità esiste eccome ed è ormai nota ed accettata : in quella famigerata notte sul K2, Compagnoni e Lacedelli, innanzi tutto, non si fecero trovare al punto concordato ma, soprattutto, non usarono le segnalazioni luminose per farsi localizzare, e quindi accogliere Bonatti e compagno, esponendo questi ultimi a una notte di tempesta a -50°C senza tenda nè protezione, seduti entrambi su un gradino di ghiaccio creato a picconate per potersi almeno sedere. Compagnoni e Lacedelli sono colpevoli di mancata assistenza a colleghi in pericolo di morte. E’ gravissimo. E la motivazione è evidente e riconosciuta : i due temevano che Bonatti, che sapevano essere in buona forma, avebbe potuto salire con loro in vetta e che successivamente, essendo notoriamente superiore ai due tecnicamente, sarebbe stato decretato come il vero conquistatore del K2. Hanno preferito dileguarsi sapendo perfettamente che la tempesta in arrivo e la mancanza di protezione avebbero quasi sicuramente provocato la morte di Bonatti e del compagno. Una vergogna, caro Messner, che non va ormai taciuta ed edulcorata come tu hai fatto, dicendo che Bonatti aveva una particolare capacità di raccontare, perchè questo implica, e sono certo che la tua affermazione si riferiva alle corrispondenze per “Epoca”, implica dicevo per la gente comune che forse il buon Bonatti si sarà inventato un po’ di cose. Avresti dovuto sostenerlo meglio, caro Messner, lui che ti ha chiamato “il fratello che non ho avuto”.