
Letteratura
Il volto dell’altro
Una donna è attratta da un uomo per la sua intelligenza e il suo humor, ma qualcosa la rende perplessa…
Non so bene cosa mi abbia spinta ad accettare l’invito a quella festa. Forse la noia, forse il bisogno di sentirmi ancora viva, desiderata. Ho quarant’anni, porto bene il mio tempo, me lo dicono spesso. Eppure mi sento spesso come se fossi altrove, come se qualcuno avesse dimenticato di spegnere la luce in una stanza ormai vuota.
Quella sera, tra bicchieri di vino e conversazioni fluttuanti, è arrivato lui. Matteo.
Alto, ben proporzionato, uno di quegli uomini che entrano in una stanza e sembrano disegnare nuove geometrie solo con la loro presenza.
La sua voce è profonda, rilassante, e le cose che diceva—sempre a metà tra il brillante e l’assurdo—mi divertivano sinceramente. Ci siamo messi a parlare di filosofia, di fumetti, di sogni ricorrenti. Faceva delle citazioni raffinate aveva un’ironia leggera, e rideva con gli occhi, cosa rara.
Eppure.
C’era qualcosa.
E quel qualcosa era la sua faccia.
Non è brutto, anzi. Ha lineamenti ben definiti, occhi scuri, una bocca precisa.
Ma… c’è quella strana somiglianza.
Ogni volta che lo guardo, mi viene in mente quell’attore, quello dei film horror anni Settanta e Ottanta. Quello che faceva il vampiro con lo sguardo glaciale, il sacerdote posseduto, il medico che uccideva i pazienti con la forza del pensiero. Un viso inquietante, divenuto simbolo stesso del male al cinema.
Matteo ha quel volto, ma alleggerito dalla vita reale.
E così, mentre lui mi sorrideva e mi offriva un altro bicchiere, io ridevo un po’ meno, cercando di ricordare che era solo una somiglianza, una coincidenza.
Alla terza risata condivisa, ho deciso di dirglielo.
«Posso farti una domanda un po’… assurda?» gli ho detto, guardandolo negli occhi.
«Sparala. Se è assurda, è perfetta per me.»
«Ti hanno mai detto che assomigli a… come si chiama, quell’attore… quello dei film dell’orrore, quello che ti guardava e tu sapevi che stavi per morire?»
Lui ha alzato un sopracciglio. «Spero non sia un tentativo elegante per dirmi che ti metto a disagio.»
«No, cioè… sì. Ma anche no. È strano. Sei brillante, divertente, intelligente… ma poi ti guardo e mi viene in mente lui. E non riesco a non aspettarmi che tu, da un momento all’altro, possa tirare fuori un pugnale o sparire in una nuvola di fumo.»
Ha riso, di gusto. «Ti dirò un segreto. Una volta, a Carnevale, mi sono vestito da Dracula. La gente non mi parlava. Ero perfetto.»
«Non ne dubito.»
«E quindi?» ha chiesto, inclinando la testa con quel mezzo sorriso. «Mi frequenteresti con la luce accesa o solo in penombra, sperando che non faccia certe espressioni?»
«Non lo so. Davvero, non lo so. È come se il tuo volto fosse in dissonanza con la tua anima. E non so se fidarmi del cuore o della memoria visiva.»
Ci siamo guardati per qualche secondo. Poi ha detto, serio e scherzoso allo stesso tempo: «Se un giorno dovessi morderti il collo, prometto che lo farò solo per passione, mai per sete.»
Ho sorriso. Ma non ho risposto.
E ora eccomi qui, a distanza di giorni, ancora a pensare.
A quell’uomo che mi ha fatto ridere come pochi, ma che porta nel viso l’ombra di una paura antica.
Ci devo riflettere.
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