Letteratura
Adelphi pubblica ‘Portnoy’ di Philip Roth in una nuova edizione partendo dal titolo
Sono passati pochissimi mesi dall’uscita per Adelphi del romanzo ‘Portnoy’ di Philip Roth, ma l’attenzione mediatica sulla ripubblicazione di questo romanzo è già stata tantissima. La casa editrice ha organizzato, in coincidenza con l’uscita del libro, una presentazione al Salone del Libro di Torino alla presenza di Emmanuel Carrère, uno tra gli autori europei più vicini a Roth, insieme a Roberto Colajanni, direttore editoriale di Adelphi, Matteo Codignola, curatore di questa nuova edizione di Portnoy, e Livia Manera Sambuy, che per anni ha seguito da vicino Roth e il suo lavoro. In particolare, ha colpito molto la scelta di cambiare il titolo del romanzo che nella precedente edizione Einaudi era ‘Lamento di Portnoy’. Portnoy è il quarto libro di Philip Roth. Adelphi ha deciso di partire proprio da questo libro per la sua opera di riedizione integrale in italiano dei libri dell’autore americano.
«Questo libro rischia di provocare un secondo Olocausto», scrisse all’uscita di Portnoy uno studioso generalmente posato come Gershom Scholem. La profezia fortunatamente non era fatta per avverarsi, ma è difficile negare che da allora il monologo di Alexander Portnoy abbia investito, e travolto, tutto quanto ha incontrato sul suo cammino. Perché Philip Roth, attraverso l’espediente della seduta psichiatrica, riuscì a far dire al suo personaggio cose di cui non si era mai scritto prima. Perché la domanda con cui Roth ha affrontato la scrittura di ‘Portnoy’ è stata cosa possa o non possa raccontare un libro, fino a dove possa spingere la narrativa. E in questa nuova traduzione, ad opera di Matteo Codignola, il testo di Roth vira decisamente sul lato umoristico e comico, togliendo alla scabrosità attribuita originariamente al testo peso e direzione. ‘Portnoy’ rientra così a pieno titolo in un’operazione che potremmo definire di stand up classic, in una reinterpretazione che cerca di riavvicinare al gusto contemporaneo un libro pubblicato per la prima volta più di cinquant’anni fa.
Conviene ricordare che prima di assumere la sua forma attuale, il materiale di Portnoy è stato varie altre cose – fra cui un commento parlato alle diapositive di zone erogene illustri, che Kenneth Tynan avrebbe voluto inserire nel suo celeberrimo e allora sacrilego musical Oh, Calcutta! Solo dopo lunghi ripensamenti il monologo ha finito per diventare, nel 1969, il quarto libro di Philip Roth. E molte polemiche ha suscitato la scelta del nuovo editore di togliere la parola ‘lamento’ dal titolo del libro, privilegiando, a mio parere, l’aspetto biografico della storia di Alexander Portnoy, uomo in perenne contrasto con il suo essere ebreo e, almeno apparentemente, con il suo membro maschile. Due caratteristiche per cui Roth stesso è stato raffigurato come antisemita e come produttore di sconcezze varie.
‘Portnoy’ arriva dopo tre romanzi non particolarmente riusciti di Roth. L’autore di Portnoy aveva già scritto alcuni racconti ed era comunque considerato già una penna valida. Philip Roth con questo romanzo, forse nel tentativo di uscire dalla gabbia dell’invisibilità, o comunque di accelerare il suo cammino verso essa, sceglie di raccontare ciò che non si poteva raccontare e scrive un libro trasgressivo, volutamente sconcio, immondo. Fa raccontare al protagonista del libro tutto ciò che nessuno avrebbe mai osato raccontare all’interno di una seduta psichiatrica. ‘Portnoy’ è un lungo monologo, anzi sono due lunghi monologhi, all’interno dei quali il protagonista svuota il secchio come nessuno aveva mai osato fare prima. L’autore non indugia affatto nell’addentrarsi nelle manie sessuali e masturbatorie del protagonista. Ne esce fuori un libro eccezionale, che farà epoca, e che cambierà per sempre la vita del suo autore, condannandolo per anni a coincidere con l’immagine di Alexander Portnoy, da lui stesso impressa nelle pagine del suo quarto libro.
Emmanuel Carrère, nel suo intervento al Salone del Libro, ha ripercorso la storia di Roth prima di questo romanzo dirompente. Perché Philip Roth, a fine anni ‘60, era un giovane scrittore, e sembrava ricadere perfettamente nello stereotipo della figura dello scrittore: aveva pubblicato diverse raccolte di racconti per cui era stato premiato, teneva un atteggiamento di tipo accademico, tanto da poterlo immaginare con la giacca di tweed e la stilografica infilata nel taschino, confida Carrère. Sembrava, insomma, comportarsi già come una promessa della letteratura. Poi, di colpo, pubblica questo libro, crudo, esplicito, provocatorio, soprattutto nei termini con cui veniva descritto il rapporto del protagonista con il suo membro maschile. Nel suo quarto romanzo Roth, però, racconta anche altro, in particolare narra la sua adolescenza. Cresce all’interno di una famiglia ebrea benestante, la cui attività principale consiste nel preoccuparsi costantemente di tutto, mentre l’attività principale del giovane Portnoy è la masturbazione.
Carrère ha ricordato come ‘Portnoy’ abbia una forma insolita, in quanto non è propriamente un monologo. È un pezzo di standup, in cui si alternano pagine intere lungo le quali il protagonista si dilunga e tira fuori rievocazioni divertentissime della sua giovinezza. Tutto questo avviene all’interno di una seduta psicanalitica in cui Alexander Portnoy ripercorre buona parte della sua esistenza. L’espediente letterario della seduta psicoanalitica è dimostrazione di quanto l’autore del libro, attento lettore di Freud, abbia preso in seria considerazione i tre termini chiave della teoria psicoanalitica: l’io, l’es e il super-io. Nell’es si agitano i desideri più profondi, quelli che non si riescono a dominare, l’inconscio. L’es del protagonista di Portnoy, quindi di Philip Roth, dimostra di essere molto forte ed è accompagnato da un super-io costruito da due genitori ebrei che hanno messo molta energia nella sua costruzione.
Matteo Codignola, curatore di questa nuova edizione del quarto romanzo di Roth, nel suo intervento al Salone del Libro ha sottolineato come tutto il romanzo sia da intendere nei termini di una performance, di un materiale narrativo, in cui il tono comico è dominante. Spiegando le motivazioni della scelta del titolo del libro ha ricordato come allo stesso Roth il titolo in italiano del suo romanzo non piacesse, perché in italiano il termine ‘lamento’ vuol dire una cosa sola, mentre in inglese ‘complaint’ ha almeno quattro significati diversi. Il termine inglese aveva alcune risonanze, secondo il curatore della traduzione per Adelphi, che il termine lamento invece non ha in italiano, per questo si è optato per questo nuovo titolo. Il libro è stato così presentato da Adelphi in una chiave nuova, spingendo molto sul lato comico e umoristico effettivamente presente in esso.
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