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Letteratura

Timidezza

di Biagio Riccio
22 Luglio 2018

Il timido parla poco, ha lo sguardo impaurito, cupo, velato di tristezza.
Si nasconde, non appare, si estranea, quando si incammina è come un fiore che sboccia: lo fa con educazione.
Evita la moltitudine, la rissa, odia la colluttazione e la contesa, perché pensa di perdere.
I suoi occhi sono mesti, smorti, lacrimosi, come quelli di un uccello appena nato che ha l’agitazione perenne di staccarsi dalla sua mamma per volare nel mondo.
Il timido è delicatissimo, la sua anima è seta pura, profuma di sincerità incarnata, non può mai dire bugie, non le saprebbe occultare.
Si mette nell’angolo sempre, mentre gli altri ballano sul palcoscenico della vita; si chiude in se stesso, volge lo sguardo a terra e se si apre al cielo è per invocare un aiuto che non sa neppure chiedere.
Il timido è dolcissimo, quando lo accarezzi piange di gioia, perché forse ha sentito sulla sua guancia, il tocco di un’altra pelle e la sua anima ha ottenuto il balsamo che voleva.
Il timido vuole sentire altre parole, perché non le sa dire e vuole un’ancora di salvezza in un mare che per lui è sempre agitato.
Non sa uscire dalle sue contraddizioni che lo avviluppano, lo soffocano, lo torturano.
Vorrebbe esplodere, ma non ha la forza e neppure il coraggio di gridare a tutti una vigoria e robustezza, che è solo pensata e non attuata.
È pieno di pudore, come una vestale che eternamente e gelosamente vuole nascondere una verginità, portata con intenso amore,come dono di Dio.
Il timido prega sempre, l’unico modo di rompere il suo silenzio.
È un malinconico e piange spesso, in solitudine.
È fragile, come un cristallo, vetro di murano.
Come dice Neruda cammina stringendosi al muro, come un’ombra che scivola via.
In amore se riesce ad essere amato, aspetta che l’altra prenda l’iniziativa, perché sa solo accarezzare e forse recitare una poesia, altra sua compagna.
Il timido sorride, ma in modo quasi impercettibile, più con gli occhi che con la bocca: li socchiude, come un velo disfatto.
I timidi sono belli e mansueti, hanno la pavidità dei cerbiatti che danzano nell’erba profumata e colorata dal sole.
La timidezza non può essere toccata e non può essere sfiorata, senza una grande leggerezza: essa si sfalda e si dissolve facilmente come sabbia fra le dita, ha scritto un grande psichiatra, Eugenio Borgna.
Il timido sente dentro una musica suadente che vorrebbe che tutti ascoltassero.
Timido era Pier Paolo Pasolini che baciava Maria Callas, senza poter esprimere la gioia del suo amore.
Timidi erano quegli ebrei che andavano a morire nei campi di concentramento: ce li ricorda Primo Levi nei suoi stupendi capolavori. La loro innocenza non aveva parole, talmente ineguagliabile era il sacrificio – incomprensibile – dell’Olocausto: la paura si era rinsecchita e la coscienza dei carnefici era una tabula rasa.
Il timido quando vince la corsa, pensa di aver frodato gli altri.
Ama il mare e vuole contemplarlo da solo, perché cerca Dio e l’infinito, che sente con una percezione rara e sublime, più di chiunque altro al mondo.
Il timido odia la volgarità e le smargiassate di una società che non conosce il senso del limite ed il potere sconfinato della gentilezza.
La timidezza, ha scritto Caramagna, è come un colibrì che ha paura del fiore, vibra e sta sempre indietro anziché baciarlo.
Come diceva Pessoa, nel suo “Libro dell’inquietudine”, il timido rifiuta la materia, perché si libra nel sogno, abito elegante della sua anima.
Il timido è un poeta che il mondo dovrebbe sentire, ti sfiora come una farfalla colorata.

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