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Letteratura

Il neoralismo in musica e in poesia: “Il sentiero dei nidi di ragno”

di Titti Ferrante
8 Aprile 2020

“Però conosco un posto che gli altri non sanno
Dopo il bosco nero, il sentiero dei nidi di ragno”

Tutti i programmi televisivi, soprattutto in quelli in cui si dibatte di politica, ci parlano di una fase due: quello che sarà l’atteggiamento da assumere quando saremo di nuovo liberi di uscire. Tra un prima e un poi c’è un adesso, un presente che ci ha già mutato. È mutato il modo di fare didattica ad esempio, diventa sempre più difficile seguire un programma, bisogna stravolgere anche quelli se la scuola vuole essere uno specchio della vita e non restare arroccata come un eremo su una montagna inaccessibile. Bisogna riprogrammare cogliendo le esigenze e i bisogni attuali affinché si possa essere credibili. In tal senso ci può venire in soccorso la poesia, la musica, che ci aprono a piste di riflessioni inedite ma molte contemporanee.
Mi capita,allora, di ascoltare Il sentiero dei nidi di ragno di un rapper che fino a questo momento mi era sconosciuto, lo trovo molto interessante per due motivi. Il primo è la forte disillusione che il rapper esprime nei confronti d tutto ciò che lo circonda, nella politica, persino nella musica che non ha un potere salvifico. Lui stesso non è un modello da seguire poiché non ha tatuaggi i quali rappresentano l’appartenenza a un gruppo che si riconosce nella generazione recante scritto sul corpo la ribellione a stereotipi, e che rivendica, così, la propria identità. Le parole del testo esprimono aggressione verso la cultura dominante che usa frasi retoriche in cui i giovani non si riconoscono, sono come proiettili; il linguaggio usato non solo separa generazioni ma insulta anche quelle donne che il protagonista non hai mai baciato e che si ritrovano a frugare nei rifiuti.
Eppure in quella storia scritta in parole povere, nell’accenno alla terra promessa, in quell’esplicita richiesta di attenzione di chi si trova ai margini, nell’incapacità di un’epoca di guardare alla persona nella sua dimensione umana che non è ascrivibile al condensato di un nome e cognome, nel falso mito del vincente riproposto attraverso l’immagine del calciatore, il rapper, che è solo una voce, ci propone un altro eroe, un eroe bambino: Pin. Come un moderno Montale, mentre si sottrae alla capacità di fornire formule che propongono modelli se non attraverso la negazione di un presente abbrutito, ci indica allo stesso tempo, un luogo in cui riscoprire la propria umanità: il sentiero dei nidi di ragno, appunto.
É evidente, allora, quale sia l’altro motivo che desta in me grande interesse nei confronti di questo testo: il nesso tra letteratura e musica costituisce un legame forte. La risonanza non è solo nel titolo esplicitamente riutilizzato da Lowlow, ma è una lettura in chiave moderna del senso profondo che si cela dietro il racconto.
Calvino, che ambienta l’opera in Liguria all’epoca della seconda guerra mondiale e della resistenza partigiana, denuncia le condizioni dei civili durante la guerra, divisi tra tedeschi e partigiani. Nel testo si fa riferimento alla generazione contemporanea che odia le frasi retoriche, operazione messa in atto dalla scelta di Calvino.
Col suo romanzo, infatti, ci propone un’immagine della resistenza differente: quella dalla storia di Pin e della scalcagnata brigata del Dritto non è certo quella eroica e vincente che si è soliti associare alle narrazioni neorealiste, spesso incentrate su una rappresentazione stereotipata e edulcorante dei drammatici avvenimenti che avevano scandito la “guerra civile” combattuta tra partigiani e nazifascisti tra il 1943 e il 1945. Per fare questo, Calvino decide di affrontare il tema non direttamente ma attraverso una prospettiva obliqua, attraverso gli occhi di un bambino.
La frattura generazionale cantata da Lowlow, è quella di Pin, che non ha amici della sua età. Pin interpreta quanto accade intorno a lui in modo fiabesco e anche i comportamenti degli adulti sono tradotti secondo le categorie logiche di un bambino. Calvino ne evidenzia le emozioni e le alterazioni proprie di chi vive in un contesto socio culturale disumano.
Come Niko, protagonista della canzone, Pin possiede una pistola, come lui inveisce contro le donne, simbolicamente identificate nella figura della sorella che si prostituisce intrattenendosi con tedeschi e fascisti. Come lui, inoltre, canta, prima nelle osterie dei carruggi, poi tra i partigiani che gli chiedono canzoni piene di sangue, di galere, di delitti. Pin ha fretta di crescere perché il suo timore è di morire durante la guerra; la morte è presenza costante del romanzo, è richiamata sia esplicitamente nel testo di Lowlow attraverso l’impossibilità di indossare una cravatta o baciare una donna, ma anche attraverso la citazione del riferimento letterario: Spoon River.
L’autore, Edgar Lee Master, fu scrittore americano nato in provincia, in un piccolo villaggio, a Petersburg, poi trasferitosi a Lewistown, sulle sponde del fiume Spoon. La sua antologia e la nuova poesia americana dei primi del 900 nascono da un po’ di gossip dell’agricola Lewinstown e dalla passione per i poeti greci. L’antologia, composta da più di duecento epitaffi, dissacra tutto ciò che è ritenuto privato e inviolabile in un piccolo villaggio sperduto. Masters appartiene a quella generazione di poeti cosiddetti realisti che, dopo il periodo romantico, stanchi di versi d’amore e sofferenza immaginaria, erano bisognosi di verità.
Già De Andrè con Non al denaro, non all’amore né al ciel realizza un concept album ispirandosi a alcune poesie tratte dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, antologia pubblicata nel 1915 , ma apparsa per la prima volta in Italia nel 1943. Lee Masters è lontano a livello di tempi e spazi dal cantautore genovese, ma il messaggio della sua opera è ancora valido decenni dopo. De Andrè legge Spoon River quando aveva diciotto anni e gli era piaciuto perché trovava in quei personaggi qualcosa di sé, e come lui attua una critica al sistema morale oppressivo e controproducente.
Appare evidente, quindi, come il legame forte che c’è tra letteratura e musica non è solo uno di tipo formale, non è solo superficiale, è un richiamo intimo, non di semplice traduzione, ma di forte contestualizzazione perché Lowlow, Calvino, De André compiono un’operazione simile: danno voce alla rabbia, all’emarginazione, alla periferia dell’animo umano, quella che cresce nell’ingiustizia, nella miseria, nel conflitto di classe, nell’indignazione.
In quest’operazione di scavo, di immersione nella mancanza è possibile riacquistare una dignità che dà spessore all’esistenza umana, ponendo radici alla propria identità, deragliandola dai binari dell’odio e della sopraffazione.

Musica
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