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Filosofia

Perché le persone vanno sempre di corsa, anche nel tempo libero?

di Davide Morelli
20 Luglio 2024

Le persone vanno sempre di corsa. Il mio professore di storia della filosofia Lorenzo Accame nei primi anni Novanta lo aveva già notato. Scriveva che studenti e studentesse di psicologia erano sempre indaffarati, nonostante avessero molto tempo libero a disposizione. Il motto della nostra società è: “Il tempo è denaro”. Non bisogna mai sprecarlo. Bisogna sempre trovare qualcosa da fare. L’importante è fare. Una delle peggiori nomine che si possa affibbiare a una persona è quella di essere nullafacente, improduttiva, perditempo. Faccio un esempio. La domenica quando voglio attraversare sulle strisce trovo pochissime macchine che mi fanno passare. Tutti vanno di corsa. Ancora la domenica mattina quando vado a prendere un caffè con mio padre e andiamo in macchina, se qualcuno rispetta i limiti di velocità, gli suonano il clacson o fanno sorpassi azzardati. Mi chiedo io se costoro sono tutti medici che devono andare di corsa all’ospedale per operare qualcuno d’urgenza. Mi chiedo se davvero è giustificata la loro fretta! La realtà è che durante il lavoro bisogna produrre sempre di più per aumentare il plusvalore relativo: un rappresentante deve fare sempre più clienti, un impiegato deve sbrigare più pratiche, un ricercatore deve scrivere sempre più articoli,  un operaio deve produrre più pezzi. E nel tempo libero? Bisogna consumare sempre più. Sul lavoro si deve essere stakanovisti e nel tempo libero godersi totalmente tutti i divertimentifici, i luna park esistenti. I giovani tutti i fine settimana devono andare al pub o in discoteca e ritornare al mattino. L’ultimo dell’anno vige il divertimento sfrenato. D’estate bisogna fare i pendolari per recarsi al mare e fare anche i debiti per andare in vacanza all’estero. Questi sono diventati dei rituali collettivi e chi vi si sottrae rischia la depressione o la frustrazione.  Bisogna essere sempre più produttivi e consumisti, a fasi alterne perché questo è un imperativo, un obbligo socioeconomico della società. Il tempo libero deve essere impiegato secondo i canoni e le imposizioni consumistiche ed edonistiche, sempre se non si vuole essere visti e considerati male. Tutto è all’insegna della quantità e della velocità.  Essere lenti è un difetto imperdonabile. L’ozio non è permesso. L’arte dell’ozio come stile di vita alternativo alla società consumista, proposto da H.Hesse, è rimasto inascoltato, è diventato lettera morta: ne fecero tesoro i sessantottini,  ma nulla più. L’arte dell’ozio è caduta nel dimenticatoio. Ci sono troppe cose da fare. Non si può rimanere con le mani in mano. I flâneur non esistono più. Leggere libri, dipingere, creare, meditare, scrivere,  riflettere sono dei delitti contro la società. Eppure quanta saggezza c’è in quei folli che ascoltano le voci del mondo, ascoltano sé stessi? Quanta saggezza c’è nel seguire i propri pensieri che appunto variano con il tempo, come scriveva Mallarmé? Eppure un tempo non era così. Per gli antichi greci esisteva l’eterno ritorno. Borges in un suo saggio breve scriveva che l’eterno ritorno,  per Nietzsche ma anche per gli antichi,  presupponeva che i quanta d’energia fossero illimitati per la mente umana ma non infiniti e che, una volta esauritesi tutte le loro combinazioni, saremmo tornati al punto di partenza. Ma per la società occidentale il progresso è cumulativo e lineare, è una retta che prosegue all’infinito.  Da qui l’idea che la crescita possa essere illimitata, che non ci siano limiti nella produzione e nel progresso. Come nota la filosofa Ilaria Gaspari per i latini otium veniva prima di negotium, anche linguisticamente: infatti negotium è la negazione di otium. Pasolini intuì che progresso e sviluppo non vanno di pari passo, anzi talvolta sono antitetici. Il professor Franco Cassano nel suo saggio “Il pensiero meridiano” oltre a fare una critica ben ponderata e strutturata a questa società fa l’elogio della lentezza. Invece oggi tutti fanno la corsa contro il tempo in nome dell’arricchimento esperienziale. Questa società è diventata un enorme fast food dei life events. Alcuni non sono mai sazi della vita, sono ingordi di vita, di divertimento. Chi si ferma è perduto. Bisogna incontrare quante più persone possibile, amare più partner, viaggiare in tutto il mondo, divertirsi in modo sfrenato. Tutto questo per riempire il vuoto, per non rimanere da soli con sé stessi, per non pensare, per non soffrire di carenze affettive, per non essere insoddisfatti sessualmente. E se il vero vuoto invece fosse questa eterna corsa contro il tempo? Ma per avere una vita da raccontare non si può perdere occasioni. Si può avere dei rimorsi ma mai dei rimpianti. La qualità della vita diventa quantità di vita. Nella quantità ci deve essere per forza di cose la qualità: questa è l’idea implicita che sta sotto a questo stile di vita postmoderno. Tutto deve essere rivolto al mondo, all’esteriorità, al fuori. Il raccoglimento interiore, il dentro però talvolta riemerge, riaffiora improvvisamente e allora va rimosso con altra socialità, con altra mondanità. Ma il dentro deve essere rimosso e se non è possibile farlo, allora va istituzionalizzato religiosamente.

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